-
UNDERBELLY - RAZOR (2011)
Sceneggiatori: Peter Gawler, Felicity Packard, Michaeley O’Brien, Jeff Truman
Attori: Danielle Cormack, Chelsie Preston Crayford, Anna
McGahan, Jack Campbell
Paese: Australia
“Underbelly”, per chi ancora non la conoscesse, è una serie televisiva australiana che racconta gli sviluppi del crimine organizzato in alcune delle città principali del Paese. Basata su fatti realmente accaduti, propone una struttura atipica che si distingue attraverso stagioni a trama orizzontale. Ognuna di esse, infatti, è a se stante, non ha nulla a che fare con le altre, raccontando parentesi che si aprono e si chiudono senza intersezioni di alcun tipo. La quarta stagione, nello specifico, si discosta notevolmente in termini temporali dalle precedenti. Se la prima e la terza ricoprivano insieme anni '90 e inizi 2000, e la seconda anni '70 e '80, “Razor” torna indietro di svariate decadi e racconta i ruggenti anni '20 della più popolosa città australiana, Sydney.
“Razor”, nello specifico, ricostruisce più o meno fedelmente quanto accaduto tra il 1927 e il 1936, inquadrando le due personalità che maggiormente si sono imposte nello scenario criminale del periodo: Kate Leigh (Danielle Cormack) e Tilly Devine (Chelsie Preston Crayford). Regine e rivali, gestivano rispettivamente alcol clandestino (e droga) e prostituzione; pur non entrando direttamente a contatto i loro ambienti criminali la lotta tra le le due non fece altro che inasprirsi, fino a raggiungere livelli tragici. Il tutto per motivi principalmente personali. A ruotar loro attorno quello che è forse stato il primo dipartimento di polizia con una donna al suo interno, Lillian Armfield (Lucy Wigmore), una giovane ragazza destinata a diventare la prostituta più famosa di Sydney, Nellie Cameron(Anna McGahan), e le organizzazioni criminali minori intenzionate a conquistare l'impero messo in piedi dalle due regine.
Nonostante il contesto sia ben lontano da quanto di più moderno si conosca, la serie non rinuncia affatto a quello stile capace di conferirle una personalità immediatamente riconoscibile, risultato delle tecniche cinematografico-televisive meno “eleganti” e misurate in circolazione. Nel descriverlo non si può non fare riferimento al cinema di Guy Ritchie, che con i suoi due primi lungometraggi ha lanciato e saputo sfruttare quello stile in maniera impeccabile, palesandone le enormi potenzialità nel racconto di un determinato tipo di storia e nella proposta, più in generale, di un particolare cinema di genere. È lo stile volgarmente definito “videoclipparo”, caratterizzato da un montaggio irregolare e frenetico, da un largo uso delle musiche, dall'abbondanza di ralenti e fast-forward e dall'uso di titoli e sottotitoli nell'individuare ed identificare i singoli caratteri. Addirittura si gioca con le scritte fino a sottolineare l'umore di un personaggio - il premier in visita alla stazione di polizia che da una puntata all'altra passa da “State Premier... Not Happy” a “State Premier... Still Unhappy” - o a tenere il conto degli scontri – quelli tra Caletti e Green: “Round One”, “Round Two”... - o, ancora, fino a scandire particolari passaggi nell'intreccio – le scritte di un giallo per niente discreto ad evidenziare l'impotenza dei poliziotti di fronte all'impossibilità di trattenere i sospetti per più di qualche ora: “Watch 'Em Walk”, “Arrest 'Em Again”.Dopo ormai quaranta puntate “Underbelly” questo suo stile lo gestisce alla perfezione, senza sbavature di sorta, al contrario di quanto accadeva nella prima stagione in cui appariva ancora acerbo e in quanto tale non sempre in grado di evitare forzature decisamente poco felici. Già dalla seconda in poi, invece, la serie si fa più matura imponendosi con una dimensione definita e definitiva; matura al punto di riuscire a mischiare con innegabile gusto il suo stile ultramoderno ad un contesto socio-temporale, come si scriveva, di quasi un secolo fa.
Si adattano perfettamente regia e fotografia. La prima con movimenti niente affatto calibrati ma al tempo stesso non troppo frenetici, al punto di trasmettere una certa ricercatezza pur di non apparendo troppo impostata per il volto modaiolo della serie; la seconda con assoluta consapevolezza del suo ruolo all'interno della struttura stilistica scelta: propone soluzioni che a volte rasentano il posticcio, finanche a raggiungerlo abbondantemente, senza però mai apparire non calcolate.
Non sono da meno neanche dialoghi e interpretazioni. Queste ultime in particolare sono perfette, a partire dalle attrici che interpretano le due protagoniste. Assolutamente credibili, dominano la scena come i loro personaggi l'intreccio, non mettendo però mai in ombra le interpretazioni dei comprimari, come anche dei personaggi terziari. Si fa davvero fatica, infatti, a trovare un attore meno bravo o comunque meno degno di nota rispetto agli altri, merito anche della direzione degli stessi e delle scelte in termini prettamente estetici.
Sulla carta ad “Underbelly – Razor”, con la sua maturità stilistica e con quel suo intreccio accattivante ed in parte originale, non essendosi mai viste due donne rivali a capo del crimine organizzato, in definitiva non manca nulla. Ciononostante, come accade anche con le stagioni precedenti, il coinvolgimento dello spettatore resta sempre su livelli medio-bassi. Una volta sfumato il fascino iniziale, risultato della presentazione stravagante dei personaggi, del periodo e del racconto, si perde gradualmente interesse per il prosieguo della storia, il che è curioso se si considera quanto scritto fino a questo momento. È parere di chi scrive che le motivazioni siano in gran parte da ricercare nella struttura narrativo-temporale di “Underbelly”. Se da una parte il dover ricominciare da zero ogni volta, con situazioni e personaggi nuovi, frena notevolmente l'empatia non conoscendo appunto i caratteri con cui si avrà a che fare, dall'altra la narrazione non rende avvincente quanto raccontato. La stessa infatti ripercorre in appena 13 puntate da quaranta minuti quasi dieci anni di trame e sottotrame, facendo apparire il tutto più un documentario dallo stile ricercato che un racconto in piena regola. A contribuire a questo aspetto una narrazione in terza persona che peraltro rende ulteriormente impersonale e distaccato l'evolversi di storia e personaggi.
I creatori della serie, tuttavia, non solo sembrano non voler cambiare rotta ma addirittura hanno rivolto il loro sguardo anche al di fuori dei confini australiani, proponendo una miniserie in 6 episodi ambientata in Nuova Zelanda: “Underbelly NZ: Land Of The Long Green Cloud”. Magari il minor numero di puntate aiuterà a renderla più scorrevole.