Intervenendo al Workshop sull’Etica per la Gestione dei Beni Culturali, al convegno internazionale nel quale l’UNESCO da Firenze e Lucca propone l’istituzione di una “Giornata per l’Etica Globale”, Giovanni Gentile rilancia le proposte della Fondazione Florens, che presiede, per un “Modello di Sviluppo Italiano dell’Economia della Cultura”.
Con 12 aree progettuali ben delineate, la Fondazione fa sue le conclusioni di Florens 2012, e le offre all’opinione pubblica per un dibattito nel quale si auspica un ripristino della centralità della cultura nella vita politica.
Riporto di seguito l’intervento di ieri, 11 Marzo 2013, di Giovanni Gentile, al convegno mondiale dell’UNESCO per l’Etica.
“L’Italia è stata per secoli un punto di riferimento per la cultura europea, immersi nel suolo della Penisola erano le radici della civiltà e della modernità, la storia di Firenze, di Venezia, di Roma e delle cento città e paesaggi del Belpaese costituiscono la tessitura
profonda della cultura italiana e di gran parte del mondo occidentale.
Il modello che si può ricostruire risalendo nei secoli parla con continua autorevolezza a chi oggi nel mondo vive la cultura e il patrimonio culturale come esperienze fondamentali per la qualità della vita. In particolare l’attenzione si concentra su due grandi politiche di trasformazione: da un lato la conservazione del passato, dall’altro l’innovazione e quindi la produzione della cultura del futuro. Sulla possibilità di integrare tali politiche si gioca l’opportunità di proporre un modello italiano di cultura e creatività, prendendoatto che la conservazione non è contrapposta allo sviluppo, al contrario, essa rappresenta uno dei nuovi volti dell’innovazione per la società contemporanea.
Perché, come è stato rammentato anche a Davos, all’ultimo World Economic Forum, solo l’innovazione è capace di guidarci fuori dalla
crisi, un’innovazione nel modo di organizzare, di produrre, e di cercare la fiducia delle persone. Perché le certezze alle quali eravamo abituati non si adattano alla realtà in costante cambiamento che viviamo. E l’immobilismo generato dalla sfiducia e l’incredulità davanti agli eventi è letale perché impedisce di rimanere al passo con i tempi. Bisogna dunque accogliere le sfide e trasformarle creativamente in vantaggi.
Perché non c’è un modello per uscire dalla crisi ma la cosa peggiore da fare è rimanere fermi. Il cambiamento va abbracciato perché, in fondo, le crisi sono anche delle grandi opportunità per trovare nuove vie, che potrebbero essere migliori delle precedenti.
L’opportunità, in questa nostra profonda crisi, sarebbe quella di fare una scelta al contempo etica e produttiva, sostenibile e originale, scegliendo di investire nei beni culturali.
In Italia, il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha rammentato più volte le potenzialità degli investimenti in una migliore gestione e valorizzazione della “risorsa cultura di cui è ricco il nostro Paese”.
Perché se oggi viviamo una crisi dell’etica che si situa in una crisi generalizzata delle certezze, dove gli individui e le loro competenze, settoriali e specifiche, sono isolati in autonomie che finiscono per disintegrare le comunità tradizionali, l’economia della cultura si pone come una scelta capace di riunire le identità proprio per un principio etico ritrovato.
Florens ha fatto emergere un ampio consenso sull’esigenza di elevare il rango delle politiche per la cultura, attribuendo loro un valore
centrale nelle strategie di governo. Ci si è spinti a parlare di una vera e propria politica industriale per la cultura, volendo in questo
modo sottolineare l’esigenza di tenere adeguatamente conto delle implicazioni economiche, con un approccio strategico che valorizzi le potenzialità di crescita economica derivanti dall’investimento in cultura.
Dalla concezione unitaria di conservazione, valorizzazione e produzione, allo sviluppo di un mercato per i servizi nei beni culturali, anche quelli immateriali; dalla promozione del territorio e delle risorse paesaggistiche italiane al sostegno alle atmosfere creative, dall’integrazione di nuove tecnologie ad un nuovo rapporto pubblico e privato, la scelta dell’economia della cultura, nei 12 punti di Florens, si configura come un motore di sviluppo possibile, estendibile a tutti quei paesi di cui l’UNESCO tutela il patrimonio culturale, e multiculturale.
Gestire bene e valorizzare il patrimonio culturale e ambientale significa coltivare una memoria collettiva che vede inserite le attività umane in un rapporto costruttivo con l’ambiente. Viceversa trascurare storia, passato e patrimonio artistico impoverisce le identità, riducendo possibilità di scambi culturali.
Recuperare le proposte dell’economia della cultura diventerebbe cosi non solo un modello italiano di sviluppo sostenibile, ma partendo dal patrimonio dei beni culturali, procederebbe alla valorizzazione della risorsa cultura attraverso dei meccanismi di capitalismo etico.
Sarebbe una scelta innovativa, capace di mantenere Italia ed altri paesi sul sentiero della storia, ma anche in maniera radicalmente
nuova. Perché la scelta di investire in cultura, basata su una visione aperta e dinamica della società contemporanea, rimette al centro
dell’attenzione e delle attività le persone e la sostenibilità.