Il garzone
Mi chiamo Giuliano Poletto, ho diciotto anni. Tra un mese parto militare perché a scuola mi hanno già bocciato due volte. Stamattina ero in giro in bicicletta per distribuire volantini pubblicitari del negozio di alimentari di mio papà. Stavo infilandoli nelle buche delle lettere di quella palazzina quando ho alzato gli occhi e l’ho vista letteralmente cadere. Non l’ho vista buttarsi, e neanche toccare terra. L’ho vista, si può dire?, in volo. Veniva giù dall’alto come uno straccio. Infatti ho pensato per un attimo che il vento avesse fatto volare un lenzuolo steso ad asciugare, ma non c’era vento e per di più pioveva. Non ha fatto rumore. È caduta dove non potevo vedere perché c’è la siepe, probabilmente sull’erba. Ho subito suonato tutti i campanelli, anzi avrei voluto scavalcare il cancello ma ho pensato che era meglio se qualcuno mi apriva. Non rispondeva nessuno. Poi ho visto arrivare lungo il marciapiede un tale con un cane al guinzaglio e infilare le chiavi nel cancello accanto. L’ho chiamato, gli ho gridato di telefonare subito per chiedere aiuto perché qualcuno si era gettato dal balcone, ma lui mi guardava diffidente e non mi ha risposto. Ha preso il cane in braccio ed è entrato chiudendosi dietro il cancello.
Il domestico
Manuel De La Cruz. Filippino. Documenti in regola. Da sei mesi sono al servizio della famiglia Prosdocimi, con mia moglie. Stamattina rientravo con il cagnolino della signora e un giovanotto molto agitato voleva costringermi a fare una telefonata. Parlava di una disgrazia, ma io non ho visto niente. Ho portato dentro il cane e gli ho pulito bene le zampe bagnate prima di entrare in casa, come mi hanno ordinato. Io avrei anche voluto farla, quella telefonata, ma la signora stava dormendo e mia moglie mi ha consigliato di non mettermi in qualche guaio perché siamo stranieri. In regola, ma stranieri. Il signore è in viaggio d’affari. E il telefono del resto ha il lucchetto perché hanno paura che lo usiamo per chiamare i parenti a Manila. Poi però qualcuno deve aver telefonato perché entro un quarto d’ora abbiamo sentito la sirena di un’ambulanza. Non so altro, e nemmeno mia moglie. Abbiamo continuato i nostri lavori come sempre e la signora non si è svegliata.
La vicina
Io veramente ho capito subito che c’era qualcosa che non andava perché stavo sbattendo il tappetino del bagno e dalla finestra ho sentito quel ragazzo tutto agitato contro quella sfinge del filippino. Mi chiamo Maria Mirella Ongaro, abito lì di fronte. A me quel filippino non è mai piaciuto, e neanche sua moglie. Camminano sempre rasente i muri, non salutano, stanno per conto loro. Se gli parli, fingono di non conoscere bene l’italiano. A forza di servire in quella famiglia sono diventati presuntuosi come loro. Comunque sì, sono stata io a chiamare l’ambulanza. A Giuliano ho creduto subito perché lo conosco, è un bravo ragazzo e suo papà ha un negozio molto serio, anche se i prezzi… No, la signora che si è fatta male non la conosco. Ho immaginato che fosse quella nuova, quella che ha traslocato qua nei giorni scorsi, ma ancora non l’avevo mai incontrata di persona. Dopo la telefonata sono corsa fuori a vedere. Ho preso l’ombrello, perché pioveva. Devo dire la verità: non ho visto granché, perché intanto era arrivata anche la polizia e non hanno permesso a nessuno di avvicinarsi. Povera donna, mi dispiace. Mah, speriamo che se la cavi.
