"Non è uno dei tanti omicidi registrati su nastro. È un omicidio registrato da una bambina che credeva di fare una cosa semplice e forse originale, riprendendo un uomo al volante.
L’uomo vede la bambina e fa un breve cenno di saluto, agitando una mano senza toglierla dal volante – una reazione discreta che lo rende simpatico.
È un filmato implacabile, che sembra protrarsi all’infinito. Ha una determinazione senza scopo, una pervicacia che trascende il tema preso in esame. È un’esplorazione della mente del video familiare. È innocente, è senza scopo, è determinato, è reale.
L’uomo ha un inizio di calvizie in cima alla testa, è un tipo simpatico, sui quaranta, e la sua vita sembra totalmente spalancata davanti alla videocamera sorretta da una mano.
Ma c’è anche un elemento di suspense. Continui a guardare non perché sai che succederà qualcosa – naturalmente sai che sta per succedere qualcosa ed è per questo che guardi, ma in realtà potresti continuare a guardare anche se ti capitasse di vedere il filmato per la prima volta senza saperne niente. Qui è all’opera una forza bruta. Continui a guardare perché gli elementi si combinano in modo da avvincerti – l’impressione generale di casualità, di esercizio amatoriale fortuito, la sensazione di qualcosa di incombente. Non ti poni il problema se il nastro sia noioso o interessante. È rozzo, è ottuso, è implacabile. È la parte disturbata della tua mente, la pellicola che scorre nell’andirivieni del tuo cervello al di sotto di tutti i pensieri che sai di pensare.
Il mondo è in agguato nella videocamera, già inquadrato, in attesa che arrivino il bambino o la bambina e prendano in mano l’aggeggio, imparino a usare lo strumento filmando il vecchio nonno a colazione, rimbambito dall’ictus, con tanto di narici spalancate e il cucchiaio di cereali brandito alla bebè nella morsa del pugno pallido.
Mostra un uomo solo su una Dodge di media cilindrata, e l’immagine sembra durare un’eternità.
C’è qualcosa nella natura del nastro, nella grana dell’immagine, nei toni barbuglianti del bianco-e-nero, nella sua essenziale crudezza, che ti fa pensare che sia più reale, più aderente alla vita di tutto ciò che ti circonda. Le cose che ti circondano sono meno immediate, sembrano provate e ritoccate davanti allo specchio, abbellite dai cosmetici. Il nastro è iperreale, o forse sarebbe più appropriato dire subreale. È ciò che rimane sullo sfondo scrostato di tutti gli strati che hai aggiunto. E questo è un altro dei motivi per cui continui a guardare. Il nastro è di un realismo folgorante.
Mostra l’uomo che fa un breve cenno di saluto, col palmo rigido, come una bandierina di segnalazione a un binario di raccordo.
Sai che le famiglie inventano i giochi. Questo è uno dei tanti giochi di cui la ragazzina inventa le regole man mano che procede. Le piace l’idea di riprendere un uomo che guida la macchina. Probabilmente non l’ha mai fatto prima e non vede perché dovrebbe cambiare soggetto o chiudere in anticipo o spostare l’obiettivo su un’altra macchina. Questo è il suo gioco e lei lo sta imparando mentre lo fa. Si sente abbastanza brava e creativa e forse anche lievemente invadente, quel tanto di faccia tosta che dà più gusto a qualsiasi gioco.
E continui a guardare. Guardi perché questa è la natura del filmato, creare un percorso obbligato nel tempo, dare una forma e un destino alle cose.
Naturalmente se lei avesse spostato l’obiettivo su un’altra macchina giusta al momento giusto, avrebbe colto l’uomo armato nell’atto di sparare.
Il carattere casuale dell’incontro. La vittima, l’assassino e la bambina con la videocamera. Energie allo sbando che sfociano in un punto comune. C’è qualcosa qui che ti parla senza mezzi termini, dicendo cose terribili su forze al di là del tuo controllo, linee di intersezione che attraversano la storia, la logica e ogni ragionevole livello di aspettativa umana.
Ci piombò dentro a capofitto. La bambina si smarrì e piombò a occhi aperti nell’orrore. Questo è un racconto per bambini, un monito su quello che succede ad allontanarsi troppo da casa. Ma non è l’automobile di famiglia a servire da strumento alla curiosità della bambina, alla sua tendenza a esplorare. È la videocamera, a collocarla nel racconto."
(un estratto da UNDERWORLD, di DON DELILLO)
«Underworld è uno splendido libro di un maestro americano». Salman Rushdie
Il 3 ottobre 1951 al Polo Grounds di New York si gioca una leggendaria partita di baseball tra i Giants e i Dodgers. Della palla con cui viene battuto l’altrettanto leggendario fuoricampo che assicura la vittoria del campionato ai Giants si impadronisce un ragazzino nero di Harlem Cotter, Martin. Ritroveremo la palla cinquant’anni dopo in possesso di Nick Shay Costanza un dirigente dell’industria dello smaltimento dei rifiuti che nel 1951 era a sua volta ragazzino un passo più in là, nel Bronx. Nel romanzo di DeLillo i passaggi di mano della mitica palla servono da pretesto per la costruzione di un gigantesco quadro dell’America dalla guerra fredda fino alla crisi di Cuba e al crollo dell’Unione Sovietica.
«DeLillo riesce a leggere le ambiguità sinistre della recente storia americana nella nostra vita di tutti i giorni, soffocata dalla tecnologia». John Updike
Un romanzo che fa esplodere la storia, i miti e la vita quotidiana dell’America del dopoguerra e ne ricompone i resti. In una vorticosa alternanza di epoche e figure, DeLillo costruisce un puzzle di sequenze narrative dove protagonisti e comparse hanno lo stesso spazio, dove personaggi di finzione convivono con Lenny Bruce e con J. Edgar Hoover, il potente capo dell’Fbi. Seguendo i passaggi di mano di una pallina da baseball, cimelio di una famosa partita tra Giants e Dodgers, si finisce da una costa all’altra, da un’etnia all’altra, in un destino collettivo dominato dalle immagini e dai rifiuti. Scorie nucleari, pattume generico, feticci sentimentali, erotici, artistici. Un affresco dell’America di ieri, di oggi e di domani come nei migliori film di Altman, ma con in piú la forza di una scrittura che ha fatto definire questo romanzo «il capolavoro della letteratura americana contemporanea».
Don DeLillo è nato nel 1936 nel Bronx da una famiglia di origine italiana. Nella sua lunga carriera ha vinto il National Book Award, il PEN/Faulkner Award e il Jerusalem Prize ed è considerato il grande maestro della narrativa postmoderna americana. Presso Einaudi ha pubblicato: Underworld, Libra, Body Art, Valparaiso, Cosmopolis, Mao II, La stanza bianca, Giocatori, Running Dog, Rumore bianco, Love-Lies-Bleeding, I nomi, L’uomo che cade, Americana, Contrappunto, Great Jones Street, Punto omega, La stella di Ratner. L’angelo Esmeralda è la sua prima raccolta di racconti.
Underworld,
2012, pp. 886, Einaudi
Traduzione di Delfina Vezzoli