UNIVERSAL8: IL SALOTTO SULLA FESTA DELLA DONNA - saggio (mica tanto) breve -

Da Miwako
Davanti alla coop c'è l'immancabile fioraio ambulante. Pure oggi. Soprattutto oggi.Le mimose sono dappertutto, con quel loro profumo celestiale e quel colore che, non fosse che adoro i fiori, definirei orripilante.E' la festa della donna, oggi.La donna archetipica, la donna che lavora, la mamma, la santa, la puttana, l'angelo del focolare (di Sant'Antonio), la donna oggetto, soggetto, a progetto, la donna stuprata, sottovalutata, sottopagata, emancipata, stereotipata, mechata, acculturata, palestrata, sedotta e abbandonata, la donna mantide, demonizzata, disinibita, idealizzata, la donna lesbica (Concia for president), etero, trans, bisex(tile).
Quante cose siamo, quanti stereotipi in cui c'infilano e c'infiliamo per sfuggire ad altri.Conosco bene il significato di questa festa, la sua storia, il suo perché. Le battaglie per la parità sono ancora tante, tantissime. Ma la via non è quella del femminismo ostinato, dell'antimachismo esasperato, della femminilità rinnovata. L'utero è mio e lo gestisco io, gridavano tanti anni fa. E avevano ragione di urlare. Ma oggi, ho la sensazione che si sia perso di vista il senso di tutto questo, accecati da un'odio che per anni ha sepreggiato, latente o meno, nei confronti del genere maschile in toto. Cercansi capro espiatorio; fumo negli occhi, collera, giochiamo alla pignatta con qualsiasi uomo capiti a tiro e, mi raccomando signore, miriamo alle palle.E' ovvio che se si parla di categorie, generalizzazioni e si getta un occhio alla storia più o meno recente, gli uomini avrebbero di che scusarsi per i prossimi tre secoli. Come è ovvio che cagate colossali come le quote rosa, gli stanziamenti europei per l'imprenditorialità femminile (utili eh, per l'amor del cielo), i vari trafiletti sulle riviste che elogiano le donne che, oltre che a figliare, cucinare e spazzare, sono buone anche a lavorare, tenersi in forma e imparare il russo a 40 anni, sono terribili conferme di questa mancata parità. Nei casi di stupidità acuta fungono da specchietti per allodole orbe ad effetto placebo; nei casi di accettabile attività cerebrale, fanno sorgere il fondato dubbio di trovarsi di fronte ad un triste tentativo di tamponare una falla larga qualche ettaro con due cotton-fioc rinseccoliti.
So che le femministe (e forse pure le non tali) mi odieranno, perché è probabile che sembri io stia insinuando che: A) ce la siamo cercata, B) gli uomini non devono essere colpevolizzati ma quasi santificati. In realtà, intendo solo dire che una discriminazione non si combatte con la sua discriminazione opposta; la legge del taglione non porta certo a raggiungere risultati sensati. E soprattutto, la parità non corrisponde al contrario della situazione attuale. Il femminismo è la risposta pa(ri)tetica al maschilismo. Stesso esatto infimo livello. La parità ci potrà essere solo e soltanto quando abbandoneremo gli estremismi e smetteremo di considerarci due categorie antagoniste. Solo quando torneremo ad essere umani. Solo quando smetteremo di ritenerci l'una il metro di giudizio dell'altra. Solo quando accetteremo che, sotto alcuni aspetti, siamo innegabilmente diversi, e questa diversità va valorizzata, non annullata. Certo che posso fare lo scaricatore di porto se voglio, ci mancherebbe altro. Il mozzo, il camionista, lo sgozzamaiali, quello che mi pare. Ma chi se ne frega, dico anche. E' davvero questa la parità? Provare che siamo all'altezza degli uomini, anzi, forse pure meglio? O la parità è ambire a non doverne nemmeno parlare per quanto è scontata? Il non tacciare di maschilismo qualche ignaro rappresentante del genere solo per aver chiesto se vogliamo una mano a caricare otto casse d'acqua? Certo che la voglio, hai i bicipiti grossi quanto il mio beauty case per tre settimane a Gabicce mare, mentre i miei sembrano quei due sedani dimenticati in fondo al frigo prima di partire. Questo fa di me il sesso debole? Di lui un maschilista con velleità da uomo-salvatore di fanciulle delicate? NO! QUESTO SI CHIAMA SLITTAMENTO DELLO STEREOTIPO, e avrà la sola nefasta conseguenza di far pendere l'ago della bilancia dall'altra parte, ma non produrrà equilibrio.
