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“Uno dei migliori libri italiani scritti e pubblicati nell’ultimo decennio”. Francesca Fichera su Scene Contemporanee

Creato il 17 luglio 2013 da Andreapomella

Su scenecontemporanee.it una recensione di Francesca Fichera a “La misura del danno” che più benevola non si può. Qui l’articolo originale.

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«Si può parlare di ingiustizia a proposito del mancato grande successo, di critica e di vendita, del Mondo salvato dai ragazzini di Elsa Morante? Intendiamoci: successo di vendita e critica c’è stato, ma normale. Mentre il libro della Morante rappresenta un avvenimento eccezionale».

Così scriveva Pier Paolo Pasolini, nel 1968, all’interno della rubrica da lui curata per Il Tempo. E qui lo si cita non per fare un confronto fra il testo della Morante e La misura del danno ma, per l’appunto, onde ritrovarsi nel riproporsi, familiare e forse anche fatale, di un caso letterario in tutto e per tutto simile, al di là di qualsiasi differenza di contesto. Perché l’ultimo romanzo di Andrea Pomella non è molto distante dall’essere un capolavoro: di sicuro è uno dei migliori libri italiani scritti e pubblicati nell’ultimo decennio, e che molto probabilmente il tempo (non quello di Pasolini e del suo Caos, purtroppo) collocherà su uno scaffale ancora più alto. O almeno questa è la speranza. Mentre ora, per dirla ancora con Pier Paolo: «i giovani corrono dietro a stupide chimere, imposte terroristicamente. e tutto ciò che non sa di queste intimidatorie novità, viene lasciato da parte, addirittura non accepito. Gli anziani, in parte a causa dello stesso terrorismo, un po’ seguono i giovani, un po’ sono completamente nelle mani dell’industria culturale. Anche la minoranza di spiriti liberi […] non è la vera minoranza di spiriti liberi, ma ne ha solo l’aspetto […]; in realtà è anch’essa automatica […]; gli scandali sono tutti, come dire?, preordinati». E questo, casualmente, non sta solo a descrivere l’intorno del romanzo, del suo esempio di straordinaria voce bianca messa in sordina dal rumore circostante; è anche al suo interno. È il cuore di un racconto crudele di giovinezza (perduta e simulata) il cui pulsare non riguarda in esclusiva la storia di un quarantenne di successo alle prese con l’ascesa e la caduta della sua esistenza. Dove lo sfondo è precisa rappresentazione che dà peso e senso all’azione di chi vi si staglia contro. Dove l’Italia è un personaggio quanto gli italiani. Per questo, soprattutto, La misura del danno è un libro estremamente vivo: vale tanto come prova (matura) delle capacità scrittorie del suo autore quanto come meta-testo che non pone fine a se stesso imbiancando l’ultima pagina, bensì si lancia, aprendosi al suo contesto d’origine, e lascia ad esso il compito di continuare e dare un termine; con una lucidità che ammazza ogni utopia ma non indugia nella diffusa moda del pessimismo a cui giovani, anziani e spiriti liberi vanno ultimamente dietro. È quindi un romanzo che si distingue; se non per tutto questo, almeno per la testimonianza che reca: una scrittura sapiente, profonda, vibrante in ogni sua riga, che arriva perfino ad ammiccare a Il profumo di Süskind. Un atto d’amore verso l’arte, che spinge chi legge a non accontentarsi più di una buona trama o di una virgola messa al punto giusto. Fa desiderare entrambe, una volta ancora.


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