Uomini che uccidono le donne

Creato il 06 dicembre 2012 da Vfabris @FabrizioLorusso

Qualche giorno fa su Carmilla Marilù Oliva ha trattato il tema della cultura del femminicidio in Italia. Ho scelto alcuni esempi e cercato alcuni testi per specificare quel concetto, così come quello di misoginia, attraverso una breve rassegna. Partiamo dal Messico. Il paese è noto per aver praticamente “inventato” o popolarizzato il termine “femminicidio” che descrive un fenomeno sociale e racconta l’orrore: ci parla, infatti, di vittime, delle centinaia di donne uccise a Ciudad Juárez e, in realtà, in tutto il territorio, per motivi di genere. Ci parla, banalmente, del correttore di word che ancora non ha incluso questa parola nel suo misero dizionario e continua a segnarla in rosso. Ci parla anche della cultura sottostante e della cattiva stampa che la foraggia e la propaga. Infatti, per anni si è fatto credere che nel nord del Messico ci fosse un mostro, un serial killer. Poi si parlò di gang e narcos. Poi di matti e squilibrati. Ma solo negli ultimi 6 o 7 anni si sente parlare seriamente di responsabilità delle autorità, di diritti umani, di connivenze della politica coi delinquenti e, infine, di machismo, maschilismo e cultura del femminicidio.

Tant’è che il fenomeno è diffuso ovunque e, per esempio, la zona con più femminicidi è lo Stato de México, la regione-cintura che sta intorno alla megalopoli capitale. Per cominciare introduco il video Stereotipi. “L’uso diffuso di stereotipi di genere contribuisce ad alimentare una mentalità sessista e, di conseguenza, atteggiamenti lesivi delle libertà individuali”, spiega la didascalia di questo documento realizzato dal collettivo Le Arrabbiate.

“Frignare come una femminuccia” o “non fare il maschiaccio” sono un paio di frasi comuni citate nel video che ci fanno capire quanto sia facile utilizzare, ascoltare e rinforzare più o meno consciamente alcuni atteggiamenti sessisti o degli stereotipi escludenti. Vale lo stesso per l’abusatissima espressione “omicidio passionale” o “accecato dalla gelosia”, usata da sempre come deus ex machina esplicativo dai mass media: in questo modo riaffermano giustificazioni e attenuanti di varia natura quando si tratta di uomini che non solo odiano, ma anche uccidono, le “loro” donne. E sottolineo le virgolette su “loro” in quanto è sempre più comune la percezione della donna oggettivata, trasformata e ridotta a proprietà, quasi mercanteggiata come un bene o un servizio a disposizione del suo padrone.

E’ una maniera di pensare che il capitalismo, in quanto sistema economico-culturale prevalente anche se non più egemonico, legittima e induce, avendo instaurato l’impero dell’economicismo, un’ideologia esasperata di conquista delle menti, delle idee, della natura, dei beni comuni e di tutte le cose che non possono più sfuggire alle logiche del possesso, dell’appropriazione, dei mercati e dei regimi giuridici sovrastrutturali che li incapsulano. Non sono critiche nuove, è vero, ma serve ricordarle. Siccome si tratta di aspetti legati alla cultura di ciascuno di noi, sono ancora più difficili da identificare e riconoscere. Sono elementi appresi, ma diventano ben presto innati, cioè assunti acriticamente. A volte basta solo viaggiare all’estero o leggere, basta confrontarsi con altre culture, saperle ascoltare, per rendersene conto. Ci sono pregiudizi e stereotipi talmente radicati nella cultura che non riusciamo a disfarcene e per questo vengono usati strumentalmente dai mezzi di comunicazione e, talvolta, perfino dai giudici per legittimare i crimini più efferati e le discriminazioni, soprattutto quelle motivate dal genere.

Negli ultimi mesi c’è stata un’ondata reazionaria e pericolosa di attacchi contro le donne, per esempio contro il diritto di decisione sul proprio corpo e la legge 194, oggetto di una sentenzada parte della Corte Costituzionale il giugno scorso, che negli anni ha permesso di ridurre drasticamente il numero di morti per aborti clandestini e, grazie alla sensibilizzazione sulla contraccezione, anche le interruzioni volontarie della gravidanza (IVG). La legge 194 sulla IVG, risultato delle lotte del movimento femminista in Italia negli anni ’70 e di alcune forze politiche, è da sempre attaccata dalla Chiesa cattolica e severamente limitata dall’obiezione di coscienza del personale medico e infermieristico (vedi video qui). E ci si è messo “giustamente” anche Ruini come ben sottolineava il 2 ottobre scorso un blogger nell’articolo “Ruini il fondamentalista a Che tempo che fa di Fazio”.