Il maschilismo c'è, è ovunuque, persino inconsapevole, non lo metto in dubbio e la cosa non mi fa di certo piacere. Solo la banalità di passare in mezzo ad un gruppo di uomini e sentir partire un apprezzamento non proprio soave, dà la misura di quanto l'uomo, al sicuro nella società maschilista, si senta in diritto di dire scurrilità udibili solo perchè ha visto un paio di gambe. Tralasciando la tristezza che mi fa, non lo dico per darmi la zappa sui piedi e contraddire quanto detto finora, ma solo per mettere in chiaro il fatto che io davvero lo percepisco quotidianamente il maschilismo imperante. Ma si deve usare l'intelligenza per cambiare la mentalità, il modo di ragionare, provare ad indurre una riflessione profonda e, scusate se mi permetto ma, cercare di farlo col femminismo è come tentare di annientare un branco di iene con uno di leoni. Potrebbe funzionare, magari nel breve periodo, ma poi? I leoni chi li ammazza, che nel frattempo si saranno pompati di gloriose vittorie ed avranno già precise mire espansionistiche?E questo, ci tengo a sottolinearlo, non perché il femminismo sia sbagliato in sè, ma perché è stato snaturato, saturato, caricato d'odio, ossidato dalle interpretazioni arbitrarie che lo hanno trasformato nella caricatura di ciò che è stato, in un grottesco scimmiottamento del maschilismo. Quello di Simone de Beauvoir, per citarne una, era un femminismo inteso come ricerca della parità di diritti indistintamente dal sesso, un'affermazione di valore che avrebbe dovuto finalmente portare la donna ad assurgere al ruolo di essere umano pensante al pari dell'uomo; invece ho paura che il femminismo odierno si sia macchiato, come offuscato da un bagliore che è quello della supremazia, la supremazia delle donne sugli uomini, l'ennesimo delirio di onnipotenza.
Fossi nata qualche decade in anticipo, ci sarei stata anch'io a bruciare reggiseni in piazza, sarei stata una suffragetta ed avrei inneggiato allo sdoganamento della minigonna. Ma sono nata nel 1984, il voto l'ho avuto in automatico e le minigonne sono il mio biglietto da visita. E' necessario che la battaglia che si vuol combattere sia figlia del proprio tempo, che sia ragionata e non uno sbraitare casuale contro l'uomo nero. Il potere temporale, la disinformazione, i granitici stereotipi di genere che per scalfirli di un minimo servono 50 anni di rappresaglie, la scelta di mezzi poco efficaci come le succitate quote rosa, la malcelata volontà di ispessire la crosta di valori che separa uomini e donne, questi sono i nemici. Ma sopra ogni altro, io, a volte, temo siano le donne stesse le prime nemiche delle donne. 2006, referendum sulla procreazione assistita. A recarsi alle urne, poco più del 25% degli aventi diritto. La delusione più cocente della mia da poco raggiunta maturità elettorale. "Com'è possibile?", mi dicevo basita? Dov'erano le donne? E tutto quel fermento percepito, quella voglia di giustizia universale che avevo annusato (forse sbagliando), che fine aveva fatto? Dov'era l'arrosto? Nada, zero, rien. Ne va plus. Tutta fuliggine. Fumata nera, per la precisione. E hai voglia a campare tesi all'aria; anche sommando l'astensonismo naturale a quello indotto, rimane sempre un considerevole buco di votanti che voglio pensare siano pensanti. Qui qualcosa non va. In primis nella legge 40, aborto forzato di diritti indefettibili; in secundis nelle donne che, porcaputtanaeva (si, proprio Lei), sembrava avessero sparso nell'aere uno spray inibitore di senso critico e capacità decisionale; e poi gli uomini, grandi assenti al referendum, anche loro in preda a chissà quale gas pestilenziale che li ha convinti che la procreazione assistita sia davvero una cosa che non li riguarda.
