Under the skyline. Sotto l’orizzonte

Creato il 26 luglio 2011 da Edizionialtravista
lug 26, 2011 Vai ai Commenti by roberto.bernardis

“Under the skyline – Sotto l’orizzonte” è un libro, ma non un libro tradizionale che troverete in libreria ma bensì un libro che verrà pubblicato gratuitamente ed a puntate ogni lunedì. Oltre alla versione gratuita online, ovviamente, c’è anche la versione cartacea comprabile da lulu.com per coloro che non hanno voglia di aspettare le puntate.

Ma bando alle ciance, cominciamo

Prologo – parte I

Non provava alcun rimorso nel vedere quello sguardo terrorizzato che lo implorava di salvargli la vita, erano giorni, forse settimane che veniva torturato senza pietà da quell’uomo che ora implorava di essere risparmiato ed oltretutto, anche se nella sua anima si fosse insinuata un po’ di pietà, sarebbe stato troppo tardi visto che oramai la lama del coltello gli aveva già oltrepassato la trachea e reciso la giugulare. Il sangue che fuoriusciva dal collo di quel bastardo, colandogli sulle mani, ci avrebbe messo pochi secondi a strappargli la vita e lui era intenzionato a reggere lo sguardo fino alla fine perché voleva fargli sapere di quanto era contento di ciò che stava facendo. Come gli era stato insegnato molti anni addietro attese che cessassero gli spasmi prima di togliere il lungo coltello dal collo dell’uomo ormai esanime e rendersi conto che non era ancora finita, anzi, il difficile doveva ancora arrivare. L’adrenalina che lo aveva tenuto in piedi fino a quel momento stava svanendo, la testa gli girava e le gambe sembravano non voler rispondere, ma sapeva di aver poco tempo e sapeva che la sua unica speranza era uscire di lì prima che qualcuno, incuriosito dal troppo silenzio, non decidesse di controllare. Si guardò attorno, ma non c’erano armi da fuoco lì dentro: un generatore elettrico che alimentava la rete sulla quale spesso veniva appeso, un trapano con il quale gli era stata perforata una spalla ed una moltitudine di lame e punteruoli i cui segni erano ben impressi sul suo corpo. Per ora avrebbe dovuto accontentarsi del lungo coltello sporco di sangue che teneva in mano e sperare di non trovare troppa resistenza lungo la strada della sua fuga. All’interno della cella non faceva troppo freddo, non tanto da lasciarci la pelle quantomeno, ma fuori la temperatura doveva essere molto più rigida a giudicare dall’abbigliamento dei suoi visitatori così, senza pensarci due volte, sì avvicinò al cadavere che giaceva  in una pozza del suo stesso sangue, lo spogliò ed usò i suoi vestiti. I scarponi erano piccoli e gli stringevano i piedi, ma non aveva alcuna possibilità di fuggire scalzo e comunque quel dolore non era nulla rispetto a quanto provato nell’ultimo periodo. Era vestito,  il coltello che teneva in mano non era ciò che sperava di trovare ma sapeva usarlo piuttosto bene e forse quella che aveva davanti era l’unica porta che si opponeva tra lui e la libertà. Forse tra lui e l’inferno, ma no… l’inferno no, decise, perché ci era già e stava cercando di andarsene. Cercò di concentrarsi e di ritrovare le forze, protese il coltello in avanti pronto a colpire ed aprì la porta di ferro, ma con suo grande stupore si trovò nel bel mezzo di una stretta grotta buia e senza nessuno di guardia. Attese il tempo necessario affinché il suo sguardo si abituasse all’oscurità e benché fosse sicuro che il suo aguzzino avrebbe avuto una torcia decise di non servirsene perché sarebbe stato troppo facilmente individuabile. Concentrandosi sull’udito più che sulla vista capì ben presto che la grotta si allungava molto in profondità di quella che credeva essere una montagna, trasformandosi in  una galleria forse naturale, forse artificiale, ma la cosa non gli era di particolare interesse. Non era sicuro di ciò che sentiva, i suoi sensi erano stati molto alterati nell’ultimo periodo, ma gli pareva di sentire l’odore dell’aria arrivare dalla sua sinistra così cominciò a seguire quell’inaspettata, non troppo attendibile e forse fuorviante guida, ma gli era stato insegnato di dare ascolto al proprio istinto e così fece. Camminare era doloroso, come era doloroso cercare di concentrarsi su ogni rumore sospetto e sforzare la vista per cercare di distinguere le ombre della grotta, ma l’addestramento BUD/S (Basic Underwater Demolition /SEAL) era servito anche per alzare la soglia del dolore, benché nessun addestramento avrebbe potuto portare quella soglia così in alto. Mentre camminava