Cito: “La cosa davvero incommentabile e indegna di quella intervista è stata la tracotanza di un uomo – sua eminenza – in merito alla superiorità della religione cattolica (mascherata dietro il concetto più generico di cristianesimo) su ogni forma di pensiero. Ruini ha attaccato, uno dopo l’altro, i concetti di laicità, illuminismo, relativismo, libertà di fede, democrazia e, non ultimo, di intelligenza”. Completiamo il concetto. Su Carmilla Lorenza Ghinelli, nel pezzo “E liberaci dal pensiero unico. Amen”, scriveva: “Quello che invece è sembrato palese è stato un atteggiamento eccessivamente reverente nei confronti di un cardinale dichiaratamente conservatore, antiabortista e omofobo. Fazio ha mosso le sue parole unicamente dove Ruini non avrebbe avuto nulla da obiettare. È stata, in sintesi, un’occasione mancata per mostrare l’uomo e non l’abito”.

Uomini che odiano le donne? Che le considerano come loro proprietà? Che ne dice il quotidiano cattolico Avvenire? Un giornalista di quella testata, qualche mese fa è stato al centro di una polemica che s’è spenta rapidamente e che vale la pena riprendere e ricordare. Per farlo posto questo video, bello ma terrificante, sempre delle “Arrabbiate” che hanno inserito qui una sequenza di notizie trasmesse in TV che banalizzano e sminuiscono in qualche modo la portata del fenomeno del femminicidio in Italia. Di seguito c’è una lista di alcuni casi recenti con la foto, la professione della vittima e la situazione o modalità in cui è stata uccisa. Nella stragrande maggioranza dei casi l’assassino è un parente, marito, compagno, amico, fidanzato o ex, insomma un uomo legato alla vittima da qualche rapporto sentimentale o familiare.

Nell’articolo del 18 maggio 2012 intitolato “Fedeltà. L’unico antidoto alle passioni criminali”, il giornalista Maurizio Patriciello, dopo un preambolo filosofeggiante ma più che altro moralista, definiva il fenomeno in continua crescita del femminicidio come “passione criminale”, dettata dalla biasimevole infedeltà delle mogli ai loro mariti, e così facendo non faceva altro che confermare la mentalità maschilista e patriarcale della società italiana, di quella cattolica ma non solo.
Il signore, di professione sacerdote, forse non sa che il tradimento non è la causa comune di centinaia di femminicidi che si consumano ogni anno nel Bel Paese, bensì nella maggioranza dei casi la smania di possesso e di controllo delle donne da parte di mariti, fidanzati ed ex. Per chiarirci un po’ le idee segnalo due link: commento all’articolo di Avvenire (jumpingshark link) e un articolo del primo maggio 2011 sul fenomeno del femminicidio (“Perché si chiama femminicidio? diBarbara Spinelli – link).

Proprio Barbara spiega benissimo il fenomeno e la sua storia citando l’attivista messicana Marcela Lagarde:
Femminicidio è «La forma estrema di violenza di genere contro le donne, prodotto della violazione dei loro diritti umani in ambito pubblico e privato, attraverso varie condotte misogine -maltrattamenti, violenza fisica, psicologica, sessuale, educativa, sul lavoro, economica, patrimoniale, familiare, comunitaria, istituzionale- che comportano l’impunità delle condotte poste in essere tanto a livello sociale quanto dallo Stato e che, ponendo la donna in una posizione indifesa e di rischio, possono culminare con l’uccisione o il tentativo di uccisione della donna stessa, o in altre forme di morte violenta di donne e bambine: suicidi, incidenti, morti o sofferenze fisiche e psichiche comunque evitabili, dovute all’insicurezza, al disinteresse delle Istituzioni e alla esclusione dallo sviluppo e dalla democrazia».

In un articolo apparso sul blog Comunicazione di genere (qui) si fa il punto della situazione sulla stampa italiana e si invita a ricercare nei blog che li raccolgono le collezioni di articoli sessisti.
Anzi, “ormai non si tratta nemmeno più di sessismo. C’è chi ora si è spinto pure oltre e questa è la stampa italiana che negli ultimi anni è un proliferare di articoli contro le donne, che si aggiungono agli stereotipi sessisti che da anni ci facevano compagnia nelle piu’ importanti testate a suon di donnine discinte che ammiccano disponibilità in cambio di un click. E’ un fenomeno in crescita: dall’immagine della ragazzina sexy su articoli che narrano la storia di uno stupro di gruppo, all’articolo che utilizza un linguaggio complice con lo stupratore o l’assassino femminicida.
E’ un anno che i blog femministi della rete raccolgono articoli che descrivono atti di violenza sulle donne come “momenti di passione” o semplicemente follia ad articoli che usano un vero e proprio linguaggio volutamente maschilista per denigrare la vittima di uno stupro, come il caso di Nino Cirillo, ancora aperto”.


