di Claudia Leporatti
Viktor Orbán non va in vacanza e la sua voglia di sfidare la definizione di democrazia, nemmeno. Scherzi a parte, – sulle ferie, il premier ha infatti riferito che si prenderà due settimane – nel weekend Orbán ha dato il meglio di sè :”Speriamo non sia necessario introdurre una nuova forma di governo che sostituisca la democrazia, ma abbiamo bisogno di nuovi schemi economici e nuove idee”. Un’uscita da far tremare i muri, pronunciata in Romania durante una visita presso un campus universitario in località Tusnádfürdő (parte dell’ex Regno di Ungheria fino al Trianon). Occasione in cui Viktor ha sfoderato una serie di frasi ad alto impatto mediatico, catturando di nuovo l’attenzione internazionale. Riprendiamo le più interessanti da nol.hu, versione online del quotidiano Népsabadság. Il leader della Fidesz ha rotto il ghiaccio così: “Bruxelles è il più grande ostacolo allo sviluppo di soluzioni nazionali”. Davvero? Pensavamo che l’Unione europea servisse a incitare gli stati a fare tutto da soli! Sbaglierò, ma sembra una frase detta a sommo studio per essere ripresa dai giornali. Sparate eccessive che ingrassano gli occhi dei giornalisti pronti a riprendere pezzi dell’intervento senza accennare alle spiegazioni successive (magari cambiando anche l’ordine delle parole, come vedremo alla fine di quest’articolo). Orbán ha aggiunto che restare in Europa è importante lo stesso, che siamo tutti sulla stessa barca, anche se occupiamo estremità diverse dell’imbarcazione. Le ricette dei Paesi orientali devono quindi differire da quelle scelte per l’Ovest. Se lo sguardo si concentra sulla sola Ungheria – ha proseguito il primo ministro magiaro -, la formula è essenziale: quando governano i socialisti il Paese va alla deriva, quindi occorre spostarsi verso destra. Vilagos (luminoso, chiaro), viene da dire in ungherese.
Nella stessa giornata, V.O. ha partorito un colorito repertorio di tormentoni per i comici suoi connazionali: tra l’altro ha affermato che l’Europa occidentale è gelosa di come l’Ungheria ha saputo gestire “con successo” la crisi. Può essere, ma non trovo numeri tali da far invidia agli altri governi, semmai una certa comunanza di problemi e valori negativi. In uno dei momenti migliori di una performance da palcoscenico, il pm ha asserito che i funzionari dell’Ue “perdono settimane a definire le dimensioni delle gabbie per i polli, a mettere giocattoli nei porcili e a preoccuparsi che le oche stiano tranquille, mentre centinaia di migliaia di persone perdono il loro lavoro, osservando l’avvicinarsi al collasso del sistema che li ha retti finora e con la sensazione che andare avanti sia sempre più difficile”. (Sorvoliamo sull’agghiacciante sfoggio di modi di dire. C’è l’attenuante che in ungherese suonano meglio). La crisi, ha proseguito il politico, viene da Occidente ed è stata covata dal sistema impersonale di Bruxelles, che non tiene conto delle specificità dei singoli Paesi. Forse un minimo di riguardo verso un’istituzione in cui lui stesso afferma di voler restare sarebbe opportuno, ma se qualcuno raccoglierà la provocazione potrebbe nascere una discussione interessante. Ancora meglio sarebbe se qualcuno approndisse l’argomento, con una bella indagine su quello che fa l’Unione europea. Controllare i controllori non guasta. Il modello Est Orbán ha poi raccontato come negli anni Novanta fosse diffusa la tendenza a riprodurre gli schemi adottati dai Paesi occidentali. Sono invece le nazioni dell’Europa centrale, abituate a subire sconfitte e ricostruirsi, quelle che dovrebbero fare scuola. Anche se con una punta di auto-celebrazione Orbán ha qui il merito di aver proposto uno spunto interessante e spesso sottovalutato. Nell’argomentarlo ha lanciato anche l’idea di un’alleanza dei Paesi dell’Europa centro-orientale, volta ad affrontare gli avvenimenti dei prossimi 20-25 anni. A questo punto ha gettato uno sguardo al futuro. Nel prossimo ventennio i rapporti tra Ue, Russia e resto del mondo cambieranno. Anche in questo caso è importante che i paesi dell’Europa centro-orientale trovino il loro approccio separato all’ex-Urss che non può procedere insieme a quello dell’Ovest, se non altro per ragioni storiche. Di nuovo, se ci fosse del buono in quello che dice? Pout-pourri di commenti
Parlando di banche, Orbàn ha ribadito l’importanza dell’indipendenza di quelle nazionali e, in risposta alle polemiche contro il controllo esercitato dal suo governo su quella di Budapest, ha osservato che la stessa Banca Centrale Europea è soggetta all’influenza crescente di decisioni politiche nazionali. Immancabile la sparata contro la sinistra: l’Ungheria negli anni Novanta aveva saputo gestire bene un debito pubblico che adesso potrebbe essere al di sotto dell’80% del PIL se non ci fossero stati gli otto anni di errori dell’ultimo governo socialista.
L’articolo su Repubblica
Immediata la ripresa da parte della stampa, anche da quella italiana. Con quali toni? Catastrofici a dir poco. Scrive sabato 28 luglio Andrea Tarquini su Repubblica: “Gravissima svolta in odore di fascismo nei disegni politici del potere ungherese, sfida dall’autocrate di Budapest (il premier Viktor Orbàn) ai valori costitutivi dell’ Europa. Per la prima volta, il capo del governo di destra nazionale ed euroscettica, con parole pesantissime e pubbliche, ha minacciato di sostituire la democrazia con un altro sistema politico”. Sull’ultima frase, mi pare che trasmetta un messaggio diverso da: ”Speriamo non sia necessario introdurre una nuova forma di governo che sostituisca la democrazia, ma abbiamo bisogno di nuovi schemi economici e nuove idee”. Ad ogni modo, le parole di Orbán sono preoccupanti qualunque sia la traduzione considerata. D’altra parte, continuare a tacciare l’Ungheria come una deriva neofascista mi sembra controproducente. A chi verrà voglia di trasferirsi in questo Paese, pure ricco di opportunità per l’imprenditoria italiana? Le meccaniche del giornalismo impongono titoli accattivanti e toni polemici, lo sappiamo. Chi scrive questo pezzo, del resto, si è dedicato a un’infornata di dichiarazioni di Orbán piuttosto che ad altre notizie. Bisogna pur scrivere quello che interessa. Ma integrarlo con qualche dato potrebbe dare un quadro più realistico di una situazione che non è da Germania anni Trenta. Il diffuso accanimento contro il corrispondente da Berlino di Repubblica, che copre anche l’Ungheria, non m’interessa. Ho citato il servizio di Repubblica perché è il massimo che è arrivato da Budapest lo scorso fine settimana a raggiungere il cittadino medio italiano. Le testate maggiori sono costrette a risparmiare sui collaboratori esterni, mentre i media minori riprendono gli argomenti scovati dai big perché non hanno le risorse per andare più a fondo. In casi come quello ungherese, con un governo che fa temere le ipotesi più funeste, non sarebbe il caso di trovarsi un corrispondente sul posto?