Licia Satirico per il Simplicissimus
Il professor Francesco Profumo ha esordito nella sua nuova qualità di ministro dell’istruzione incontrando una delegazione di studenti universitari del Cnsu, già noto per le opinioni indulgenti manifestate nei confronti della riforma Gelmini. Si sa che i debutti sono spesso impacciati se non infelici, e forse per questo il successore di Mariastella si è rifugiato nel comodo territorio dell’impossibilità. In questo momento, ribadisce il ministro, non ci sono soldi per gli atenei. L’unica garanzia che si possa offrire al mondo accademico è dunque quella di dare attuazione alla riforma fortemente voluta dal precedente governo, ora affossata – insieme agli atenei – nel maelström dei decreti attuativi. In un anno ne sono stati promulgati appena dieci: si attendono fiduciosi, entro la fine del secolo, i restanti trentasette. Il totale di quarantasette decreti, cabalisticamente parlando, fa temere nel frattempo un’estinzione per consunzione delle università italiane, paralizzate per buona parte delle loro attività amministrative e in vana attesa di nuovi concorsi.
È davvero difficile riuscire a capire se stia parlando l’ex rettore di un ateneo (il Politecnico di Torino) critico nei confronti della riforma, un politico consumato oppure un “tecnico” (incolore inodore insapore?).
Come ex rettore, Profumo dovrebbe conoscere perfettamente l’impatto devastante della legge Gelmini su quel che resta delle università pubbliche: l’ingresso di privati nei consigli di amministrazione apre la strada all’angosciante idealtipo di università-azienda caro ai famigli di Silvio Berlusconi, suffragato dall’introduzione della figura di un direttore-manager che deve ottimizzare efficienza e risorse, quasi che l’alta cultura fosse come l’alta velocità. Anche le pubblicazioni scientifiche, sull’onda di questa trasfigurazione, sono ora del resto diventate “prodotti”, da valutare secondo criteri bizzarri che distruggono le facoltà umanistiche. Dovrebbe esser nota al ministro Profumo la “tolleranza zero” voluta dalla Gelmini verso gli atenei che si trovino in dissesto finanziario. Peccato che il dissesto sia inevitabile, visti i paurosi tagli apportati al Fondo di finanziamento ordinario delle università dalla legge Gelmini-Tremonti del 2008. Lo spettro della bancarotta tormenta le università statali, alcune delle quali – già commissariate – rischiano a breve di non poter più erogare stipendi e servizi, morendo di stenti come in un romanzo di Victor Hugo.
Da politico, Profumo sposa – volente o nolente – la riforma della ministra più incompetente della storia della Repubblica, condannando gli studenti universitari al pagamento di tasse più elevate per servizi sempre peggiori: aule senza riscaldamento, biblioteche senza personale e senza libri, borse di studio rarefatte e docenti sempre più anziani, soli, poveri. Uno dei pochi decreti attuativi già promulgati prevede infatti che gli scatti stipendiali di anzianità dei professori non siano più automatici, ma affidati al potere discrezionale del rettore (sulla base della “produttività”) e solo nella misura del cinquanta per cento delle risorse disponibili.
Come tecnico, Profumo conosce le anomalie della genesi di una normativa frettolosa e velleitaria, approvata sull’onda del sostegno parlamentare di studiosi del calibro di Domenico Scilipoti. Da professore universitario, il ministro non può ignorare che l’istruzione e la ricerca non possono essere oggetto di esperimenti in corpore vili, non sono appendici pletoriche della vita socio-culturale di un Paese ma la sua stessa linfa vitale. Ci dia prova di discontinuità non solo cambiando cavallo, come auspicato da studenti e sindacati, ma cambiando cavillo: bloccando, finché è possibile, una riforma brutta come l’incubo che tormenta questo Paese da quasi diciotto anni.