“UNO SGUARDO DAL PONTE” - Annullamento del Ponte sullo Stretto e asta delle frequenze televisive non risolverebbero i problemi strutturali del TPL

Creato il 28 ottobre 2011 da Ciro_pastore
In queste ore, proprio in concomitanza con l’ennesimo ritardo nei pagamenti degli stipendi nelle maggiori aziende napoletane, si rincorrono le proposte tese ad individuare nuovi fondi per “salvare” il Trasporto Pubblico Locale. Si sono indicate come possibili fonti il dirottamento dei fondi previsti per la costruzione del famigerato Ponte sullo Stretto di Messina e i proventi derivanti dall’asta per le frequenze televisive sovrabbondanti. Entrambe le proposte non avranno vita facile, però. Il Ponte rappresenta da 40 anni il sogno proibito di intere generazioni di politici. Dopo decenni di studi di fattibilità, progetti e spese “inutili”, proprio ora che stava per materializzarsi quel sogno è arrivato il declassamento della Comunità Europea, che ha relegato l’opera fra i progetti non prioritari. Questa decisione sembra aver determinato un parziale disamore per il progetto, anche nella maggioranza. Il Ministro Mattioli, però, tituba e, quindi, la partita pare ancora tutta da giocare. Discorso analogo si può fare per l’asta delle frequenze televisive. Se quelle destinate alla telefonia mobile vengono assegnate attraverso un’asta a rialzo fra le aziende, rispetto alle frequenze televisive, il Ministro Romani, era intenzionato, invece, a regalarle ai soliti noti, attraverso il sistema del “beauty contest” (una modalità che valuta i progetti editoriali).Nel resto d’Europa le frequenze sono un bene pubblico ed il loro utilizzo viene sempre pagato dalle aziende che le ricevono in concessione, garantendo così un reddito allo Stato e, quindi, ai cittadini. In questo periodo di crisi e con la necessità di manovre economiche pesanti e dolorose per i consumatori parrebbe impensabile regalare frequenze televisive che potrebbero garantire diversi miliardi di euro. Ma nonostante l’insostenibilità dell’operazione regalo, pare  tuttora complicato che si arrivi all’asta e alla susseguente destinazione delle risorse al TPL. Ma in ogni caso, anche il combinato disposto delle due fonti non farebbe altro che garantire la copertura per un paio d’anni.
Altro elemento che lascia pochissimo spazio all’ottimismo è la famigerata LETTERA del Governo alla Comunità Europea. Fra i vari intenti enunciati c’è l’impegno di operare (entro 2 mesi) per “la rimozione di vincoli e restrizioni alla concorrenza e all’attività economica, così da consentire, in particolare nei servizi, livelli produttivi maggiori e costi e prezzi inferiori”A parte la normale perplessità sulla realizzabilità pratica di questo che pare un mero impegno formale, la considerazione da fare è che, comunque, nel medio periodo la strada delle liberalizzazioni/privatizzazioni è tracciata e difficilmente si tornerà indietro, per cui con questo vincolo dovremo fare i conti, a meno di impensabili sconvolgimenti politici-economici.
È patrimonio comune che le risorse degli enti territoriali (regioni, province e comuni) si riversano soprattutto nella sanità e nei trasporti locali. Finora, occorre onestamente ammettere che il sistema dei "sussidi", ha consegnato alle aziende del settore solo rendite di posizione derivanti dal “monopolio naturale” di cui le stesse godono. Motivo per il quale la privatizzazione del settore così com'è avrebbe dunque scarso senso finanziario. Meglio puntare su un graduale ridimensionamento dei sussidi e, soprattutto, su una bilanciata apertura alla concorrenza. Quindi, più liberalizzazioni che privatizzazione, dovrebbe essere la ricetta da praticare nello scenario attuale. Liberalizzazione anche, e soprattutto, delle tariffe che sono populisticamente mantenute troppo basse rispetto agli altri paesi europei. Se infatti in Italia il biglietto ordinario urbano costa in media circa 1,10, a Parigi ne costa 1,57, a Berlino 2,10, a Londra 2,75, mentre a Stoccolma addirittura 3,73. La classe politica ha sempre giustificato questa scelta, francamente demagogica, asserendo che il trasporto pubblico è indirizzato essenzialmente a categorie disagiate territorialmente e, soprattutto, economicamente. Mentre, in realtà, l’utenza maggiore si concentra nelle grandi città. Peraltro, mentre una quota di utenti è sicuramente a basso reddito, non si può ignorare che i centri urbani maggiori vedono anche la concentrazione di lavoro terziario ben retribuito che sceglie il trasporto pubblico per ragioni etiche e funzionali. Non sfugge ai più attenti che i lavoratori dell’industria, essendo le loro residenze e i loro luoghi di lavoro localizzati in aree periferiche e a bassa densità, non possono che servirsi prevalentemente dell’automobile privata, essendo quasi del tutto scomparse dall’offerta le cosiddette “corse operaie”.Più che una forma indiretta di sistema redistributivo, i sussidi al TPL sembrano piuttosto mirati a sostenere l’offerta stessa, con una modalità svincolata dalla presunta socialità della domanda e dalla reale consistenza e distribuzione della stessa. L’efficienza produttiva, infatti, è stata finora bassa perché fortemente limitata dal pressoché inesistente rapporto fra domanda reale ed offerta, con quest’ultima sicuramente sovradimensionata e non allineata con le mutevoli richieste provenienti dal territorio. Pertanto se si procedesse alla privatizzazione del settore sic rebus stantibus non si farebbe altro che garantire agli eventuali (ma altamente improbabili) compratori privati soltanto il perpetuarsi di tali rendite di posizione, come è avvenuto di fatto per le autostrade e per parte del settore elettrico.
Rimane, tuttavia, per i trasporti locali l’altro possibile obiettivo che giustificherebbe tariffe basse: la tutela ambientale. Ma, tale obiettivo si realizza soprattutto con attraverso le ferrovie/metropolitane, visto che il trasporto su gomma – dotato mediamente di mezzi antiquati ed altamente inquinanti – non apporta significativi effetti alla lotta all’inquinamento. Ma le strade ferrate costano, sia in termini infrastrutturali che di gestione. Quindi, la tutela ambientale va perseguita mediante un equilibrato mix di trasporto pubblico (più ferro che gomma) e di tariffazione della congestione, come si è avviata a fare Milano, sull’esempio di Londra, e come si tenta di fare anche a Napoli, con la recente estensione della ZTL, primo passo verso la tassa d’ingresso. Resta un decisivo obiettivo di razionalizzazione rendere più costoso e complicato l’accesso e la sosta nell’area urbana, destinando le risorse così recuperate a finanziare il TPL.
Per concludere, non resta che augurarsi di avere il tempo e le risorse per effettuare una radicale revisione della domanda, seguita dall’ottimizzazione dell’offerta. Si creerebbero così i presupposti per procedere alla liberalizzazione del mercato e delle tariffe elemento insostituibile per la successiva fase di privatizzazione che, solo al termine di questo percorso virtuoso, vedrebbe vincere le imprese più efficienti perché sottoposte ad una giusta pressione concorrenziale. Nel medio termine, si giungerebbe ad una drastica riduzione dei sussidi al trasporto pubblico derivanti da una progressiva riduzione dei costi di produzione del servizio, dovuti ad economie di scale ed aumento della produttività. Ma, elemento ancor più importante, nel lungo periodo si potrebbe giungere alla definitiva rottura delle gestioni clientelari proprie dell’intero settore, causa prima della sua attuale inefficienza.
Ciro Pastore – Il Signore degli Agnelli
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