La vecchia signora
Mi chiamo Maria Toffanin, vedova Scarpa. Sì, l’ho sentito il campanello, ha suonato più volte, ma lei capisce: ho 88 anni e mi muovo a fatica. Ci ho messo il mio tempo ad arrivare in ingresso. Ho aperto il portoncino e ho visto il ragazzo del signor Poletto che si sbracciava. Non sentivo bene cosa diceva, però era molto agitato e così ho aperto il cancello perché lo conosco. È corso subito verso il lato della casa dicendomi di non muovermi, poi è tornato da me bianco come un morto e di nuovo mi ha detto di rientrare e non affacciarmi dalla finestra, perché era successa una disgrazia. L’ho fatto entrare per telefonare… poverino, è così educato, pensi che si è scusato per le scarpe sporche, perché pioveva. Sono tre giorni che piove, sembra proprio autunno, non le pare? Comunque quando ha messo giù il telefono mi ha detto che qualcuno lo aveva preceduto e che i soccorsi erano già partiti. Io la signora del secondo piano l’ho vista solo un paio di volte. Era arrivata dieci giorni fa, da fuori. Si è scusata con me per il trambusto del trasloco. Tanto gentile anche lei. Le ho detto che sono un po’ sorda e che non si preoccupasse. Poi stamattina l’ho vista uscire prestino e tornare dopo mezz’ora con un mazzo di fiori e un pacchetto della pasticceria. Era un po’ impacciata a usare le chiavi perché con una mano teneva l’ombrello. L’ho salutata dalla finestra. Una persona a posto, normale. Che sappia io, non aveva ancora ricevuto visite. Il pomeriggio usciva a passeggiare. Sembrava un po’ sola, ma in fondo era appena arrivata.
Il tassista
Ho raccolto una signora all’imbarcadero. Aveva una piccola valigia, così ho capito che era arrivata in treno alla stazione di Venezia. Mi ha dato l’indirizzo e lungo il tragitto ha risposto in modo molto formale a una mia osservazione sul tempo. Tutto qua. Arrivato nei pressi della destinazione, c’era un vigile che bloccava il passaggio e ho dovuto fermarmi. La signora è scesa con la sua valigia e l’ombrello, mi ha pagato e è rimasta lì incerta per qualche istante. Avrei voluto chiederle se intendeva tornare indietro o essere accompagnata da un’altra parte, ma il vigile mi ha fatto allontanare in fretta. Tutta la strada in retromarcia, ho dovuto fare. Non ho visto niente, solo la macchina dei vigili e il lampeggiante di un’ambulanza. E un po’ di gente che curiosava, con gli ombrelli aperti.
I paramedici
Abbiamo ricevuto la chiamata alle 10 e venti, e dopo otto minuti eravamo sul posto. La vittima era viva ma senza conoscenza. Abbiamo visto subito che presentava diverse fratture agli arti, ma la cosa più evidente era il forte trauma cranico. Per puro caso, l’impatto è avvenuto nella stretta striscia d’erba tra il marciapiede che corre intorno all’edificio e la bordura di pietre delle aiole. Ci siamo adoperati per verificare i parametri vitali e predisporla per il trasporto. Maneggiare i politraumatizzati richiede molta cautela e competenza, sa. C’era con noi anche un medico del Presidio, per fortuna, che si è preso tutte le responsabilità. C’è voluta comunque oltre mezz’ora per stabilizzarla e arrischiarci a caricarla in ambulanza. Nel frattempo era arrivata la polizia e anche un’auto dei vigili, che ci hanno scortati a tutta velocità al Pronto Soccorso. Con la radiomobile avevamo già allertato i colleghi e anche il servizio di idroambulanze per un tempestivo trasferimento all’ospedale di Venezia. Da quando hanno chiuso l’Ospedale al Mare, qua al Lido abbiamo solo un misero presidio di primissimo soccorso. Roba da terzo mondo, una vergogna.
