Uomini e cani (2008)

Creato il 23 giugno 2011 da Sonjli
Teso come un thriller, barocco come una cattedrale, violento come il morso di un pitbull, Uomini e cani è una furibonda cavalcata nel cuore nero del Sud. In un Salento lontano anni luce da quello da cartolina, il comune di Languore progetta di trasformare una salina in parco naturale. E gli eventi si mettono in moto. Il sindaco è giovane e ottimista, Milena bella e spaventata. Nico ha perso tutto, tranne se stesso. Don Titta Scarciglia maneggia e corrompe. I Minghella addestrano cani e figli da combattimento e Pietro Lu Sorgi, l’eremita, annienta chiunque invada il suo territorio. Una tragedia greca, un western corale e inarrestabile. L’antico equilibrio è spezzato. Il sangue inizia a ingrassare la terra. (tratto dal sito ISBN)  
Non leggevo un romanzo italiano da una vita. Non è che non apprezzo la narrativa del nostro paese, anzi. Ma gli scrittori moderni più famosi non mi hanno mai ispirato granché. Ma ci sono le eccezioni. E per fortuna dico io. Una di queste è ad esempio il buon Niccolò Ammaniti che in coppia con Salvatores è riuscito anche a proporci spunti cinematografici interessanti ("Io non ho paura" e "Come dio comanda"). E poi ci sono una miriade di grandi professionisti, meno conosciuti, che si fanno strada reinventando e rinnovando generi che ormai non ci appartengono più da troppo tempo. Uno di questi è il bravissimo Omar Di Monopoli che propone una storia violenta e colorita che spiazza su tutti i fronti. Si parla di un Sud molto simile al vecchio Western Americano, con spruzzate di sano pulp tarantiniano, mescolato ad una conoscenza profondissima delle problematiche che soffocano quella parte d'Italia e di cui si sa sempre troppo poco. Il romanzo, vincitore del Premio Kihlgren nel 2008, è velocissimo e tagliente come un pugnale. Quando lo finisci hai la sensazione di aver preso un bel pugno nello stomaco. La qualità dello scritto e la varietà dei personaggi che compongono l'opera rendono l'assieme una gustosissima lettura per chi ama un noir divertente ma allo stesso tempo impegnato. Meritevole di nota la copertina, sporca di sangue con il bordo delle pagine rossastro. Più di qualcuno mi ha chiesto se mi ero tagliato o se il volume mi fosse caduto da qualche parte! Io amo moltissimo le storie in cui i protagonisti siano ben delineati e sfumati a dovere. Chi non ha amato Lost, per questo motivo? In questo caso ci sediamo e leggiamo le vicende intrecciate di uomini duri e selvaggi che rimarranno per lungo tempo nei nostri pensieri. La voglia di veder nascere un seguito è davvero forte. La mancanza di stereotipi "italioti" è ben marcata e, seppur non mancando vigili e carabinieri, nessun personaggio risulta facilmente riconducibile a figure nostrane riconoscibili. Tanto per fare un esempio, il protagonista, Nico, è un uomo tutto d'un pezzo, il tipico antieroe da spaghetti-western, se non fosse per un passato poco chiaro e lo strano "vizietto" che lo accompagna nel suo girovagare per la salina. Anche i cani che accompagnano costantemente Nico e i Minghella non sono certo come Lassie o Rin Tin Tin... Il villain del racconto, Don Titta Scarciglia, è anche lui fuori dagli schemi. Pur essendo chiaramente un uomo d'onore e un boss malavitoso, la sua figura scansa la parolina magica che inizia per "m" e finisce per "afia" e si denota la marcata volontà di mostrarlo come vecchio e senza più nulla da dire in quel Sud governato da anarchia e pazzia. L'anima nera del profondo Southern. Il protagonista dovrebbe essere il ranger Nico ma in realtà agisce da collante, quasi a voler lasciare il dovuto spazio agli atri numerosi personaggi che (non) vivono nell'immaginario comune di Languore. Primo su tutti, il mio preferito, Pietro Lu Sorgi che rappresenta quel sottile limite tra desolazione, ignoranza e cattiveria che non deve essere mai valicato. Un moderno Leatherface con la lupara al posto della sega. Buba è il giovane ex soldato che vuole lasciare quel maledetto posto ma non ci riesce mai e il destino gli si rivolta pure contro, quando riappare in paese la bellissima figlia dell'integerrimo Sputazza, Milena.
"Era di spalle, nuda. La pelle chiara come il latte. Una cascata di capelli sciolti e bagnati che le si appiccicavano sulla schiena [...] I seni ricchi, morbidamente lambiti dal dondolio della corrente sul pelo dell'acqua.".
Pezzo tratto da "Uomini e cani"
Concludo con una piccola curiosità che potrebbe ulteriormente invogliare a leggere questo bel romanzo. Omar sta lavorando alla realizzazione del film tratto dal racconto e ha promesso di aggiornare la cosa, a breve, nel suo blog.
E adesso la sorpresa che avevo anticipato prima delle vacanze.
Cinque domande a... Omar Di Monopoli

Ma chi sarà mai questo cowboy
col sigaro tra le dita?

