Posted 22 maggio 2014 in Europa Futura, Slider, Unione Europea with 0 Comments
di Davide Denti
Il dibattito sull’Unione Europea soffre di un enorme difetto: ogni concetto che viene utilizzato per riferirsi all’UE deriva immancabilmente e necessariamente dall’esperienza politica principale per l’Europa occidentale negli ultimi secoli: lo stato nazione. Questo “nazionalismo metodologico” fa sì che il discorso sia spesso definito da due termini: da una parte, la possibilità di limitarsi ad una cooperazione intergovernativa tra stati sovrani; dall’altro, un federalismo sovranazionale che punti a superare gli stati nazione, stabilendo uno stato federale europeo.
Ma è corretto porre la questione in questi termini? L’Unione europea non è più una semplice organizzazione internazionale, come l’ONU o la NATO, ma non è nemmeno, ancora, un “superstato”, uno stato federale, o un semplice stato. Sono così cresciute le voci, nell’ultimo decennio, che hanno cercato di superare il nazionalismo metodologico degli studi europei riferendosi a concetti diversi: la network governance, la governance multilivello, il consociativismo. Probabilmente, il concetto alternativo più suggestivo che è stato messo in campo è quello dell’impero.
In che senso, impero? Non necessariamente nell’accezione critica dell’Imperium di Hardt e Negri. Impero, secondo Beck e Grande (2011), è quell’organizzazione internazionale dell’autorità che ha caratteristiche opposte al sistema westfaliano di stati-nazione. Laddove il sistema westfaliano è formato da unità simmetriche e non integrate, ossia una comunità di stati formalmente paritari e indipendenti (cf. il sistema ONU), l’impero combina l’integrazione territoriale delle sue unità formative con l’asimmetria nelle loro relazioni: tali unità costitutive sono formalmente, oltre che sostanzialmente, ineguali e legate da una relazione tra centro e periferie. Così facendo, l’impero si differenzia anche dallo stato mondiale (simmetrico e integrato) e dall’ordine egemonico (asimmetrico e non integrato).
L’UE, oggi, è un sistema politico sempre più integrato territorialmente, e sempre meno simmetrico, anche formalmente. La sua forma si sta quindi muovendo dall’idealtipo dell’organizzazione internazionale westfaliana verso quello dell’impero. Secondo Beck e Grande, “l’Europa dev’essere concepita come impero… il processo d’integrazione europea può continuare con successo solo se l’Europa abbandona deliberatamente la forma-stato e assume il carattere di un impero europeo“. Poiché i suoi componenti rimangono degli stati, tuttavia, l’UE non si starebbe trasformando, secondo Beck e Grande, in un’entità neo-medievale. Si tratterebbe di un impero neo-moderno, simile agli imperi europei del XIX secolo, piuttosto che post-moderno: “un modo innovativo di autorità politica ‘cosmopolita’ all’interno della seconda età moderna”.
Non la pensa esattamente così Jan Zielonka, che nel suo “Europe as Empire” (2006) descrive l’Unione Europea come un’entità neo-medievale, caratterizzata dall’interazione tra unità politiche di diverso tipo (stati, regioni, città) in un sistema senza un chiaro centro né gerarchia, dalla crescita delle diseguaglianze economico-sociali, dalla presenza di “marche” e zone di frontiera, piuttosto che di confini netti e rigidi come quelli statali, e da un’identità pan-europea destinata a rimanere debole e fragile, in compresenza con le identità nazionali. L’allargamento a est dell’Unione, nel 2004 e 2007, ha definitivamente fatto tramontare ogni possibilità che l’UE si sviluppi secondo le stesse logiche di accentramento del potere e coincidenza dei confini legali, amministrativi, economici, commerciali e militari.
C’è quindi da strapparsi le vesti? Parrebbe di no. Zielonka, così come Beck e Grande, non intendono ammonire sugli sviluppi futuri dell’UE, quanto dare l’idea di ciò che l’UE è già ora, e ribadire che le nostre categorie concettuali quotidiane, immerse nella realtà degli stati nazione, sono inadatte a comprenderla e spiegarla. In ogni caso, il neo-medievalismo di Zielonka “non è sinonimo di anarchia e caos”. Anzi, la forma imperiale è forse l’unica in grado di gestire efficacemente gli attuali livelli di diversità e pluralismo, “il più grande tesoro storico e culturale d’Europa”. Dall’altra parte, esistono chiare sfide, derivanti dalla forma imperiale, per ciò che concerne la democrazia, l’identità culturale e la giustizia sociale nell’Europa unita.
