Salta immediatamente all'occhio come mai come in quest'anno le biografie vadano forte in quel di Hollywood e dintorni.
In un'industria che sembra aver perso il piacere di inventare, ci si affida a uomini veri, alle loro vite da raccontare e far conoscere, un po' per arricchire il pubblico con biografie storiche di importanti personaggi famosi e non, un po' perchè la scritta "tratto da una storia vera" ha sempre il suo fascino, e mette subito quel pubblico sull'attenti, in simbiosi con quanto vedrà sullo schermo.
All'appello di questo filone risponde anche Unbroken, tratto dalla biografia scritta da Laura Hillenbrand che ci racconta di Louie Zamperini, un uomo, anzi, un ragazzo, che in 5 anni della sua vita ha senza troppi dubbi vissuto più intensamente e più pericolosamente di intere esistenze.
Lo conosciamo ragazzo ribelle, dedito a piccoli furtarelli, additato dal tutti nel suo paese per il suo carattere difficile e per quell'origine, italiana, non vista di buon occhio.
Ma una cosa Zamperini la sa fare bene: scappare, correre a più non posso per seminare i vari bulli o la polizia stessa. Questa sua capacità diventerà la sua salvezza, con il fratello a fargli da spalla, Louie riuscirà a battere il record nazionale universitario nella corsa e arrivare fino alle Olimpiadi del 1936, in Germania, sotto le effigi naziste.
La tappa successiva sarebbe dovuta essere Tokyo, nell'edizione che lo avrebbe dovuto far brillare dopo quel record agguantato come in un sogno del giro più veloce.
Ma il condizionale è d'obbligo, perchè non solo Loiue non riuscirà ad andare alle Olimpiadi, ma le Olimpiadi stesse verranno cancellate. Causa: la guerra.
Louie si arruola, soldato semplice, impegnato in combattimenti aerei, non smette di allenarsi, diventando una mascotte per la sua sezione.
Nulla di speciale, dite?
Uno sportivo che si fa soldato, che va in guerra.
Vero.
Ma Louie in questa guerra sembra avere la sfortuna addosso.
[SPOILER]
Primo: il suo aereo precipita in pieno Oceano Pacifico. Lui e altri due compagni gli unici superstiti.
Secondo: 47 giorni di mare, dove imparare a sopravvivere tra sete, fame e la mente che rischia di andarsene.
Terzo: quando la salvezza sembra certa, questa salvezza arriva dai giapponesi, dai nemici, che lo tengono prigioniero.
Quarto: giorni di prigionia e di vessazioni, in mezzo al nulla, con la violenza che si fa oltre che fisica anche psicologica.
Quinto: viene trasportato nel campo di prigionia di Ofuna, dove però diventa il capro espiatorio della guardia Watanabe detto "L'uccello", che lo umilia e lo picchia ad ogni occasione (e che noi vorremmo tanto umiliare e picchiare a sua volta, tanto è maligno).
Sesto: quando la liberazione sembra vicina, tutto il campo viene fatto sgombrare, trasferito nei lavori forzati nella miniera di carbone dove la sua salute viene ancora più messa a rischio e dove le vessazioni non finiscono.
Essere una star, essere un atleta olimpico, è diventata la sua colpa, il suo mirino puntato addosso.
[FINE SPOILER]
La storia di Louie ci viene raccontata da Angelina Jolie, alla sua seconda prova da regista, che si annulla dietro la macchina da presa per lasciare spazio a una storia che ha dell'incredibile, alla forza di un uomo che sembra per l'appunto uscito da un film.
Ad interpretarlo è un inedito Jack O'Connell, conosciuto da queste parti per il suo ruolo da spaccone dal cuore tenero in Skins, che si fa irriconoscibile (anche fisicamente), dimostrandosi credibile anche laddove la regia e la storia stessa si fanno troppo calcate.
Viene quindi da chiedersi perchè una prova simile non sia all'interno della cinquina dell'Academy, visto come aderisce alla perfezione ai canoni solitamente premiati.
Ma tant'è, Unbroken concorrerà alla notte degli Oscar solo nelle categorie del miglior sonoro e della miglior fotografia, altamente realistica e fedele, capace di far vivere in mezzo al mare come nello sporco e nel dolore della prigionia.
Quello che forse non ha convinto i giurati, e nemmeno la sottoscritta, è quanto la vicenda sia per l'appunto portata ai suoi limiti, quanto la figura di Louie sia esaltata e resa cinematografica, con frasi e dialoghi ad effetto, con svolte che sembrano scritte appositamente da uno sceneggiatore.
La commozione, naturale, arriva solo nel finale, quando le didascalie mostrano il futuro, il vero Louie, correre e vivere.
Prima si è solo in empatia col suo dolore, ma spossati per una durata decisamente dilungata che, sì, annoia. E dispiace dirlo, dispiace perchè quel "tratto da una storia vera" è sempre lì a giudicarci e a ricordarci quanto quello che vediamo sia realmente accaduto.
Ma, Angelina cara, per convincerci bastava anche molto meno.
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