Quindi qui abbiamo: dei legiferatori mascherati che si ergono a giuria divina sentenziando su come sia lecito usare un organo che nemmeno hanno; donne incazzate che sbraitano, protestano, raccolgono firme e durante il referendum si fanno venire un mal di testa da sospensione in giudizio; uomini in pantofole che siccome non hanno nè la gonna, nè l'utero, pensano bene di optare per derby&birretta in compagnia, che tanto le mogli sono a letto col mal di testa e l'utero in sciopero.
Dal basso della mia incompetenza in materia, dei miei ragionamenti che, per quanto provi a guardarli allo specchio rimangono frutto di un solo cervello, la mia interpretazione della cosa è che c'è una gran confusione. I ruoli sociali non sono più quelli di una volta. E quali sono allora? Piano. Abbandonare uno schema che per anni si è adottato in maniera più o meno acritica, richiede tempo, lavoro, riflessione e dedizione per una sola persona. Il tutto si tramuta in mesi, anni, prima che tale cambiamento sia effettivo. Se si ha a che fare con una moltitudine di persone, il tempo necessario al dispiegarsi del mutamento cresce, inevitabilmente, in maniera esponenziale. Perciò, tutti quei bei pezzi di giornale su cui campeggiano retrospettive imperniate sulle gesta di susuper-donne che dormono 5 ore a notte, fanno pilates ogni mattina, hanno tre figli, una villa coloniale, un fox terrier, un marito e, nel tempo libero, sono sindachesse di un paesino del profondo nord, sono carta straccia quando la mentalità retrostante è ancora quella del "Dio mio, anche le donne sanno fare tutto! Elogiamole a dovere che l'accoppiata tette-cervello non è ancora stata sdoganata". E' il quotidiano che deve iniziare a fare la differenza, da lì dovrebbe partire il cambiamento. Riflettere sui propri atteggiamenti, soprattutto quelli inconsapevoli ed interiorizzati, rifletterci dieci volte meglio se si hanno dei figli, mordersi la lingua quando, da figli di un'altra generazione, sale alla gola quella frasetta "innocua" come: "E' un maschio, che ci vuoi fare? Le femmine ce l'hanno innato il senso pratico"; insegnare ai bambini che prima di essere uomini o donne siamo esseri umani della stessa specie; a trovare il minimo comun denominatore prima delle differenze, a evitare che i modelli comportamentali ancora in auge intacchino la capacità di fare coesione, di vedersi nudi da stereotipi di genere e orpelli sociali che ci vogliono schiavi della libertà di essere diversi.
La libertà, quella vera, non è nell'essere donne libere, ma nel liberarsi delle catene che ci mettono nell'ottica di doversi relazionare sempre agli uomini come scala di riferimento. E' l'ennesimo gruppo minoritario (per potere, che numericamente è un'altra storia) che lotta per avere gli stessi diritti di un gruppo maggioritario, quando la lotta dovrebbe essere comune, non un testa a testa in cui scannarsi a colpi di ormoni, ma l'unione di due forze allo scopo di eliminare il bisogno di distinguere in gruppi, far si che essere uomo o donna non sia la pregiudicante di questa o quell'altra cosa, riaffermare l'universalità implicita dei caratteri che trascendono il genere, per poter fare delle rispettive differenze un punto di forza che poggia su una solida base comune.
