Quel giorno Ted Hyumvitae era nervoso. Aveva preso un giorno di permesso al lavoro. Si era alzato presto. Non aveva mangiato niente, non aveva bevuto niente. Aveva fumato l'ultima sigaretta sei ore prima.Aveva fatto la doccia, si era vestito bene ed era arrivato all'ospedale. Aveva preso il numero, 178. Erano al 43. Aveva previsto una lunga attesa, così si era portato un libro. Si era messo in piedi vicino allo sportello dell'accoglienza, e lo aveva aperto. “Confessioni di un codardo”. Il titolo gli sembrava pertinente, era nervoso da una settimana. Comunque, poteva esserci qualche ragazza, nella coda. Il libro era un vecchio trucco. Non si era scordato di dieci anni prima, in fila dal dentista. La più bella ragazza che avesse mai visto. Anche lei lo guardava, prima il suo libro e poi lui. Aveva avuto l'impressione che gli sorridesse. Ma Ted era fidanzato con Ana Certa, allora. Ed era uno serio, al punto di non essere capace a fare approcci nemmeno da single. Qualche tempo dopo, Ana lo aveva lasciato.
Il libro prometteva, ma lo distoglievano i suoni del tabellone elettronico e lo sgomento per l'assenza di sesso femminile di età compatibile. Solo signore anziane, o extracomunitarie incinte con prole già al seguito. Alla fine suonò il suo numero, pagò e si diresse al terzo piano.
Endoscopia. Era da solo. L'unico. Consegnò il suo foglio all'infermiera niente male. Si tolse la giacca, si sedette, riprese il libro e lo riaprì. Giusto in tempo per essere chiamato.Lei lo indirizzò nella stanza in fondo a destra. Posò le sue cose su una sedia, mise il cellulare in modalità aereo. Entrò un dottorino in berretto e camice verde. Niente primario, anche se gli avevano garantito che prendendo un appuntamento per quel giorno lo avrebbe visitato lui.
Cercò subito di stabilire un'empatia. Era nervoso. Raccontò i suoi sintomi, e i motivi per cui il Professore gli aveva prescritto quell'esame.
Si avvertono delle voci. 'Ci credo che ha la sensazione di non digerire, guarda qui'. 'Prendi la pinza per la biopsia'. Le orecchie non si possono chiudere, mai. Ted aveva scelto di non confessare la verità. “Dottore, infermiera: io soffro di claustrofobie piccole e grandi, e questa di farsi scendere metri di tubo in gola mi sembra gigantesca”. Poi la consapevolezza di dover ripetere i primi millimetri chissà quante altre volte prima di avere successo, con sempre più paura di dover ricominciare da capo. Il tubo scende veloce, spinto dalle mani del dottorino una dopo l'altra. Respira, respira, chiudi gli occhi. Certo alzarsi e scappare non servirebbe a niente, al punto in cui siamo il tubo impiegherebbe un secolo a uscire.
In pochi lunghissimi minuti, forse tre come promesso in precedenza, finisce. Sul tubo, né grande né piccolo, della sezione di un mignolo, le prove tangibili dell'indigestione. Meglio farne un fagotto col bavaglino messogli sotto la bocca dall'infermiera, perché “è normale che ci sia un eccesso di salivazione, o qualche rigurgito”.
“44. 44! 44!”.Gli venne un dubbio. “Io ho il 544, sono io?”“Era ora.”Ted valutò distrattamente l'idea di far notare alla signora scocciata in camice bianco che era in realtà una vecchia signora cicciona scocciata in camice bianco. Ma quando t'infilano metri di tubo in gola senza poter reagire, ai soprusi ti abitui prestissimo. Così entrò, sorridendo e scusandosi.
Un'altra signora, anche lei sovrappeso e in camice bianco ma sorridente, lesse negli occhi di Ted il bisogno di comprensione. Gli legò l'elastico sul bicipite sinistro, gli gonfiò la vena e infilò l'ago. Quando gli ficcavano cose nelle vene, Ted una volta guardava e quella dopo no. Doveva allenarsi a sopportare le cose spiacevoli. Toccava al non guardare, per fortuna. Se aveva dei limiti, quel giorno ci si era avvicinato parecchio.L'operazione durò più del solito, parse a Ted. Poi riprese la sua roba, e si rivestì nel corridoio.
Una volta vestito, decise di prepararsi una sigaretta per celebrare l'uscita dall'ospedale. La cartina si ruppe, il filtrino cadeva. Il tabacco era sempre troppo o troppo poco. Il tempo aumentato gli permise di notare le persone lì intorno. C'era una vecchina coi capelli bianchi. Finissimi, e radi. Sotto aveva la testa rosa. Si teneva l'ovatta contro il braccio piegato. La accarezzava il marito, vecchietto pure lui.
Uscito dall'ospedale, finalmente se la accese. A un certo punto gli venne anche il singhiozzo. Decise di levarsi di mezzo tutte le incombenze che poteva. Andò in banca a pagare le bollette, e poi a fare la spesa, colla sensazione della violazione del corpo. Doveva essere qualcosa di simile a ciò che provava una donna che avesse subito uno stupro. Si vergognava del paragone, in fondo lui aveva fatto una scelta. Allora pensava a un filmato di oche che aveva visto, colle zampe inchiodate su una tavoletta e un imbuto da cui scendevano chili di granturco che facevano scoppiare il fegato in paté. Ma forse neanche quel pensiero era politicamente corretto. O alle streghe medievali, il cui stomaco veniva fatto esplodere dai litri d'acqua di un tubo che calava nella gola. Sicuramente più largo di un mignolo, e meno igienico. Niente bavaglini monouso per i rigurgiti. Quando pensava a quelle oche, o a quelle streghe, aveva una gran voglia di fare a pugni.
Capì all'improvviso il motivo per cui tutto andava avanti. In genere gli eventi non capitano tutti insieme. Si spera sempre di poterli tollerare, uno per volta.