di Giuseppe Dentice
Quest’articolo fa parte degli approfondimenti di BloGlobal per il Festival d’Europa 2013
Nonostante i progressi compiuti nell’ambito della Politica Europea di Vicinato in tutte le sue rivisitazioni e declinazioni, Bruxelles si trova ancora oggi di fronte alla difficoltà di esprimere una politica mediterranea, lì dove non si può definire ancora completamente euro-mediterranea, di ampio respiro come nei progetti sorti all’indomani della caduta del Muro di Berlino, della riunificazione tedesca e del Trattato di Maastricht quando, “incassato” il mercato unico, Bruxelles iniziava a guardare in maniera rinnovata al resto del mondo e, soprattutto, al proprio “cortile di casa”.
In principio fu il Partenariato euro-mediterraneo (PEM) – Sorto nel novembre 1995 con la Conferenza di Barcellona tra i 15 membri dell’allora Unione Europea e 10 paesi del Mediterraneo – inclusa la Turchia – questo prevedeva la creazione di un’area di libera scambio finalizzata alla creazione di una cooperazione di natura politica, economica e sociale. L’obiettivo era quello di proporre una struttura multilaterale in cui collocare una serie di accordi di associazione che l’Unione Europea avrebbe dovuto stipulare in via bilaterale con i singoli Paesi. Alcuni di tali accordi hanno effettivamente aperto la strada a rapporti commerciali più solidi (come nel caso di Marocco, Egitto e Tunisia appunto), mentre in altri casi (Siria) questi non hanno portato a nulla. L’iniziativa è proceduta piuttosto lentamente, senza risultati molto soddisfacenti. Parallelamente all’istituzione del PEM, sono nate nello stesso periodo altre due iniziative informali di natura sub-regionale come il Forum per il Mediterraneo e il Dialogo 5+5, volti ad instaurare dei contenitori di idee e proposte per un rafforzamento delle politiche socio-economiche tra le due sponde. Tuttavia, le tensioni croniche nel Mediterraneo orientale dovute allo stallo nel processo di pace tra Israeliani e Palestinesi, nonostante gli Accordi di Oslo, hanno contribuito notevolmente a ridimensionare se non proprio bloccare sul nascere il processo politico che era stato ideato a Barcellona.
Pur avendo ottenuti buoni risultati con alcuni Paesi come Marocco, Tunisia o Giordania, questa politica non ha in realtà decretato quel salto di qualità necessario da strumento di cooperazione economico bilaterale ad uno vero e proprio partenariato euro-mediterraneo politico e multilaterale.
Unione per il Mediterraneo, l’illusione? - Nel 2008, il Partenariato conosce un nuovo sussulto sotto il semestre di presidenza francese e l’allora neo-insediato Sarkozy. A rinnovata testimonianza dell’interesse di Parigi nei confronti del bacino mediterraneo (e, più in profondità, del territorio africano) e sotto i buoni auspici della stretta di mano ad Annapolis tra l’ex Premier israeliano Ehud Olmert e Abu Mazen che avrebbe dovuto portare ad una rapida realizzazione di una road map per la soluzione al conflitto mediorientale così come delle trattative tra le stessa Israele e la Siria circa la restituzione delle Alture del Golan, il 13 luglio 2008 nasceva durante il Vertice di Parigi l’Unione per il Mediterraneo (UPM) che aveva l’obiettivo di sostituirsi all’agonizzante PEV e aprire 44 Paesi – dai Balcani al Marocco, passando per Israele – alla cooperazione economica e politica a 360° con l’obiettivo di “costruire insieme un futuro di pace, democrazia, prosperità”. Fu un fuoco di paglia, perché già alla fine dello stesso anno Israele lanciò la nuova offensiva sulla Striscia di Gaza. Lo scoppio della crisi economica e, poco dopo, l’accendersi delle proteste nei Paesi arabi – con la caduta di alcuni dei regimi con cui lo stesso Sarkozy e i leader comunitari avevano fino a quel momento trattato, Mubarak in primis – tagliarono le ali al progetto di mediterraneo integrato.
“More for More”, il rilancio degli aiuti finanziari - Nonostante l’impegno e le risorse profuse negli anni (circa 12 miliardi di euro nel periodo di riferimento 2007-2013), Bruxelles è riuscita di fatto solo parzialmente a promuovere prosperità, stabilità e sicurezza nel Mediterraneo. Così, in coincidenza delle proteste arabe, il 25 maggio 2011 la Commissione Europea e l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri e la Politica di Sicurezza hanno lanciato una proposta di revisione della PEV improntata lungo 4 direttrici principali:
• Garantire processi riformatori e democratici;
• Migliorare la mobilità delle persone e garantire una buona gestione dei flussi migratori;
• Promuovere uno sviluppo economico inclusivo;
• Favorire il commercio e gli investimenti;
Questo nuovo approccio comunitario, denominato “more for more”, offre ai Paesi in transizione un maggiore accesso agli aiuti economici e al mercato unico europeo in cambio di maggiori riforme in senso democratico e del rispetto dei diritti umani e delle libertà di espressione. Ovviamente il ritmo di completamento delle riforme condiziona lo sblocco degli aiuti finanziari e la possibilità di accedere a uno status avanzato di associazione.
