La cenere della sigaretta oramai copriva buona parte della scarpa di Hadouch, ma lui era assorto nei pensieri, seduto lì sul balcone della sala parenti. Non gli importava del freddo pungente, se ne stava immobile come una statua rimuginando sulle parole di suo padre.
- “Gesù figlio mio, ne ho viste di cose brutte nella vita lo sai!” gli raccontava poche ore prima quando erano rimasti soli “… lo sai no?” insisteva il padre come a chiederne conferma e Hadouch annuiva.
- “… ma quello che è successo in quella casa, no, no, no, figlio mio, nulla di così pazzesco e orrendo ho mai visto in vita mia, lo giuro!”
Hadouch accarezzava la mano di suo padre Amar.
- “padre raccontami cosa hai visto, cosa ti ha sconvolto così, ti conosco sei un uomo forte e non è normale questa tua reazione” chiede tutto questo carico d’ansia e preoccupazione.
Una lunga pausa congela quel momento, Amar sdraiato sul letto dell’ospedale, pallido, l’ombra dell’uomo forte che è sempre stato, Hadouch seduto al fianco, insensibile al via vai del corridoio, appeso alle labbra del padre in attesa di sapere.
- “Figliolo! Figliolo!” una voce stridula percuote i timpani di Hadouch che si sente scuotere persino nel corpo, perso nei suoi pensieri, non aveva notato quella figura femminile venirgli incontro.
Ora la donna lo sovrastava e gli ripete insistentemente “figliolo” mentre la mano inaspettatamente forte gli artiglia la spalla, muovendolo in continuazione per destarlo.
- “uoh uoh uoh… ma che caz… ehm… Sorella! La prego la smetta!” alzata la testa Hadouch si ritrovò nuovamente nella terrazza della sala d’attesa dell’ospedale, il mozzicone di sigaretta tra le dita e una gigantesca suora dinanzi a lui.
- “Era ora figliolo! Cos’è sei drogato? Bevi? … No non puzzi d’alcool, allora ti fai di quelle schifezze che vi passate adesso voi giovani delinquenti eh? Forza Hadouch parla!” gli intimò la suora.
Frastornato e confuso da quel risveglio inaspettato, dalla raffica di domande di quella suora che oltretutto sembrava conoscerlo. L’aveva chiamato per nome, ma chi era quella donna?
- “Allora Hadouch? Cos’è il gatto ti ha mangiato la lingua? Non sembrava ti mancasse prima, mentre mi stavi mandando a quel paese eh?” la suora maestosa poggiava ora i pugni sui fianchi e saettava sguardi punitivi verso il ragazzo.
- “Sorella… prima di tutto io non so chi sia lei e quindi come fa a dire certe cose di me?”
- “Sei uno dei figli di Amar, quello del bar Le Noir, credi che non mi ricordi di voi teppistelli? Non mi hai ancora risposto, ti devo dare una pizza come facevo quando alzavi le gonnelline alle bambine?
Un fulmine colpì Hadouch, tant’è che la sua testa quasi non colpì una delle sue ginocchia, non sapeva neanche da dove fosse arrivata la manata ma quella suora era spaventosamente forte. Ora però il ricordo era limpido e chiaro.
- “Suor Gervaise, ma è impazzita? Sono grande adesso, non può mica trattarmi come quando ero un ragazzino?” disse tutto massaggiandosi la nuca e guardando la suora dal basso, era inquietante quella femmina.
- “… e comunque non mi drogo, non sniffo, non pippo, insomma non faccio nulla di quel che pensa, non siamo mica tutti tossici nel quartiere, voi in divisa vi credete di sapere tutto e di giudicare tutti! Che vuole da me?” ora la sua voce era stizzita e prendeva fervore, suo padre sotto shock nella stanza di quell’ospedale lo stava rendendo nervoso e irritabile e quella suora non lo spaventava più come un tempo.
- “Aaah bene, bravo! Allora la lingua c’è l’hai? Sentimi bene ragazzino, non sono qui per te altrimenti te le avrei già date di santa ragione, sto cercando una ragazza. Si chiama Maracuja… Creola… Una morettona tutta curve? … Beh cosa mi guardi così? Possibile che non la conosci, fa la vita nel tuo quartiere?” chiede stizzita la suora.
Hadouch scuote il capo, mai sentita, ne vista questa ragazza, se ne stupisce anche lui visto che quelle del quartiere le conosce tutte, prima o poi passano tutte Le Noir a farsi un goccetto, ma questa non la ricorda proprio e dalla descrizione dei Suor Gervaise invece non dovrebbe essere una che passa inosservata.
- “Ah, i soliti teppistelli di quartiere! Loro non parlano, non vedono nulla, tszè!” e lo lascia così, infastidita si allontana senza neanche una sberla di saluto.