di Alberto Giusti
152 anni fa, l’Italia è diventata uno Stato nel senso moderno del termine, uno Stato-Nazione se vogliamo. Da allora, il nostro paese ha intrapreso una strada lunga, tortuosa e non priva di bivi di fronte ai quali spesso la scelta non è stata davvero razionale. Siamo nati piemontesi, ma piano piano ci siamo meridionalizzati. Abbiamo provato ad essere potenza coloniale, e non ci è riuscito troppo bene; siamo stati avanguardia dell’autoritarismo, e ci è riuscito benissimo; abbiamo provato a trasformarci in potenza militare, e ci è andata male. Ma fino a quel punto, possiamo dire di aver avuto in mano il nostro destino.
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Usciti sconfitti dalla Seconda guerra mondiale, qualcun altro ha deciso qual era il nostro posto nel mondo, e noi nelle urne abbiamo detto che ci andava bene così. Così ci siamo dedicati un po’ a noi stessi per qualche decennio, con l’umiltà di chi sa di essere stato sconfitto dalla storia. Così, sotto l’ala protettrice e stringente dell’ovest, siamo diventati una potenza industriale mondiale, abbiamo iniziato a sederci alla tavola del benessere. Abbiamo creduto che potesse andare sempre così, e ci siamo adagiati sugli allori, mentre il nostro debito saliva. Poco dopo, alla fine degli anni ’80, le ragioni per tenerci sotto controllo sono venute a mancare. Non è stato facile capire che potevamo di nuovo decidere da soli cosa fare, ma soprattutto, era davvero conveniente per noi avere tutta questa libertà? Questa libertà ha segnato la fine della Prima Repubblica.
E con i referendum, le elezioni del 1994, il ruolo nella Comunità Europea, abbiamo sentito di avere di nuovo del potere fra le mani. Abbiamo affrontato un decennio di riforme, siamo entrati nell’Euro, abbiamo pensato che la possibilità di migliorare dipendesse solo da noi stessi, abbiamo indagato sui nostri problemi, ma non abbiamo mai trovato davvero le soluzioni. Così, dopo 20 anni di autonomia, il mondo ha bussato alla porta e ci ha chiesto: “Avete finito di trastullarvi?” Noi non abbiamo capito e abbiamo risposto con un tecnico. Il tecnico ha fatto un po’ d’ordine a modo suo, mentre faceva capire ai nostri vicini di casa che forse non eravamo gli unici ad essersi trastullati. Poi lui ha finito, e la palla è tornata in mano agli italiani, all’Italia.
E l’Italia, tra le varie strade, rischia di scegliere quella senza lampioni e con qualche buca. Senza accorgersi che la ruota di scorta l’abbiamo già usata.