Università e rivoluzione della mutanda

Creato il 20 settembre 2012 da Symbel

Ci sono i professori del ’68, quelli del Governo tecnico e quelli che si appiattiscono sullo stile radical-chic.
Ci sono anche quelli che ci fanno sorridere, pensare e dire – perlomeno a me – “ah, finalmente!”.
Ma quale politically correct! E basta con questa storia dell’abito che non fa il monaco, teoria che camuffa il più delle volte un cattivo gusto anche nel vestire, con buona pace di chi pensa che il buongusto sia roba da fighetti. Con questa scusa, tra l’altro, abbiamo visto portare combinazioni che parevano il risultato dell’estrazione a caso dei capi.
Poi arriva lui, il Prof che fa quel che non ti aspetti. Perché chi è figlio della generazione Y roba simile non solo non l’ha mai vista, ma addirittura non l’ha mai osata immaginare: chiedere un abbigliamento consono all’Università.
Con una leggerezza mai vista, viene squarciato quel velo omertoso in cui il limite del cattivo gusto veniva superato con la connivenza di quel buonismo ultratollerante che continua a produrre dappertutto i suoi danni. Addirittura il professore, nel suo invito, sottolinea indirettamente che per affrontare un tema tanto delicato per i “ribelli” si deve entrare in punta di piedi.
Le mises ridicole con cui spesso ci si presenta (ricordo un collega con la maglietta del Cagliari Calcio – quella di Agostini, per la precisione) non fanno altro che nuocere alla presentabilità della persona. In un colloquio di lavoro, nella grande maggioranza dei contesti, non incrementa certamente la fiducia di un datore lavoro.
Finiamola con il politicamente corretto, con il buonismo, con il così fan tutti. In certe condizioni non ci si presenta a sostenere un esame, così come non ci si presenterebbe in altri luoghi e contesti.
E oggi non dobbiamo avere paura di dire “no, si presenti un’altra volta”.
Grazie professore. La vera rivoluzione è stata la Sua.

Michele Pisano (collaboratore)

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