La pattuglia
Siamo arrivati quasi contemporaneamente all’ambulanza. Abbiamo chiamato anche due vigili urbani per tenere l’area sotto controllo mentre noi facevamo le nostre verifiche. La dinamica sembrava chiara: tentato suicidio. Tuttavia è nostro primo dovere escludere atti criminosi, perciò siamo saliti nell’appartamento della vittima, al secondo e ultimo piano della palazzina. Lungo le scale non c’erano tracce di scarpe, benché piovesse, e comunque il portoncino era chiuso dall’interno con una catenella, segno che non era entrato alcun estraneo. Abbiamo dovuto aspettare il fabbro perché ci aprisse, e nel frattempo abbiamo fatto qualche domanda in giro. L’unica inquilina presente è la signora del pianterreno, di età molto avanzata, che non ha saputo fornirci notizie di rilievo. Il primo piano è al momento disabitato: la famiglia che vi risiede pare sia in vacanza all’estero. Il garzone che ha scoperto la disgrazia era sotto shock, è chiaro che non c’entra nulla. Gli altri vicini sono stati tutti concordi nel negare di conoscere la vittima, che risulta essersi stabilita nell’appartamento solo da pochi giorni. All’interno c’erano in effetti segni di un recente restauro, come un certo odore di pittura fresca e di cera per pavimenti. Qua e là ci sono ancora scatoloni da svuotare. Le stanze sono complessivamente in ordine, forse un po’ sguarnite; mancano quadri e soprammobili, nel salone non ci sono ancora le tende. In particolare, la camera degli ospiti era in perfetto ordine; sul cassettone c’era un vaso di fiori freschi, sul comodino una cornice d’argento con una vecchia fotografia, l’unica trovata in casa. Non abbiamo rinvenuto nulla fuori posto. In bagno, cosmetici e una confezione di aspirina. Nessun altro farmaco in tutta la casa, e nemmeno alcol, salvo una bottiglia di vino bianco in frigo e una di cognac di marca in sala da pranzo, entrambe sigillate. Sul tavolino, un vassoio di dolci ancora avvolti nella carta della pasticceria. Apparentemente la signora si accingeva a ricevere una visita, e lo dimostrerebbe anche la cura dell’abito che indossava.
Ma la domanda è: perché si sarebbe gettata volontariamente dalla terrazza, se nulla la minacciava? Speriamo che qualcuno abbia la risposta, stiamo cercando qualche familiare. Per ora, pare ci sia solo una vecchia amica in grado, forse, di chiarire qualche aspetto di questa strana vicenda.
Laura
Sono arrivata alla stazione verso le dieci. Ho preso il diretto per il Lido, poi un taxi. Avevo una valigia e pioveva. Il tassista mi ha fatta scendere qualche decina di metri prima perché c’era un blocco. Ho visto poliziotti e un’ambulanza. Non sapevo cosa fare. Mi sono avvicinata al cancello ma un agente mi ha fermata e mi ha chiesto dove andavo. Gli ho risposto che andavo a trovare un’amica. Così ho saputo che l’amica che andavo a trovare aveva tentato il suicidio. E subito lui ha voluto sapere molte altre cose, perché nessuno la conosceva e stavano cercando qualcuno della famiglia da avvertire.
