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Uno sguardo sul Perù: tra miseria, amore e solidarietà

Creato il 21 marzo 2012 da Associazioneart

Continuiamo il racconto relativo all’esperienza di solidarietà internazionale con il Perù che vede protagonista un’amico dell’A.R.T., Silvano Roi, insegnante in Educazione Cinestesica e national faculty dell’associazione Brain Gym Italia. Silvano ha aderito con entusiasmo all’idea di condividere la sua storia di volontariato iniziata l’estate scorsa e tuttora in corso, attraverso la pubblicazione di alcune riflessioni scritte nel suo diario durante il suo soggiorno in Perù. Come noi, è infatti convinto dell’importanza di portare al di fuori dei confini del piccolo villaggio e del Perù le storie che ha incontrato, quelle dei bambini e degli educatori del Centro in cui ha svolto il suo volontariato. Offrire uno sguardo sul Perù da un punto di vista diverso rispetto a quello più noto del turismo. Il diario di Silvano ci regala una “fotografia” poco consueta su scorci di vita di cui non parlano le guide turistiche, ma che sono preziosi da scoprire. Ci permette di conoscere un’esperienza di volontariato che varca i confini nazionali per testimoniare, con semplicità e grande umanità, quanto sia importante la solidarietà per chi la riceve ma anche per chi la offre.

Ecco la sintesi della seconda lettera dal Diario in Perù di Silvano, inviata il 7 agosto 2011.

bambino gioca centro peru
Un bambino gioca nel prato del Centro

Ciao, più che una mail agli amici, trascrivo pagine di diario che mi fa piacere condividere.

L’organizzazione settimanale del volontariato e del lavoro

Sono qui da più di un mese. E`volato e al tempo stesso mi sembra un’ eternità. Rimarrò ancora un mese e mezzo. Il mio lavoro ormai e`avviato ed ha preso una forma definita e stabile. C’e` bisogno di soldi e quindi, oltre al lavoro qui al Centro, tre volte alla settimana vado a lavorare a Cuzco, in una scuola media. Il guadagno e’ poco più che simbolico ed è interamente devoluto ai bambini del Centro. Lunedì mattina la sveglia e’ alle sei. Alle 8 sono al Colegio Pukllasunchis di Cuzco. Vedo 7 bambini, fino alle 15. Alle 17 sono di ritorno al Centro, dove vedo ancora 3 persone. Finisco alle 20. Martedì e mercoledì lavoro tutto il giorno coi bambini e le insegnanti. Consultazioni individuali e lavoro di gruppo. Abbiamo iniziato ad introdurre Brain Gym nei laboratori. E`incredibile come molti bambini siano sensibilissimi a questa tecnica. Il giovedì e’ come lunedì: sono a Cuzco fino alle 15 e dalle 17 alle 20 vedo ancora 3 persone. Venerdi’ alle 8 ricevo una persona, alle 9.30 inizia il corso di Brain Gym per gli insegnanti del centro e di alcune scuole della zona. In tutto 17 persone. Tutto il personale del centro partecipa con entusiasmo, compresi cuoca e guardiano. Il corso termina alle 17. Dalle 17.30 alle 18.30 vedo ancora una persona. Spesso dopo cena faccio un’altra consultazione. Da sabato 13 inizierò un nuovo corso di formazione in Brain Gym a Cuzco. Questo e’ a pagamento e anche questi soldi sono per i bambini del Centro. Il lavoro mi da’ molta soddisfazione e la gente e’ contenta. La mia rigidità e i miei principi si stanno allentando sempre di piu’. Devo fare la maggior parte dei trattamenti individuali da solo, anche se avrei preferito che le persone in corso di formazione facessero piu`tirocinio, ma non c’e’ abbastanza personale. Facciamo quel che si puo’.

bambini ginnastica brain gym

Due bambini del Centro mentre eseguono i movimenti del Brain Gym

I bambini seguiti dal Centro

I bambini sono dolci e affettuosi, entusiasti di avere un’ora interamente dedicata a loro, individualmente. Credo che per tutti loro sia un’occasione insolita il sentirsi al centro dell’attenzione di un adulto per un tempo così lungo.

