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Undici Metri – Arte e psicologia del calcio di rigore – Ben Lyttleton

Creato il 21 febbraio 2016 da Ferdori

undici metriNon dovrebbe essere difficile. In fondo si tratta solo di calciare un pallone in una porta alta 2,5 metri e larga 7,3 con una sola persona che può fermarlo.

Ma come ben si sa niente nella storia del calcio ha prodotto tanta ansia, gioia e disperazione quanto i calci di rigore.

Con questa premessa comincia Undici metri arte e psicologia del calcio di rigore, un viaggio lungo quasi un secolo che studia, analizza e trae conclusioni per quanto riguarda una particolare situazione del gioco del calcio.

Il capitolo iniziale è il punto di partenza di questo viaggio e la condizione che l’autore Ben Lyttleton, giornalista sportivo inglese, intende ripudiare con statistiche e casi reali, è che la vittoria o la sconfitta dopo una serie di calci di rigore sia frutto di casualità assoluta.

La denominazione “lotteria dei rigori” è quella che spesso si sente nominare, ma in realtà sono gli sconfitti, i perdenti che solitamente utilizzano quei termini.

In particolare gli inglesi, che hanno visto la loro nazionale uscire ben 6 volte su 7 nel corso di Campionati Europei o M0ndiali, seguiti a breve distanza dagli olandesi con 5 sconfitte su 7.

La malattia inglese la chiama Ben Lyttleton.

Quella sindrome che porta gli sconfitti a dire che è frutto del caso, che non è possibile allenarsi in modo da arrivare preparati al momento di una soluzione ai rigori, perché puoi anche tirare centinaia di calci di rigore in allenamento, ma  non è possibile ricreare le condizioni di stress che vengono affrontate in gare ufficiali così importanti.

1990 – Nessuno è riuscito a batterci sul campo (Bobby Robson)

1998 – E’ impossibile ricreare in allenamento le dinamiche di una vera sessione di rigori (Glenn Hoddle)

2004 – Si riduce tutto a quel dischetto. Quando arrivi a quel punto è una lotteria (Gary Neville)

2006 – Ci siamo allenati tantissimo, ma quando ci troviamo sottoposti a quel tipo di pressione non siamo abbastanza bravi (Sven-Goran Eriksson)

2006 – Puoi allenarti quanto vuoi ma non è mai la stessa cosa quando ti ci trovi davvero (Wayne Rooney)

2012 – In allenamento non si può simulare quella stanchezza alle gambe, quella pressione e quella tensione nervosa (Roy Hodgson)

Dunque quando si perde non è colpa di nessuno.

Ben non è per nulla convinto di questo, anche perché nazionali come la Germania vantano 5 vittorie in 6 sessioni e molte altre fanno meglio degli inglesi.

Nasce così una voglia di studiare il fenomeno dal punto di vista prima statistico e poi psicologico, con risultati veramente sorprendenti.

Qualche esempio:

– il portiere medio si tuffa verso il lato naturale con percentuale 60-40 (dunque non del tutto a caso);

– il calciatore che gira le spalle al portiere per prendere la rincorsa sbaglia più di chi retrocede (paura di subire l’influenza dei gesti del portiere);

– quello che parte appena sente il fischio dell’arbitro sbaglia più degli altri (voglia di farla finita al più presto anche a discapito del risultato);

– chi effettua una rincorsa con angolazione tra 15-30° segna decisamente più di chi utilizza angolazioni con meno di 15° o più di 30°;

– la squadra che nel corso della partita ha segnato per ultima vince molto più spesso di quella che ha subito l’ultima rete (inerzia positiva);

– chi deve calciare il rigore che può dare la vittoria segna con oltre il 90% di media (voglia di vincere);

– chi deve calciare il rigore per rimanere in partita segna con meno del 70% (paura di sbagliare);

– chi calcia dopo che l’avversario ha segnato con un “cucchiaio” ha percentuali di errore più alte (subisce inconsciamente il rigore precedente);

e tanti altri dati che portano alla conclusione che il richiamo alla lotteria non è ammissibile e rappresenta solamente un punto di debolezza da parte di chi la chiama in causa.

Non solo, dopo una lunga analisi statistica che passa in rassegna numerosissimi casi di portieri e rigoristi (bello andare su youtube a vedersi i filmati dei rigori chiamati in causa), il libro si sposta verso il lato psicologico.

E qui si vede come sia possibile allenare dei rigoristi importanti; non tanto dal punto di vista tecnico, ma da quello psicologico, che in situazioni del genere è fattore ancora più determinante.

La conclusione di un famoso psicologo dello sport è che si possano individuare ben 4 situazioni differenti sulle quali è possibile lavorare per ridurre lo stress e le sensazioni negative che un rigorista deve affrontare.

La numero 1 riguarda il bordo campo e prevede come dovrebbe comportarsi un allenatore tra il fischio finale dei tempi supplementari e la chiamata al centro del campo dei giocatori.

La numero 2 riguarda come essere Squadra dentro al cerchio di centrocampo durante tutta la sessione di rigori.

La numero 3 si focalizza su quali pensieri devono attraversare la mente del giocatore mentre si dirige verso la porta per calciare il proprio rigore.

La numero 4, infine, definisce un metodo di comportamento da utilizzare tra il fischio dell’arbitro e l’atto del calciare verso la porta.

Quando questi 4 fattori sono ben preparati, ecco che il risultato finale è percentualmente molto più positivo che negativo.

In sostanza non si tratta di allenare i giocatori a calciare un rigore, ma ad affrontare la situazione dal punto di vista psicologico, perché un buon risultato dipende per oltre il settanta per cento dalla mente e meno del trenta per cento dalla tecnica.

Studi di psicologia dimostrano che eventi negativi influenzano negativamente l’individuo molto più di quanto quelli positivi lo influenzano positivamente.

Dunque concentrare lo sforzo per eliminare parte di questi elementi negativi (la paura di sbagliare, il dubbio sul dove e come calciare, la distrazione che può dare l’avversario, il timore di deludere i compagni, il pensiero ai titoli dei giornali, ecc.) può portare a grossi risultati.

La conclusione che ne deriva è ovvia e non riguarda per nulla lotterie e casualità.

Tempo di lettura: 9h 49m



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