L’Unione Europea ha stanziato per il triennio 2011-2013 5 miliardi di euro nelle politiche di vicinato, così ripartiti:
• 600 milioni di EUR attraverso “more for more”;
• 670 milioni EUR del bilancio UE vengono riorientati tramite due programmi ombrello: i programmi di assistenza SPRING (per il vicinato meridionale – 540 milioni di EUR) e EaPIC (per il vicinato orientale – 130 milioni di EUR);
• 79,2 milioni EUR l’anno per la promozione di riforme politiche e responsabilità pubblica nei Paesi toccati dalla transizione democratica;
L’UE ha, inoltre, offerto prestiti nei confronti di Egitto e Tunisia rispettivamente per un valore di 449 milioni EUR e 160 milioni EUR tramite lo Strumento eu¬ropeo di vicinato e partenariato (ENPI). Grazie al programma internazionale ISMED (sicurezza degli investimenti nella regione del Mediterraneo), Bruxelles ha finanziato, sempre nel triennio 2011-2013, investimenti e prestiti attraverso la Banca Europea per gli Investimenti (BEI) e la Banca Europea per la Ricostruzione (BERS):
• 1,15 miliardi EUR l’anno per la promozione degli investimenti attraverso la BEI;
• 2,5 miliardi EUR l’anno per finanziare progetti infrastrutturali attraverso la BERS;
Il rovescio della medaglia: se la crisi economica genera instabilità - I tentativi di integrazione dal 1995 ad oggi hanno dimostrato come la sola cooperazione economica, finanziaria ed energetica – sebbene questa di gran lunga la più sviluppata avendo infatti creato una dipendenza europea dagli approvvigionamenti nordafricani, come evidenziato dalla guerra in Libia – non abbia contribuito a rendere maggiormente coeso e politicamente stabile il bacino mediterraneo. A decretare la debolezza di qualsiasi progetto di regione politica euro-mediterranea è soprattutto l’assenza di un quadro politico coerente ed effettivamente condiviso sul piano della cooperazione e della realizzazione di robuste istituzioni che agiscano in merito. Le cosiddette Primavere Arabe e la crisi economico-finanziaria non hanno fatto altro che far venire a galla tali criticità rimaste tutto sommato sommerse negli anni in cui nel bacino mediterraneo vigeva un sostanziale status quo. Soprattutto la crisi interna all’UE – che a conti fatti ha una profonda radice politica oltre che culturale –, la contrazione economica e la crisi del debito hanno non di meno costituito un ostacolo per i Paesi della sponda nordafricana, che sono dipendenti dall’Europa in termini di export, di entrate del turismo, di rimesse e di afflussi di investimenti. Questi fattori hanno da un lato concorso ad indebolire ulteriormente le economie dei Paesi della sponda sud, alimentando in parte i focolai sociali che sono stati alla base delle rivolte scoppiate nel 2011, dall’altro stanno spingendo a rivedere i termini e la sostanza delle strategie di integrazione politica, economica e sociale sinora in atto.
Sarà pertanto importante trasformare le criticità interne in una grande opportunità di cambiamento e di rilancio delle relazioni euro-mediterranee snellendo, riformulando e definendo un’agenda politica regionale chiara e non necessariamente ambiziosa. E’ importante, quindi, che l’UE punti a delineare precisi e comuni obiettivi politico-strategici di medio-lungo periodo, eventualmente con attori più direttamente coinvolti nello scenario (come ad esempio la Turchia, piuttosto che gli Stati Uniti, il cui baricentro delle politiche si è spostato più ad Est) al fine di evitare che altri attori internazionali o regionali (Russia, India, Cina e Paesi del Golfo), sempre più interessati ad assumere una leadership forte in un’area dalle potenzialità enormi, possano definire la futura agenda politica della sub-regione scalzandola da quel bacino che per secoli è stata la culla della sua potenza civile e militare.
* Giuseppe Dentice è Dottore in Scienze Internazionali (Università di Siena)
Per approfondire
Carlo Jean, Geopolitica del mondo contemporaneo, Editori Laterza, 2012;
Chiara Albanese, Enrica Bucciarelli, Verso un Mediterraneo integrato, Cemiss, 2009;
Cathrine Ashton, Antonio Tajani e Werner Hoyer, Task force europea per il Cairo, 15 novembre 2012, Il Sole 24 Ore;
Riccardo Alcaro, Roberto Aliboni, La Politica di Vicinato dell’Unione Europea e il Mediterraneo. Orientamenti, strumenti operativi, prospettive, IAI paper;
Commissione Europea, Il riesame della politica di vicinato rivela risultati contrastanti, 22 marzo 2013;
Commissione Europea, Politica europea di Vicinato;
ISPI Dossier, Economia ed energia per il rilancio Euro-med, in ISPI, novembre 2012;
Roberto Aliboni, Silvia Colombo, Bilancio e prospettive della cooperazione euro-mediterranea, in Osservatorio di Politica Internazionale, giugno 2010;
Share on Tumblr