I critici dello stato della democrazia nell’UE, all’interno del dibattito sul deficit democratico, tendono a sostenere che l’UE debba svilupparsi sulle stesse linee seguite in passato dagli stati nazione – un Parlamento che esprime una maggioranza che sostiene un governo, nessun opt-out, chiare distinzioni tra membri e non membri – per garantire l’autogoverno democratico anche a livello supranazionale. Ma è proprio necessario? Secondo Zielonka, non va perso di vista il fatto che l’obiettivo finale dev’essere il rafforzamento della pace, della libertà e della prosperità in Europa. La via dello stato dev’essere considerato solo come uno dei mezzi disponibili a tal fine – e forse nemmeno il più adeguato allo scopo, viste le sfide odierne della modernizzazione e della globalizzazione. Un sistema di governo non deve necessariamente essere basato sullo stato, né deve essere territorialmente fisso, mentre deve essere in grado di rappresentare efficacemente la diversità dei suoi componenti.
L’UE è sempre più flessibile, differenziata, non-territoriale, multilivello e multicentrica (si vedano le differenti configurazioni dell’eurozona, di Schengen, dell’open method of coordination). In un tale contesto, tanti freni che l’esperienza storica ha posto al potere assoluto dello stato, per permettere la nascita delle democrazie, potrebbero non avere necessità di esistere. La separazione dei poteri, ad esempio, nata come strumento di contrasto alla concentrazione del potere assoluto nel sovrano statale, non ha senso in un sistema come quello europeo in cui i poteri sono diffusi e confusi tra più entità e più livelli, che si controllano tra loro. L’UE ha un “pluralismo dell’autorità” innato (secondo l’espressione di Bauman), che funziona già sufficientemente bene per prevenire l’abuso di potere. In secondo luogo, la struttura “imperiale” non gerarchica europea, in cui i diversi temi vengono discussi in profondità da una varietà di attori, sembra favorire i processi di deliberazione, mentre diversi meccanismi di accountability, mutuati dall’esperienza delle agenzie indipendenti (ad esempio trasparenza, obbligo di motivazione, garanzie procedurali), possono essere facilmente applicati al sistema europeo e funzionare anche meglio di periodiche elezioni nel garantire la responsività dei governanti ai governati.
Il rischio maggiore per il progetto europeo, in ogni caso, resta quello della contestazione populista, alimentata dal fatto che i cittadini abituati al funzionamento politico dei sistemi statali non hanno categorie per comprendere il funzionamento di un sistema “imperiale” come quello UE, sentendosi quindi sempre più allontanati dalle leve del potere. L’unica soluzione a ciò sembra essere la promozione di una maggiore partecipazione politica diretta dei cittadini anche al livello europeo. In primis, assicurando che ogni competenza sia gestita dal livello competente più vicino possibile al cittadino (principio di sussidiarietà). In secondo luogo, facilitando l’acceso dei cittadini organizzati ai processi e network decisionali a livello europeo. Infine, rafforzando i diritti di cittadinanza e la possibilità per i cittadini europei di contestare direttamente le decisioni che li riguardano più da vicino, attraverso canali quali il ricorso alla Corte UE o al difensore civico europeo, la petizione al Parlamento europeo o la richiesta di informazioni alle istituzioni UE.
Chi crede alla possibilità di costruire un vero stato europeo, secondo autori come Zielonka, Beck e Grande, è portatore di un progetto positivista ottocentesco che punta a copiare la strada dello stato nazione attraverso l’integrazione progressiva di sempre maggiori competenza al livello europeo, sperando che ciò conduca alla stessa legittimità di cui godono oggi gli stati. Un’alternativa esiste, ed è quella di accettare la realtà “imperiale” e non statale dell’UE, come sistema di governance supranazionale, neo-moderna o neo-medievale a seconda delle interpretazioni. Un’impero, piuttosto che uno stato, potrebbe essere meglio posizionato per rispondere alle sfide della globalizzazione, che richiede flessibilità e capacità di apprendere, e potrebbe essere l’unica soluzione per sfruttare le vaste risorse dell’Europa senza dover rinunciare alla più grande di queste, la sua incredibile ricchezza culturale, pluralismo e diversità. Infine, la struttura imperiale permette già oggi all’Europa di proiettare la propria forma politica all’esterno, attraverso le politiche di allargamento e vicinato, garantendosi un ambiente internazionale più favorevole, e tutto ciò senza ricorrere all’uso della forza. L’impero è tra noi, e rispetto al modello dello stato ha i suoi vantaggi. Nelle parole di Zielonka, “è tempo di riconoscere la realtà neo-medievale [dell'Europa] e farla funzionare”.
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