Io la conosco da almeno trent’anni. Eravamo compagne al liceo, qui al Lido, dove io sono nata; lei ci viveva temporaneamente con la famiglia. Dopo la scuola ci siamo separate, abbiamo lasciato Venezia tutte e due; lei con i suoi a Milano, io con i miei a Trieste. Era lei che teneva i contatti, mi scriveva, mi telefonava. Per me non era una vera amicizia, lo era più per lei. Mi si era molto affezionata, mi cercava. La cosa strana è che siamo così diverse… lei brillante, ricca, un po’ eccentrica, io invece una persona molto normale, molto pratica, e anche piuttosto riservata. A scuola ero brava, forse per questo le piaceva stare con me perché si sentiva come obbligata a studiare un po’ più seriamente. Mi invitava alle feste, in spiaggia d’estate, a passeggiare per Venezia. Un tipo molto particolare. Esuberante, ma anche ingenua. Si innamorava come niente, e come niente le passava. Per lettera mi raccontava i suoi incontri, i litigi col fratello… fratellastro, per la verità, figlio di primo letto di suo padre… e poi i viaggi, i divertimenti. Sempre piena di amici. Io intanto mi ero laureata, sposata, lavoravo all’università come biologa, ho sempre fatto una vita tranquilla e regolare. A Venezia, e al Lido, sono tornata poche volte. Lei ne aveva conservato una nostalgia fortissima. L’ultima volta che ci siamo viste è stato due anni fa, proprio a Venezia, per il funerale di una nostra vecchia compagna di classe morta di leucemia. In quell’occasione portava occhiali scuri e pareva affranta. Dopo la messa mi ha trascinata via e abbiamo girato per ore nei nostri vecchi posti; lei parlava tantissimo, diceva che stava cercando casa per tornare a vivere al Lido, che era il suo sogno. Voleva stabilirsi al Lido e magari aprire un piccolo centro yoga, lei aveva un po’ la mania di queste cose orientali… A Milano aveva fatto tante cose: teatro, fotografia, per un po’ aveva avuto una boutique in cui confessava di annoiarsi moltissimo. I suoi erano morti, le avevano lasciato un patrimonio che aveva dovuto spartire con il fratellastro. Molto più vecchio di lei, un tipo sinistro attaccatissimo al denaro. Vive in Svizzera. Non so se ci siano altri parenti, dovrete chiedere a lui.
Poi qualche mese fa mi ha telefonato tutta euforica: aveva trovato l’appartamento giusto e mi invitava ad andare a trovarla non appena avesse traslocato. Per settimane mi ha tenuta al corrente di tutto, programmando nei particolari questa visita. Ci teneva moltissimo a farmi vedere la sua nuova casa, voleva che la aiutassi ad arredarla. Aveva progettato tutta una serie di pellegrinaggi sentimentali nei posti della nostra adolescenza, e sperava di rintracciare, con il mio aiuto, qualche vecchia conoscenza di allora. Ne parlava come dell’inizio di una nuova vita. A me sembrò assolutamente felice.
Non so cosa le sia successo. Dicono che in casa non hanno trovato biglietti, né farmaci né qualche segno di disagio… dicono che nella mia camera aveva messo dei fiori freschi e una vecchia fotografia di classe dell’ultimo anno del liceo. Io ero la penultima a destra, lei accanto a me mi teneva il braccio e sorrideva raggiante.
Dicono poi che non ci sono indizi che mettano in dubbio un gesto volontario. Forse non premeditato, ma sicuramente volontario. Era lì che mi aspettava, aveva messo il vino in fresco e si era vestita con la solita cura, poi d’improvviso. D’improvviso. Ha aperto la porta finestra, è uscita in terrazza, si è tolta le scarpe che la impacciavano e ha scavalcato il parapetto per lasciarsi cadere nel vuoto. La sua vita sembrava così felicemente piena, eppure ha scelto il vuoto. Capisco che la polizia non se lo sappia spiegare. Però penso che nessuno abbia veramente il diritto di pretendere una risposta al suo gesto. Sono cose sue.
Ora dicono che è in sala operatoria e lotta per la vita, ma quale vita? Le lesioni cerebrali sembrano irreversibili. Se anche si risvegliasse, nessuno potrà mai chiederle perché l’ha fatto. Io per prima non glielo chiederei.
Ho preso una camera in una pensione. Villa Edera. Era già vecchiotta quando ero giovane io, e adesso è ancora più dolcemente scalcagnata. Ma per ora mi fermo un po’, non posso ripartire. Anche se all’ospedale non mi daranno notizie perché non sono della famiglia. Anche se lei non saprà forse mai che sono qui per starle vicina. Magari me ne andrò se e quando arriverà suo fratello dalla Svizzera. Resto qui, nel salottino di Villa Edera. Guardo la pioggia fuori. Forse, se smette un po’, esco e vado a vedere il mare.