appoggiandosi alla parete si augurò di andare verso la parte dell’uscita perché, ritrovarsi nuovamente nelle mani del nemico dopo aver preso la parte sbagliata del tunnel, sarebbe stato piuttosto frustrante e sconveniente. Nella migliore delle ipotesi, mortale. Passarono pochi minuti o forse poche ore, aveva spento il suo cervello per giorni ed ora non sapeva più quando era sveglio, svenuto o se ciò che vedeva era reale o meno, ma più camminava più sentiva i sensi riprendersi e, come un miraggio, un filo di aria ghiacciata si insinuò sotto la giacca di lana provocandogli un brivido che gli diede ulteriori forze per raggiungere l’apertura che si stagliava in fondo al tunnel. Sì fermò a qualche passo dall’apertura per cercare di sentire se all’esterno ci fosse una ronda di guardia e per abituare la vista alla forte luce del sole che non vedeva da molto tempo e che veniva resa ancora più tagliente da una immacolata coltre di neve. Rimase immobile per qualche minuto cercando di ricordare da quanto tempo non vedesse il sole, da quanto tempo fosse tenuto prigioniero, ma non riusciva a ricordarlo e più ci pensava più si rendeva conto che erano molte le cose che non ricordava, era tutto come un sogno fatto all’alba, di quelli che ci si ricorda di aver fatto ma di cui non si ricorda la trama. “Fanculo il tempo e fanculo la luce, svegliati o non uscirai mai vivo da qui” si disse sottovoce senza nemmeno rendersene conto. Ci era già passato una volta e sapeva che avrebbero scoperto la sua fuga fin  troppo presto. Strisciando ventre a terra si avvicinò all’apertura per controllare quante guardie stessero sorvegliando il pertugio ed il sangue gli si gelò nelle vene quando si rese conto che l’unica barriera tra lui e la sua fuga era un ragazzino di circa tredici anni che camminava avanti e indietro impugnando un mitragliatore e fumando una sigaretta; era solo un ragazzino ma non aveva dubbi che gli avrebbe sparato non appena fosse uscito allo scoperto. Non aveva mai ucciso nessuno così giovane, tutta la vita era riuscito a tenersi a debita distanza dai bambini soldato in Africa, e la sola idea gli dava il voltastomaco, ma per quanto giovane potesse essere quel ragazzo era pur sempre un nemico e soprattutto un nemico dal quale passava la sua vita o la sua morte. Doveva agire in fretta perché ogni secondo che passava lasciava entrare nella sua testa pensieri di pietà per la sentinella ed aumentava le probabilità della scoperta della sua fuga. Pur non avendone bisogno la sua mente volò velocemente all’addestramento ed a ciò che gli era stato insegnato, attese che il giovane gli desse le spalle, fece un respiro profondo ed uscì tanto velocemente quanto silenziosamente dal suo nascondiglio. Di colpo la giovane sentinella sentì una vampata di calore alla base del collo ed appena vide una mano sbucare nel suo campo visivo per afferrargli la fronte cercò di premere il grilletto del suo mitragliatore, ma la mano non obbedì. La lama era penetrata velocemente nella nuca del giovane, trapassando le vertebre e paralizzandolo all’istante. Ci sarebbero voluti solo pochi secondi prima che tutto il corpo staccasse la spina per concedersi l’eterno riposo. Non era mai successo durante gli interrogatori e le torture, mai durante un combattimento, mai da quando era diventato un uomo, ma ora una lacrima scendeva lungo la guancia dell’ex SEAL mentre teneva stretta al petto la testa del ragazzo. «Tranquillo, va tutto bene» gli ripeté in fārsi , con voce bassa e tranquilla, fino a quando non sentì che il cuore aveva smesso di battere. Lo adagiò a terra con cura, gli chiuse gli occhi e pregò Dio, non importava quale Dio, affinché si prendesse cura di quell’anima plagiata da uomini senza scrupoli.

Aveva finalmente trovato un’arma da fuoco ed anche se sapeva che sparare sarebbe stato come urlare ai quattro venti la propria posizione, ed era praticamente certo che non l’avrebbe usata, ora si sentiva molto più a suo agio e molto più sicuro. Era fuori dalla sua gabbia ed era armato, ma non aveva la minima idea di dove fosse ed attorno a se vedeva solamente montagne imbiancate; frugò nelle tasche della giovane guardia nella speranza di trovare una radio, ma vi trovò solo del tabacco. Era al freddo, sicuramente di molto sotto lo zero, stanco, ferito, affamato e senza la possibilità di chiamare aiuto… “Ecco perché vi bastava un ragazzino. Bastardi!”

[..CONTINUA] Categoria: Narrativa

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