L’Università Niccolò Cusano ha condotto un’interessante ricerca, con i dati raccolti dalla Facoltà di Scienze Politiche e Economia, relativa alla presenza delle donne nella società italiana.
Il lavoro è giornalisticamente degno di nota, perché fotografa con chiarezza che, le donne nella società italiana, non hanno ancora ruoli da protagoniste, per quanto riguarda il lavoro e la politica (anche se certe ministre del recente passato potevano essere risparmiate alla povera Italia degli ultimi vent’anni).
In ogni modo, il nostro Paese è al 32° posto per la presenza di donne in Parlamento. In ambito aziendale non va meglio. Sono solo il 16% al vertice di un’azienda. Dato che stupisce visto che le donne sono circa il 60% dei laureati in Italia e oltre il 50% i dottori di ricerca. Mentre, in cattedra la percentuale rimane bassina: 35% i professori associati e il 21% gli ordinari. Ci sono poi le eccezioni, basti pensare a Samantha Cristoforetti , prima italiana nello spazio.
La situazione generale, non ci sono dubbi, vede ancora un notevole sbilanciamento tra uomini e donne nei gangli importanti del Paese. C’è anche da dire che l’intelligenza, la capacità di gestire, fare, ideare, creare, non dovrebbe avere genere, chi vale deve andare avanti per il meglio, chi se ne frega del sesso di appartenenza.
Ma si sa, l’Italia è uno dei Paesi meno meritocratici al mondo. Qui conta l’appartenenza, l’essere parte dei gruppi che contano, le raccomandazioni. Basti vedere come funzionano le cose nelle università italiane e il lavoro della Cusano diventa chiaro come il sole.
Terminiamo con le parole di Michela Crisci, dell’Ufficio ricerca & sviluppo area marketing dell’Università Niccolò Cusano, che afferma: ” Il lavoro evidenzia i 140 anni di “successi in rosa” (lotte, traguardi, affermazioni e leggi che hanno rivoluzionato il ruolo delle donne in Italia), sia i dati della presenza femminile nell’impresa, in politica e nelle università. E’ un lungo viaggio attraverso la condizione femminile, che non vuole esaltare il ruolo o le superiorità della donna, ma porre l’accento sul bisogno di un bilinguismo di genere in ogni ambito”.
Mauro Pecchenino