Non tutti capiscono cosa facciamo. Ci sono differenti livelli di disabilità. In alcuni casi mi arrampico sugli specchi, in altri l’intesa e’ totale. A parte il lavoro, non e’ facile vivere in contatto costante con questi bambini. Col passare dei giorni capisco meglio le dinamiche e i comportamenti. Qualcuno cerca di sedurmi, altri mi usano per giocare, altri ancora mi aggrediscono. Alexandra e’ una bambina autistica”grave”. Non sa parlare, fa versi, si isola ma cerca sempre di attirare l’attenzione. Juan Carlos non sa parlare, ripete costantemente un verso acuto cui fa seguire una risata sguaiata. Ieri mi sono avvicinato a lui per giocare e mi ha sputato addosso, ridendo. Thais e’ una bambina Down che mi corre incontro, mi abbraccia e vuole che giochi con lei. Quando Xiomara e Ana si avvicinano perche’ le faccia saltare (e’ il loro gioco preferito con me), Thais le aggredisce e le caccia, dicendo che sono suo. Diego mi vede, mi abbraccia forte e subito se ne va. Sa che non ho tempo per stare con lui. Quell’ora la settimana in cui lo vado a prendere per lavorare con lui, gli brillano gli occhi. Diego e’ un bambino “normale”. E’ qui con suo fratello e sua sorella perché di giorno non c’e’ nessuno che si può occupare di loro. La madre era alcolizzata ed e’ morta di cirrosi. Brizaida non parla, ha un ritardo mentale grave. Mi siedo a tavola vicino a lei e a Rossimary, una bambina autistica. Rossy mangia un po’ dal suo piatto e un po’ dal mio, mentre Brizaida si aggrappa al mio braccio con le mani sporche di minestra. Ogni giorno e’ così. Tutti questi bambini, al di là del loro grado di abilità, cercano il contatto, ma solo entro un certo limite. Hanno sviluppato un sistema di sopravvivenza emozionale. Sanno che in fondo sono comunque soli, per quanto qui siano accuditi amorevolmente e con rispetto.

Alle 21 tutti vanno a dormire, hanno fatto la doccia e hanno lavato i denti. Nessuno di loro sa cos’e’ il bacio della buona notte. Nessuno fa storie per andare a letto. Si spegne la luce e in un attimo tutti dormono. La sveglia e’ alle 6. Sono impressionato dalle quantità di cibo che mangiano: piattoni di riso, pasta, quinoa, mais. Questa e’ l’alimentazione base. Nessuno fa storie. Tutti mangiano quello che ricevono nel piatto. Una volta la settimana c’e’ pesce: una specie di sgombro, impanato e fritto, con pelle, lisca e spine, accompagnato da riso senza alcun condimento. Tutti, senza eccezione, mangiano il pesce , con le mani, togliendo le spine dalla bocca. Autistici, Down, ritardati mentali. Nessuno dei nostri bambini italiani saprebbe farlo. Sorridono, sorridono sempre. E’ raro vederli litigare, e quando accade, dura mezzo minuto. Hanno sviluppato una capacità di autogestione, personale e di gruppo, impressionante. E’ un senso che hanno sviluppato da soli.

casa peru bambino volontariato

Una bambina autistica all'esterno della casa dove vive con i genitori quando non è al Centro

