Arrivai un po’ in ritardo, questo vecchio dipartimento in cui mi ero laureato, e andai dritto verso il corridoio seguendo una freccia sotto la scritta “AULA C” che spiccava nera su un foglio bianco appeso a un muro bianco. Poi il corridoio finiva e l’indicazione spariva. Tornai indietro a chiedere. Il cortile dove c’erano le aule stava proprio lì, dietro una porticina eternamente chiusa dove il corridoio finiva.Scesi quattro diroccati gradini ed era proprio una bella giornata questa portata dal sole tra le vie e i cortili della città. La penombra dell’aula fatta di mattoni rossi e i sedili imbottiti color amaranto facevano una certa atmosfera come in quei vecchi pomeriggi di primavera passati a studiare e forse un po’ anche a fantasticare. Non conoscevo il tizio che con un filo di barba si muoveva sulla pedana, scriveva alla lavagna, guardava i fogli che teneva in mano e parlava.Poi cancellava simboli e formule e ricominciava a scrivere riempiendo in lungo e in largo i due metri e più di lavagna.Fuori al sole c’ero io, con la mia borsa a tracolla, che sbirciavo dentro. Qualcuno si girò per guardarmi.Mi appoggiai al muro, un po’ di lato. Ero l’unico in piedi al fondo di un aula non troppo affollata.In questa giornata di finta estate si poteva pensare che da un momento all’altro tutti si sarebbero alzati per andare a buttarsi su una spiaggia, se non che eravamo lontani almeno cento chilometri dal mare.Non avevo mai capito chi abitasse quei palazzi che davano sul cortile, tanto erano mal messi; comunque a un certo punto iniziò il bum bum di una batteria e un basso. Si era aggiunto a questo bel quadretto anche quello che mi aveva indicato l’aula; si era seduto su uno dei gradini e si era messo a fumare.
Tutto era perfetto: dentro l’aula l’algebra e fuori la vita. Be’, anche l’algebra a modo suo era un pezzo di vita.(continua)
Parti precedenti:
Underground 1 -
Underground 2 - Ponte e dintorni
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