Ungheria: perché Viktor Orban è un buon stratega geopolitico
Creato il 28 ottobre 2013 da Conflittiestrategie
La moderna Ungheria appare spesso enigmatica all’osservatore internazionale. Le politiche poco ortodosse del combattivo primo ministro Viktor Orban hanno suscitato speranze, indignazione e scherno da quando è stato eletto per un secondo mandato nel 2010. Ma come il suo discorso di mercoledì (9 ottobre, NdT) alla Chatham House di Londra (sede del Royal Institute of International Affairs, NdT) dimostra, Orban è un pensatore molto serio di fronte a problemi molto seri. Le sei tesi che ha sostenuto, sebbene dissimulate dal linguaggio del politico, sono in ultima analisi l’illustrazione più chiara della logica moralmente discutibile ma geopoliticamente coerente che guida le controverse politiche del suo partito Fidesz.
Il peso della storia rimane un pesante fardello per l’Ungheria, un paese situato nel cuore dell’Europa Centrale diviso tra le grandi potenze d’Occidente e l’Oriente per gran parte della sua storia. In questo tipo di paesi contesi raramente un cambiamento radicale porta buone notizie, e si è particolarmente attenti alle dinamiche geopolitiche.
Nella sua posizione attuale, l’Ungheria si trova proprio tra una Unione Europea in declino e una Russia risorgente . Naturalmente, questa descrizione semplifica eccessivamente la situazione; la Russia è afflitta dalle sue stesse vulnerabilità e l’Europa rimane un possente pilastro del sistema globale. Tuttavia, con l’Europa occidentale preoccupata dalla propria crisi esistenziale, la Russia è diventata relativamente più forte e assertiva.
L’Ungheria non è un paese particolarmente ricco o potente. E ‘un paese senza sbocco sul mare e con poche risorse naturali che tende a gravitare, a volte spontaneamente, intorno ai più potenti attori regionali (basti ricordare gli Asburgo, l’impero ottomano e l’Unione Sovietica). L’Europa occidentale e l’Unione europea erano gli alleati politici ed economici con i quali l’Ungheria post-comunista aspirava ardentemente ad allinearsi (nel suo discorso, Orban li ha chiamati “l’agognato Occidente”).
Quattro delle sei tesi di Orban sono state rivolte a mostrare il fallimento del modello europeo post-nazionale e la sua incapacità di offrire la stabilità economica e politica che aveva promesso. Non a caso, Orban ha scelto di pronunciare il suo discorso nel Regno Unito, tradizionalmente euroscettico, dove la retorica anti-europea è riemersa negli ultimi mesi.
Orban non ha menzionato la Russia nel suo discorso, ma lo spettro di Mosca è stato fin troppo familiare per tutta la sua carriera politica. Guidata da Vladimir Putin, un altro esperto stratega, una Russia fragile ha mitigato le rozze tattiche intimidatorie del suo passato e ha invece scelto di acquistare attività commerciali strategiche in Europa centrale come mezzo per riguadagnare influenza nella sua ex periferia.
Orban assume correttamente che con un centro europeo sempre più distante e senza alcun potente padrino in grado di sostituirlo, l’Ungheria alla fine non potrà sottrarsi a un confronto negoziale con la Russia. Le politiche di Orban più controverse – per esempio la nazionalizzazione dei fondi pensione privati, il tentativo di neutralizzare il settore giudiziario, la nazionalizzazione in corso delle attività energetiche strategiche – sono tutte progettate per concentrare il potere nelle mani dello Stato. L’accentramento del potere migliorerà la posizione negoziale di Budapest per quella che Orban vede come una inevitabile apertura verso Est.
Le politiche di Orban e del suo partito Fidesz si scontrano sistematicamente con gli ideali liberisti sanciti dall’Unione Europea e sono quindi incappate nelle ire di Bruxelles. Tuttavia, la consapevolezza che l’Ungheria non può evitare la Russia anche di fronte a una maggiore integrazione nell’Unione europea, la disapprovazione delle elite occidentali conta molto meno per Orban che la sua capacità di sostenere la sovranità dell’Ungheria nel lungo termine.
La realtà geopolitica dal Mar Baltico al Mar Nero è questa: l’Europa si sta disintegrando, la Russia si sta riaffermando e gli Stati Uniti mantengono un atteggiamento per lo più ambivalente. L’esperimento ungherese è solo il primo del suo genere – Orban stesso ha definito l’Ungheria “un laboratorio” nel suo discorso – e, in caso di successo, potrebbe diventare un modello da seguire per altri leader dell’Europa centrale. Si tratta di una prospettiva poco entusiasmante per i commentatori occidentali e burocrati europei, che hanno lavorato per decenni per portare i paesi ex satelliti sovietici sotto l’egida dell’Unione Europea e che hanno già usato parole come “totalitarismo”, “dittatura ” e “autoritarismo” per descrivere l’Ungheria.
Ma, come il nostro capo analista geopolitico Robert Kaplan ha scritto di recente, la geopolitica è indipendente da qualunque sistema di valori. L’adagio è particolarmente applicabile a Orban, che non è né un folle assetato di potere come Nicolae Ceausescu né un celebre araldo della democrazia liberale come Vaclav Havel. Piuttosto egli è una figura più complessa e sfumata che nonostante tutti i suoi difetti capisce le realtà scomode dei dilemmi geopolitici ed è disposto a perseguire scelte altrettanto scomode.
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