La storia di Veronica

L’altro giorno e’ arrivata Veronica, una bimba di 9 anni. Viene da Andahuaylillas, il paese vicino. Invitata dalla maestra di sostegno, che al pomeriggio lavora con noi, per una valutazione delle sue difficoltà di apprendimento. Irene, che deve valutarla, per un contrattempo e’ trattenuta alla scuola di Cuzco. Conversazione telefonica: “Cosa facciamo, la mandiamo indietro”? “No, fatela vedere da Silvano”. Il mio studio e’ la sala di fisioterapia, una bella sala grande, con qualche attrezzo, il lettino, e la vasca per idroterapia, che i bambini utilizzano con gioia , per quanto , per un errore nella costruzione, sia stato installato un motore insufficiente per riscaldare l’acqua. Bisognerebbe rompere tutto, e ci vogliono più di mille euro, ma ci sono altre priorità. Veronica porta i sandali tipici del Peru’, senza calze, con un pantaloncino e una maglia leggeri. Le chiedo se non ha freddo, e lei sorridendo, mi risponde di sì, mentre mi rendo conto di quanto idiota sia stata la mia domanda. E’ accompagnata dal padre e da Haide, la maestra di sostegno. Il padre, anche lui scalzo, coi sandali andini, un berretto di lana in testa, un fagotto tra le mani, mi chiede se possiamo parlare in Quechua. Gli rispondo che ancora non sono a mio agio col Castiglano, e il Quechua proprio non lo capisco. Haide fa da traduttrice. Con Veronica non c’e’ problema, lei parla bene lo spagnolo. Dopo aver scambiato qualche parola con lei le chiedo se la posso toccare, e lei, sempre sorridendo, mi dice di sì. Le mie mani sentono una tensione fortissima nei muscoli del collo e della schiena di questa bambina. In Kinesiologia, diciamo un riflesso di protezione dei tendini iperattivo. Sento la paura nel corpo di questa bimba che sorride. Non e’ di me che ha paura. Mentre la faccio stendere sul lettino e inizio un trattamento di rieducazione di quei muscoli, consapevole della totale inutilità dei questo mio intervento, chiedo al padre di dirmi in quali condizioni vive questa bambina. Dall’età’ di 7 anni Veronica vive in una specie di orfanatrofio, una “casa” per bimbi abbandonati. Abitava in un villaggio a 4 ore da qui. Lì non c’e’ scuola, e il padre, dice, vuole che abbia un’istruzione. Quando l’ha portata ad Andahuaylillas, Veronica parlava solo Quechua e non aveva mai sentito una parola di spagnolo. La mattina andava a scuola e il pomeriggio e la notte al ricovero. Circa una volta al mese torna a casa un fine settimana. Perché l’ha portata proprio qui e non da un’ altra parte? Perché in questo paese vive qualcuno con cui ha una qualche relazione di parentela e a cui ha affidato il figlio maschio, più grande di tre anni. I bambini si vedono la mattina a scuola. Inizio a spiegare al padre la differenza tra una bambina e un animale, ma mi rendo conto rapidamente che non serve, e in più non capisco la traduzione. Credo però che a Veronica faccia bene sentire le mie parole. Prima di terminare la consultazione, per quanto esuli dalle mie competenze, un sesto senso mi fa prendere la pila in mano e le chiedo di aprire la bocca. Tutti i suoi denti sono cariati. Irene decide di iniziare le pratiche per integrare la bambina al Centro e convoca il padre per firmare i documenti necessari. Veronica inizia dal giorno dopo a venire qui dalle 15 alle 18, per il momento, in attesa che i documenti siano in regola.

