Le grandi conquiste delle fisica moderna, la quantistica e la relatività, pur essendo, dopo le necessarie sperimentazioni e verifiche, entrate di prepotenza nel vivere quotidiano, sono in aperta contraddizione tra di loro. E’ per questo che gli scienziati di tutto il mondo si stanno adoperando senza sosta, per mettere a punto una “teoria del tutto” che superi le antinomie connesse alle grandi, attuali scoperte. L’ipotizzata esistenza delle stringhe, particelle subatomiche, molto più piccole dei quark e vibranti come corde di violino, nel mentre rendono elegante e musicale il nostro Universo, lo vogliono anche multidimensionale con l’esistenza di Universi paralleli che sconvolgono la nostra mente e la nostra capacità di comprensione. Ma se ci spostiamo in campo biologico, scopriremo che di Universi paralleli ce ne sono tanti quante sono le diverse specie viventi, perché il mondo dei suoni, dei colori, degli odori che saturano la natura, sono molto diversi a seconda degli organi sensoriali di cui una creatura è provvista.
Il filosofo Berkeley, quando ero studente, mi scandalizzò sulle sue teorie intorno alla percezione del mondo. Egli, acerrimo nemico del materialismo, sosteneva che un oggetto intanto esiste, in quanto viene osservato da un essere umano o da uno spirito celeste. Oggi egli viene rivalutato da parte di molti filosofi e scienziati ed io stesso ho finalmente capito quanto sia sbagliato giudicare una teoria scientifica o filosofica prima di averla opportunamente vagliata. Un oggetto, per esempio, è identificabile in base alle sue qualità che possiamo recepire in base ai recettori sensoriali di cui disponiamo. Se sul mio tavolo c’è una penna di color rosso, io saprò subito riconoscerla basandomi sulla vista ed eventualmente sul tatto. Ma in tanto ci riesco, in quanto il colore rosso ricade in quel limitato campo della luce visibile che, per il mio occhio, va da 400 a circa 700 nanometri. Ma se le onde elettromagnetiche che costituiscono la luce fossero superiori o inferiori a questa scala, io non vedrei nulla mentre ci sono altri esseri viventi che la vedrebbero benissimo come vedrebbero tutti gli oggetti ricadenti in una fascia del visibile diversa da quella dell’uomo. La stessa cosa avviene se ci spostiamo nel campo dei suoni. L’uomo è infatti in grado di udire suoni la cui frequenza è compresa dai 20 ai 20.000 Hz. Ma molti altri animali, i pesci per esempio, sono in grado di udire infrasuoni con frequenza inferiore a 20 Hz o ultrasuoni con frequenze superiori a 20.000 Hz. A questi esempi a noi più congeniali, se ne possono aggiungere molti altri che ci mostrano come gli animali siano forniti di recettori sensoriali completamente diversi dai nostri e tali che a loro l’universo, o sarebbe più giusto dire l’ambiente in cui operano, appare completamente diverso da come lo vediamo noi. Esistono insomma universi olografici, una sorta di universi paralleli, che ognuno di noi si crea nella propria testa a seconda dei recettori di cui la Natura l’ha dotato. La mosca ha un occhio formato da centinaio di ocelli, piccolissimi occhi che le consentono una visione migliore quando essa vola. E pensate che l’intelligenza animale di cui spesso non sospettiamo l’esistenza, arriva a fare tessere al ragno una tela i cui segmento sono disposti in modo tale che la mosca in nessun modo possa vederla. E’ questa l’intelligenza che gli etologi chiamano specialistica, tipica degli animali cosiddetti inferiori, i quali reagiscono ad uno stimolo sempre nello stesso modo. I mitili, per esempio, reagiscono al pericolo sempre serrando fortemente le valve, ed una pianta carnivora, la drosera, imprigionerà un incauto insetto che le sia avvicinato, intrappolandolo coi suoi tentacoli, che reagiscono solo se stimolati per due volte consecutive. Mano a mano che si sale nella scala zoologica, troviamo invece animali generalisti la cui intelligenza è in grado di far fronte in modo diverso alle diverse situazioni cui incappano. Un esempio è quello dei topi o degli scarafaggi, dai quali non riusciamo a liberarci facilmente, perché essi “ragionano” scegliendo ogni volta un modo diverso e più conveniente per sfuggire al pericolo ed alle diverse trappole che noi tendiamo loro. Ma non voglio allontanarmi troppo dal tema che mi ero prefisso e cioè meditare su come lo stesso ambiente appare diverso a seconda di chi lo guardi. Anzi mi spingerei a dire che, in alcuni casi, per alcune specie animali, esso non esiste per niente. Noi stessi non possiamo certo vedere l’ambiente dei pipistrelli che sfruttano il sonar per localizzare, nel buio più completo, un piccolo insetto che si alzi in volo e non riusciremmo mai ad orientarci senza l’aiuto di una bussola in una navigazione aerea come invece fanno gli uccelli migratori. Insomma ogni specie vivente ha i sui recettori specifici e quindi si “crea” un ambiente congeniale alle sue esigenze. Ne viene di conseguenza che noi potremmo trascorrere la nostra esistenza in un ambiente che, come tale, esiste solo nella nostra mente, mentre lo stesso ambiente è completamente diverso se guardato con i recettori sensoriali di altre specie viventi. Vediamo, ancora per esempio, una zecca. Essa, cieca, vive sopra il rampo di un albero aspettando che il suo olfatto sia stimolato dall’acido butirrico secreto dai follicoli piliferi di un mammifero. Quando ciò avviene, si lascia cadere trovando spazio tra il pelame del malcapitato fino a succhiargli il sangue. Poi, sazia, si lascia cadere, depone le uova e muore. Questi studi sull’ambiente furono effettuali la prima volta dal biologo tedesco Johannes Johann von Uexküll e presto la filosofia, soprattutto per via di Heidegger e Derrida, se ne impossessò travisando, a mio avviso, l’importante scoperta dello studioso tedesco, che certamente non vedeva, in questa diversità, una limitazione ontologica dell’animale rispetto all’uomo, come invece sostennero i due importanti filosofi, ma un diversità di “pares inter paribus”, assestando un duro colpo all’antropocentrismo di cui purtroppo si “nutre” l’Umanità.