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Under the Dome (2013) – [Episodio Pilota - Recensione]

Creato il 01 luglio 2013 da Elgraeco @HellGraeco

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Mai letto King.
Non è una novità, i lettori di lungo corso lo sanno bene. Pur riconoscendo a questo scrittore la paternità acquisita di gran parte del cinema fantastico degli ultimi quattro decenni. C’è sempre King dietro uno dei miei film preferiti: Le Ali della Libertà. Per citarne solo uno tra gli… innumerevoli.
Son cose che capitano.
Che poi, a dirla tutta, nemmeno ce l’ho con lui, per evitarlo in questo modo, a parte la sordida storia delle fascette promozionali dei libri:

“Il romanzo che avrei voluto scrivere io” by Stephen King

Avete capito a cosa mi riferisco? Frasi che vanno bene per qualunque libro.
Comunque, per venire al punto, di Under the Dome ne ho sentito parlare tantissimo, sempre in positivo. S’è trattato di un ritorno gradito del Re, a sentir gli altri appannato nei lavori precedenti.
Idea accattivante e semplice, un nucleo di personaggi ben definiti, una serie di situazioni al limite, il mistero di un evento inspiegabile, almeno all’apparenza.
Inevitabile che divenisse un film, o nella fattispecie, una serie. Formato che meglio si adatta a gestire le complesse sfaccettature di tanti protagonisti. Questo naturalmente in condizioni ideali.

Il Re e il Ciak

Il Re e il Ciak

La cosa fantastica di questa operazione è la semplicità alla base dell’idea. Non so, è tipico dei grandi. Sì, l’ho detto.
King non fa altro che applicare, alla lettera, la teoria dell’acquario. Cosa che, a ben vedere, abbiamo sotto gli occhi tutti noi, tutto il giorno, tutti i giorni.
La stessa idea alla base del ciclo del Drive-In di Lansdale. Un gruppo di esseri umani isolati dal mondo esterno, come da titolo, sotto una cupola, alle prese con una forza/entità superiore.
Anche la serie Cube si basa su un concetto simile.

***

Idea semplice, solo che King non solo l’ha avuta, ma l’ha sfruttata. Non è stato l’unico, ma i risultati sono molto piacevoli.

Interessante sarebbe porre al maestro il quesito fondamentale: ovvero se avesse già in mente la conclusione della storia dopo aver concepito la cupola.
Dall’immediatezza del racconto, che è tale anche nel telefilm, direi di no. Si avverte tutta la spontaneità e il divertimento di chi mette i propri personaggi nei casini, e ci gode.
È un bel segnale, vuol dire tante cose, prima fra tutte che c’è ancora passione per il proprio mestiere.

Quindi, secondo me, è nato tutto dalla cupola e poi, come sempre accade, King si è sforzato di trovare un senso a tutta la storia.

***

Rachelle Lefevre

Rachelle Lefevre

Under the Dome è stata creata per la TV da Brian K. Vaughan, che ha collaborato con King alla sceneggiatura. Nel cast, oltre Samantha Mathis, che gli appassionati di certo cinema d’azione ricorderanno per il ruolo della Guardia Forestale in Broken Arrow di John Woo, figura Rachelle Lefevre, fortunatamente salvatasi dopo la parentesi tuailaitiana.
Puntata introduttiva, dunque, che soprattutto serve a presentare la cupola.
Essa appare all’improvviso, accompagnata e seguita da disturbi elettromagnetici.
Compare in grande stile, causando schianti improvvisi di camion che si schiacchiano come frittelle contro di essa lungo le arterie stradali, aerei che esplodono in volo, corvi col collo spezzato e… una vacca che ha avuto la sfortuna di pascolare proprio sul confine, che finisce tagliata a metà, come una scultura d’arte moderna.
Tocchi di colore, che rendono subito il fenomeno ineluttabile e incoercibile, e che te lo fanno amare.
Quarantacinque minuti che bastano a introdurre gran parte del vastissimo cast, a tracciare in linee generali, ma molto marcate, i caratteri dei protagonisti, e a accennare alle dinamiche interne al gruppo: pare che almeno un paio tra di essi siano coinvolti in un’operazione losca a base di propano. Nulla che possa far pensare alla creazione della cupola, ma qualcosa sotto c’è.
King si diverte a creare suspense, lo fa da decine di anni, e noi con lui, a farci trascinare da questo meccanismo collaudatissimo.

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Alla fine, quello che conta non è neppure il traguardo, che si spera sempre possa essere eccezionale, piuttosto la parte fondamentale è lo stesso viaggio, la familiarità con personaggi e situazioni, la familiarità di chi attende l’inspiegabile e se lo vede servito su un vassoio d’argento, in grande spolvero. E poi, c’è tanta qualità, e mestiere, in questo pilota, cosa che non guasta di certo.
Da tenere d’occhio.

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