di Filippo Marchini
Tra i piaceri che un viaggio Ungheria può regalare quello per il palato sorprende in maniera decisa, spesso sfatando uno dei tanti pregiudizi del turista italiano, molte volte tentato dal gusto provinciale di rifugiarsi in una “pizza”, affidandosi sul fatto che ormai anche in Italia ne mangerebbe una preparata da un pizzaiolo cingalese o egiziano, come accade del resto in tutta Europa.
Dopo una giornata in giro per musei e città storiche, appena fa buio (in Ungheria si mangia presto, ma soprattutto si mangia quando si ha fame), ci si può rifugiare in uno dei tanti ètterem, ristoranti, quasi tutti accoglienti e caratteristici. Particolarissimi in questo senso quelli specializzati in piatti a base di cacciagione, quasi sempre immersi in ambienti rurali e con sale adornate di trofei di ogni tipo.
Chi scrive, dopo tanti anni di fedeltà al cinghiale in umido con le olive, ha piacevolmente scoperto la tradizione del porkolt, spezzatino di carne cucinato con paprika, spezie e pasta fatta in casa come contorno, che raggiunge il suo “top” con carni forti come appunto il cinghiale, ma anche con quella di cervidi come il capriolo, finanche alla lepre o l’anatra. Il cervo viene invece preparato in ottimi arrosti, mentre la “sella”, la coscia e le bistecche sono il centro di vari piatti nobilitati da salse tra cui spiccano quelle a base di frutta, conserve, con contorni che vanno dal cavolo alle immancabili patate.
Si può ovviamente provare anche la tradizione di piatti più poveri, come il famoso “lecso”, un insieme a base di uova, peperoni e patate che ricorda molto il “bauernfruhstuck” (la colazione del contadino) della tradizione germanica (piatti simili esistono anche in Polonia). Dal “lecso”si può passare al lesso, essendo le carni bollite un’altra grande passione degli ungheresi. Il brodo è di solito condito con erbe, come una varietà di erba cipollina, mentre le carni sono accompagnate da verdure come carote, sedani e cavoli, ma soprattutto da salse particolari come la “torma”, che pizzica delicatamente la lingua e dà brio al lesso, un po’come senape, maionese e mostarda.
Nelle grandi occasioni, come pranzi ufficiali e matrimoni, il brodo ed il lesso aprono la strada alle altre portate, dove anche carne, pesce fritto e zuppe sono molto popolari.
Ed eccoci al famoso “gulyas”, che molti di noi pensano di aver mangiato nel Tirolo o in Austria, dove però viene dato questo nome ad uno spezzatino più simile al porkolt, ma senza il contorno di pasta cotta fatta in casa come in Ungheria. Il vero gulyas viene preparato con carne di manzo bollita con patate, carote e altre verdure che ricordano alcuni stufati della nostra tradizione: come molti di questi piatti, il gulyas è ancora più gustoso il giorno dopo.
I vini pregiati non mancano, la produzione vitivinicola magiara è di ottimo livello, sia con i vitigni tradizionali che con quelli importati, con gradazioni compatibili con il clima continentale dell’Ungheria, dove comunque i vigneti hanno un’ottima insolazione e si fanno strada anche ottimi spumanti. Le acqueviti sono genuine, mentre fanno la gioia degli appassionati un’infinità di grappe e liquori a base di frutta, con cui si preparano anche succhi naturali per chi non beve alcol e ottime marmellate.
Il vino principale, anzi regale vista la sua definizione di Vinum Regum Rex Vinorum (vino dei re, re dei vini) è ovviamente il Tokaji, nelle sue varie espressioni (furmint, oppure 3, 5, o più “puttonyos”, in base alla quantità di passito usata per un litro) e annate (da tre a 12 e più anni), che accompagna divinamente gli squisiti e variopinti dolci della pasticceria magiara: si tratta in molti casi di veri e propri monumenti per golosi, con largo uso di frutta e creme di ogni tipo, dove non manca il cioccolato, specie quello alle nocciole tipo gianduia, come nella famosa Dobos Torta, inventata dall’omonimo pasticcere per la principessa Sissi.