Silvia Padrini
E’ un azzardo, certo. Ma è poi così inopportuno sostenere che l’Unione Europea sia- attualmente- il mezzo per una sorta di “de-politicizzazione” di alcuni settori dello Stato? Si prospetta un assottigliamento della democrazia reso possibile dai fondi provenienti dai programmi e i bandi della Commissione che riguardano l’ambiente, la cultura, le politiche giovanili e altro? Chi scrive vuole proporre un punto di vista insolito del triangolo Unione Europea – Stato – società civile. Più che una tesi, si offre uno spunto per un ragionamento che sarebbe utile divenisse collettivo.
Risulta utile fare delle premesse. La Commissione europea lavora sempre più attraverso bandi per singoli progetti, inquadrati all’interno di un programma, che con fondi strutturali destinati a determinate regioni. Attraverso i trasferimenti di denaro l’Ue non si sostituisce allo Stato ma arricchisce la società civile di una dimensione; inoltre i programmi sono un apporto nel complesso positivo in quanto frutto di una logica sovranazionale, epurata dal grosso degli interessi che di solito inquinano le politiche statali, nonché di uno sguardo d’insieme più attento a temi come quelli ambientali. Ma nella pratica, e cioè guardando dentro alla scatola della realtà in cui è il denaro -di fatto- a muovere le attività e le politiche, possiamo sviluppare alcune considerazioni.
L’Ue stanzia molti fondi attraverso i bandi. La crisi e la cattiva gestione della cosa pubblica hanno come effetto, dall’altra parte, i numerosi tagli statali su diversi settori. Di conseguenza, enti pubblici (come regioni e altri enti locali, o anche università) e privati (ad esempio, associazioni culturali e teatri) oggi possono contare quasi soltanto sui fondi europei.
Quali sono le conseguenze? Si schiudono degli aspetti importanti. Primo: i soldi arrivano a finanziare delle attività tramite bando di concorso e non attraverso una decisione politica. La differenza è sostanziale e non occorrono spiegazioni. Secondo: lo Stato può continuare a tagliare fondi. Come vediamo ogni giorno ciò non avviene senza ripercussioni, ma di certo questo processo può proseguire più fluidamente che non se lo Stato fosse l’unica fonte di denaro. A questo proposito ci risuona un dibattito quanto mai attuale e scottante, ricco di affinità con il discorso che stiamo facendo. Si tratta del lavoro delle organizzazioni internazionali e non governative nella cooperazione internazionale. I contesti sono diversi ma la logica è simile. Si dice: se le organizzazioni umanitarie forniscono servizi sociali per compensare le carenze dello Stato, lo stesso Stato può continuare nella propria deresponsabilizzazione, staccarsi dalla propria popolazione e magari accumulare denaro per altri scopi (vedi paesi in guerra). Il tutto accompagnato da proteste relativamente deboli, rese meno pressanti dal fatto che la popolazione riceve comunque i servizi di cui ha bisogno. La cooperazione decentrata è il pilastro della cooperazione internazionale oggi, ma purtroppo non riesce ad evitare le distorsioni e le perverse logiche statali come si sperava.
Ma ritorniamo al nostro contesto. Le attività sviluppate nel sociale, nelle politiche ambientali e negli altri settori interessati sono frutto di un concorso a cui partecipano enti pubblici e privati che saltano il passaggio dalle istituzioni statali a cui noi siamo abituati a riferirci. Se non altro perché sono quelle per cui ci risvegliamo in periodo di elezioni, ma soprattutto sono quelle a cui possiamo conferire o togliere fiducia in base alla nostra soddisfazione. Le attività nate dai progetti UE, invece, sono solo lontanamente collegabili a qualche entità politica. Molti enti pubblici utilizzano questi fondi, è vero, ma lo fanno anche tante associazioni no profit.
Tutto ciò ha due effetti fondamentali: la deresponsabilizzazione della politica e la depoliticizzazione degli affari pubblici. Sono questioni pregnanti, principalmente per un motivo. Ad essere intaccata è la democraticità dei processi e delle attività all’interno di uno Stato. Come già specificato, io –cittadino o cittadina- non ho alcun controllo su un’organizzazione che, ad esempio, grazie a dei fondi europei e al vuoto lasciato dalle istituzioni inizia a dirigere l’orchestra della vita artistica e culturale di una città. Ciò non vuol dire che non possa svolgere le attività nel modo migliore, ma questo non è scontato. Per quanto debole sia il mio potere, una giunta comunale posso influenzarla con il mio voto. Seppur piccolo è un potere importante perché è pressoché l’unico che abbiamo, fino a che non decidiamo di andare dall’altra parte e fare politica in prima persona.