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Una bambina del Centro mentre cucina un pasto a casa sua

Venerdì sera, dopo il corso di brain gym, decidiamo di andare a trovarla, per vedere dove abita. Sono le 18.30, e’ buio, il cielo e’ stellato come da noi non si vede mai. Fa freddo, percorriamo una strada buia e sterrata. Busso alla porta, non c’e’ campanello. Arrivano diversi bambini, dentro e’ buio. La più grande ha in mano una candela. Nella casa non c’e’ elettricità. 14 bambini tra i 5 e i 13 anni, al buio, con una candela. “Siamo venuti a trovare Veronica e a conoscervi, possiamo entrare?” La ragazzina più grande stenta un po’ ad aprire la porta completamente, poi Veronica salta fuori e mi abbraccia, abbraccia Irene e Layne, la maestra di teatro che e’ venuta con noi, poi torna da me e mi stringe forte. “Dov’e’ la signora che si occupa di voi?” “Non c’e'” “Come non c’e'? siete soli?” “Sì” “E quando viene la signora?” “Non sappiamo, forse dopo” “Possiamo entrare? Siamo amici di Veronica” Irene e Layne entrano. Veronica mi stringe, al buio, si piazza davanti alla porta e non mi lascia entrare. Col suo corpo mi dice:”portami via, non riportarmi dentro”. Non posso far altro che prenderla in braccio e , col cuore a pezzi, portarla dentro. Non oppone più resistenza, sa che e’ così’ e si rimette in fretta la sua corazza. Irene si fa dare la candela, e dopo essersi presentata e aver presentato noi, illuminando il viso di ogni bambino, chiede loro di presentarsi. Il più piccolo ha 5 anni, sono senza acqua calda, si fanno la doccia il sabato, con l’acqua fredda. Una cucina sporca, con due marmitte coi resti di una zuppa di mais, due dormitori coi letti a castello appiccicati, una sala con un tavolo e due materassi a terra. Su una panca c’e’ un machete lungo almeno 50 centimetri. Appeso ad una parete c’e’ un foglio grande con le tavole delle moltiplicazioni e, vicino, una scritta: votare e’ un tuo diritto. Una foto di Keiko Fujimori e una di Ollanta, i due che erano in gara per la presidenza della repubblica. Nascondendomi nel buio non riesco a trattenere le lacrime. Sulla porta d’ingresso c’e’ una targa che dice che questa e’ un’ istituzione ONG. Allora i soldi ci sono. Chi li ruba, lasciando questi bambini in questo stato? Prima di andarcene, Irene promette ai bambini che toreremo a trovarli, e che li faremo venire a giocare al Centro qualche volta. L’abbraccio con Veronica e’ intenso, e’ venerdi’, lunedi’ pomeriggio ci vedremo. Non riesco a dire una parola e mi vergogno di piangere. Per consolarmi, Irene mi dice che capisce il mio turbamento, ma che devo sapere che rispetto a tanti altri, questi bambini stanno bene. Una cosa e’ sentire raccontare una storia, altra e’ viverla. Sono un uomo, un volontario italiano in Peru’, un kinesiologo, ma in questo momento, prima di tutto, sono un padre.

La sera guardo nel mio computer un dvd che mi ha prestato Irene. Poi il film finisce e mi rendo conto di essere qui. E’ un altro mondo.

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Mamme di bambini accolti che aiutano a preparare l'orto

La storia e l’impegno di Silvano in Perù proseguono e ci offrono un’occasione importante: essere d’aiuto a chi ne ha veramente bisogno attraverso piccoli ma concreti gesti. Silvano infatti si sta organizzando per poter attivare dall’Italia delle forme di sostegno rivolte a questi bambini con l’obiettivo di permettergli di realizzare cose molto semplici ma fondamentali che, ad ora, non sono possibili. Alcuni esempi? Andare dal dentista per farsi curare problemi gravi ai denti, avere coperte, cappotti e scarpe di cui hanno un enorme bisogno viste le rigide temperature e l’assenza di riscaldamento, disporre di denaro per comprare il materiale didattico… l’elenco potrebbe proseguire a lungo ma preferiamo pubblicare nei prossimi post le singole situazioni per le quali si stanno cercando aiuti e supporti. A breve quindi scriveremo come è possibile attivarsi per dare il proprio contributo. Per il momento chi fosse interessato a saperne di più può scriverci via mail ed essere messo in diretto contatto con Silvano.


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