Mia nonna è del '36. Un marito, una casa, tre figli, una bottega. Avrebbe potuto divorziare? No. Aveva voce in capitolo nell'amministrazione dei beni familiari? Non apertamente. Eppure lei ha gestito da sola quella bottega; lei fermava mio nonno quando era lì lì per farsi infinocchiare, buono com'era; sempre lei ad imporsi e alzare la voce quando le questioni familiari si facevano troppo spinose; lei che invece di lamentarsi si rimboccava le maniche e alzava la testa, dimostrando che quando la parità la senti dentro non c'è nessuno che ti possa fermare. Mia nonna non è mai andata a fare aperitivo con un gruppo di amici, non ha studiato e non poteva uscire per una bevuta e uno spogliarello la sera dell'8 marzo. Ma se n'è fregata altamente, facendo spallucce quando sparlavano sul suo conto, ridendo in faccia a chi pensava che una donna sola a gestire un negozio, in un paesino, col marito fuori per lavoro e lei a trattare con clienti, fornitori, debitori e portatori sani di pregiudizio, fosse una cosa fuori luogo. Poi non nego che si sia trovata a soggiacere a regole sociali ineludibili a quei tempi; come non nego che ci sono cose che pensa per contagio (l'unico possibile all'epoca), come che "non sta bene" uscire di casa senza reggiseno; ma mia nonna è libera dentro, come lo è mia madre, ed è questo che mi hanno trasmesso, la forza incrollabile di fare ciò che si sente giusto, di perseguire la parità con l'intelligenza, lo spirito critico, la volontà di spostare, anche di poco, l'orizzonte di pensiero di quei beoti (e beote, perché ce ne sono) che nel nostro quotidiano si mostrano perfetti portavoce del maschilismo e di questa società azzoppata.
Metodi forse poco ortodossi e vistosi, metodi che non porteranno mai nessuno a scrivere un articolo su mia nonna o su mia madre, ma che portano me a dire " Ma lo sai che mia nonna, credente e praticante, ha mandato un prete a quel paese per averle chiesto una mazzetta un po' troppo generosa per celebrare la messa di mio nonno? Gli ha detto di vergognarsi, che povertà e carità li aveva lasciati parcheggiati dietro la sagrestia insieme al land rover, e che se c'era la luce in quel postaccio doveva solo ringraziare mio nonno, che ha fatto gli impianti elettrici al 90% delle abitazioni di quel paesino di capre", o a ricordare a gloria quella volta in cui mia madre, a un'insegnante che mi definiva "un cavallo da domare che fa comunella con i maschi", ha detto "mia figlia non la domo io, vuole farlo lei? Se fa comunella con i maschi sarà che con le compagne non ci si trova bene. Maneggi in zona non ne conosco, ma lei si levi dalla testa l'idea di domare mia figlia".
Non lo so cosa possa aver carpito la maestra Rossella da questo sarcastico avvertimento. Quello che ho recepito io è che la libertà si esprime ogni giorno, con le proprie decisoni, con le cose che si sceglie di dire o non dire, con ciò che si è disposti a mettere in discussione, con quanto come singoli individui possiamo fare per promuovere la caduta dei muri del pianto, di berlino, cinesi, che vedono gli esseri umani schierati con i genitali a vista a rafforzare stereotipi preesistenti.
Perciò auguro, mi auguro che questo 8 marzo sia di riflessione profonda, auguro alle donne di riuscire a non vedere nella frase "siamo donne" un valore aggiunto rispetto all'essere uomini, auguro agli uomini di non vedere "tette&culi" prima di persone;  auguro a quelle donne vittime di soprusi di sopravvivere agli aguzzini e di non smettere di lottare perché le cose possono cambiare; auguro agli aguzzini stessi di morire per propria mano perché hanno realizzato la portata dell'abominio; auguro che siano i diritti umani, pacchetto completo, all inclusive, il perno delle future battaglie; auguro al mondo di provare la lovetherapy invece che la guerriglia armata che trova sempre un motivo in più e mai uno in meno per sfoderare armi e artigli e sparare a raffica sulle file nemiche.
Auguri. A tutte le donne, a tutti gli uomini. Che anche se noi veniamo da Venere e loro da Marte, siamo
 parte del medesimo sistema solare, e viviamo tutti qui, su questa terra comune in cui sogno di vederci pacifici, forti della nostra ugliaglianza, forti delle nostre diversità.

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