Sulla falsa riga dell’intervento reazionario di Maurizio Patriciello, sono usciti altri articoli ai limiti dell’assurdo. Memore del fatto che le peggiori iniziative liberticide in passato (vedi caso “Rogo di libri” e censura in Veneto all’inizio del 2011) sono cominciate come semplici esperimenti, quasi per scherzo o per provocazione, con un po’ d’ironia magari e una dose d’indifferenza o di sufficienza generale, ne parlai anche sui miei blog. Giudicate voi, lo copio sotto da il Foglio di Giuliano Ferrara, in una rubrica fissa (!!) chiamataPreghiera a cura di Camillo Langone che il 23 agosto 2012 s’è riferito alla vicenda di Daniele Ughetto-Piampaschet, arrestato a Torino per (presunto) omicidio (vedi link alla notizia qui). Il post sembra uno scherzo ma non lo è (o almeno io non lo capisco, forse sono limitato). E’ follia allo stato puro e si tratta di una rubrica su un giornale nazionale, non uno sfogo misogino su qualche sito neonazi (che non sarebbe comunque giustificabile…).

Per Daniele Ughetto – Piampaschet, che forse ha ucciso per amore una donna nigeriana, di mestiere puttana. Spero non sia stato lui, e se invece è stato lui spero gli venga comminata una pena mite perché chiaramente aveva perso la testa. Una preghiera per Daniele eccetera e per tutti noi maschi che al buio non capiamo più niente. Che ci si attenga sempre alla regola seguente: mai passare la notte con qualcuno con cui ti vergogneresti di passare il giorno. Le negre sono bellissime, e dopo il tramonto anche i trans sono favolosi, e così molte altre battone, baldracche e lapdancer. Ma hai davvero voglia di svegliarti con loro, al mattino? E le porteresti a pranzo nel tuo ristorante abituale? O da tua mamma? La vergogna e il controllo sociale non hanno niente di bello però qualcosa di utile sì.

Ecco il commento che sottoscrivo, diffondo e riporto sempre dal blog Comunicazione Di Genere, se cliccate trovate il resto e anche una lettera diretta all’Ordine dei Giornalisti.

Può una testata nazionale avere un articolo simile? Un articolo non solo razzista, omofobo ma soprattutto vergognosamente misogino poiché si giustifica un femminicidio, perché una donna che fa la prostituta non si può presentare alla mamma. Da una parte c’è la mamma e da una parte la “puttana”, quella con cui puoi scoparci solo la notte e non puoi presentare alla mamma perché non è una ragazza per bene. Per Camillo Langone sono motivi validi per uccidere una donna e per dedicagli una preghiera perché i maschi non si controllano. E’ vergognoso. Il Foglio è anche un giornale che non si fa tanti scrupoli per definire una donna che abortisce come un assassina. Come mai agli assassini di donne fa sconti? E’ chiaro che per certi esponenti la donna occupa una posizione infima della scala sociale sopratutto se non è “una donna da sposare”. E’ possibile che nessuno prenda provvedimenti contro i nostri mass media?.

Ritornando al Messico, dopo essere passati dall’Italia, concludo citando di nuovo l’articolo di Barbara Spinelli che ci dà una visione ampia del fenomeno nel mondo, in Messico e spiega l’importanza dell’invenzione della parola femminicidio.
“Questo neologismo è salito alla ribalta delle cronache internazionali grazie al film Bordertown, in cui si racconta dei fatti di Ciudad Juarez, città al confine tra Messico e Stati Uniti, dove dal 1992 più di 4.500 giovani donne sono scomparse e più di 650 stuprate, torturate e poi uccise ed abbandonate ai margini del deserto, il tutto nel disinteresse delle istituzioni, con complicità tra politica e forze dell’ordine corrotte e criminalità organizzata, ed attraverso la possibilità di insabbiamento delle indagini esacerbata dalla cultura machista dominante e da leggi che, ad esempio, non prevedevano lo stupro coniugale come reato e prevedevano la non punibilità nei confronti dello stupratore che avesse sposato la donna violata.
Oggi sembra quasi una banalità ripetere i dati dell’OMS: la prima causa di uccisione nel Mondo delle donne tra i 16 e i 44 anni è l’omicidio (da parte di persone conosciute). Negli anni Novanta il dato non era noto, e quando alcune criminologhe femministe verificarono questa triste realtà, decisero di “nominarla”. Fu una scelta politica: la categoria criminologica del femmicidio introduceva un’ottica di genere nello studio di crimini “neutri” e consentiva di rendere visibile il fenomeno, spiegarlo, potenziare l’efficacia delle risposte punitive”.

Pratiche religiose, tradizioni severissime, condizioni socioeconomiche denigranti o trattamenti crudeli legati al genere sono alcuni dei fattori che contribuiscono all’insicurezza delle donne in una società. La Thomas Reuteurs Foundation e la sua organizzazione TrustLaw Woman hanno elaborato una “classifica 2011″considerando anche la violenza fisica nei loro confronti, i livelli di emarginazione e povertà e la mancanza di un sistema previdenziale o sanitario: sebbene i primi cinque paesi, i più pericolosi per l’integrità fisica delle donne, siano l’Afghanistan, il Congo, il Pakistan, l’India e la Somalia, c’è da chiedersi se in Messico o in Italia, che non figurano ai primi posti malgrado la crescita del fenomeno, saremo in grado di comprendere e fermare la cultura del femminicidio e della discriminazione. Di Fabrizio Lorusso da Carmilla Twitter @FabrizioLorusso

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