Innazitutto benvenuto nel mio umile blog e sono onorato di avere la possibilità di porre queste brevissime domande per capire meglio cosa si cela oltre "Uomini e cani".
Chi volesse conoscere meglio Omar, non deve fare altro che cliccare su Sartoris e andare a visitare il suo polveroso e fornitissimo blog.  Cominciamo... 1.Da dove hai preso ispirazione per creare questo splendido gruppo di personaggi? Ho lavorato parecchio su una serie di caratteri realmente esistenti, è una cosa che faccio spesso, naturalmente modificando a mio piacimento alcune peculiarità, fondendo personalità e amplificando nevrosi sino ad ottenere il gruppo composito di pedine di cui abbisognavo per intavolare la mia scacchiera «western»: l'idea era quella, infatti, di rappresentare la mia Puglia, il mio Mezzogiorno, come un grande teatro "sergioleoniano", e utilizzare queste coordinate per mostrare - se possibile - una porzione di Sud diversa da quella che gli uffici turistici della Regione promuovono (con successo) da più di un decennio. Poi, a dirla tutta, l'irraggiungibile Maestro Leone (per il quale personalmente ho una venerazione quasi patologica) aveva già intuito la similitudine tra il Mito della Frontiera Americana e gli spazi brulli e arsi del sole di questa fetta di Penisola: veniva infatti quaggiù a pescare le facce da peones che inseriva nei suoi splendidi spaghetti-western (in particolare, in IL BUONO, IL BRUTTO E IL CATTIVO compare uno del mio paese che ancora adesso è considerato quaggiù una sorta di Local-Hero!)
2.Perché non hai voluto approfondire troppo la figura di Nico, lasciando così tanti punti in sospeso?
Proprio per attenermi agli stilemi del western: non sarebbe stato un romanzo di questo tipo se non avessimo concepito a mo’ di guida degli eventi una sorta di "straniero senza nome", qualcuno che arriva in città portandosi un alone di mistero e sconfigge il cattivo prima di risalire a cavallo (il guaio, semmai, è che in UOMINI E CANI sono tutti cattivi - o tutte vittime, dipende da come li si legge!)
3.Si capisce perfettamente l'amore per la tua terra, ma allo stesso tempo si respira il male che la permea. Cosa ti piace di questa zona di frontiera e cosa no? Io, come molti miei conterranei, ho provato a fuggire (e tuttora fuggo di continuo) dal Sud e dalla sterminata sequela di mali atavici che lo stanno devastando, salvo poi inesorabilmente ritornarci, talvolta con la coda tra le gambe, altre volte preda di una sorta di inguaribile «saudade» cui solo uno di quei tramonti mozzafiato che la Puglia è in grado di regalarti può lenire. La faccenda si fa complicata da spiegare senza passare per un piagnone (o un “Nemico del Meridione”, come talvolta quaggiù vengo accusato di essere per come lo descrivo) perché sono cresciuto in una zona che, oltre al malaffare e al disservizio, da sempre ha vissuto sulla propria pelle il dramma dell'emigrazione, intere generazioni di giovani costrette a lasciare cuore e famiglia per realizzarsi – ad esser fortunati - altrove: ma tranciare di netto le proprie radici dovrebbe essere una scelta consapevole (probabilmente necessaria, questo non lo nego) non l'unica alternativa alla morte… Certo oggi il discorso si è allargato, l'intera Nazione pare essere un posto dal quale è opportuno evacuare appena possibile, allontanarsi per metterselo definitivamente alle spalle, e questo mi sembra molto triste. Chissà, magari appena il mio inglese claudicante (lo parlo peggio di Benigni in DAUNBAILLO') sarà a registro finirò anch'io in qualche località sperduta dall'altra parte del mondo, a scrivere di cowboy, pizzica e mandolino anche là…
4.In "Uomini e cani" la violenza è una formalità e le armi da fuoco un'opinione. Risulta difficile distinguere gli "uomini" dai "cani". Quanto c'è di fantasia e quanto di reale? Come dicevo prima il confine è labile, certo, ma ovviamente non si può pensare che il sud sia semplicemente un luogo in cui tutto va costantemente a rotoli. Io sono uno scrittore, mi reputo (parola grossa, lo so) un artista, e credo di fare bene il mio lavoro se, invece che sfornare risposte - quelle le lascio ai politici e ai sociologi - il mio lavoro stimola delle domande. Ho scelto di utilizzare il registro dell'iperbole guardando a tanta letteratura southern d’oltreoceano: nei miei libri si sparacchia, si ammazza e si combatte in maniera epica e un po’ fumettosa, certo, ma sono sempre lieto quando qualcuno mi fa notare che una mia storia lo ha fatto pensare, magari anche indignare. Sembrerà una ruffianata ma sono sempre molto felice quando, durante le presentazioni che faccio di continuo su e giù per l’Italia, qualcuno mi fa notare che la realtà non è come la descrivo io, perché i meridionali sono molto meglio di quei bifolchi assatanati e distruttivi che dipingo io. Ebbene non aspetto altro che la parte migliore della mia terra venga allo scoperto, e grazie a Dio viene fuori sempre più spesso, va solo stanata!
5.Sputazza rappresenta l'integrità e l'ignoranza intrinseca in un quadro dipinto col sangue. Perché è lui a chiudere le fila del racconto e non il più carismatico Nico?  Eddy, sarà la tua attitudine da vero "cinephile" ma ti giuro che mi hai sciorinato – pari pari - un paio di domande che anche il regista del lungometraggio che stiamo traendo da Uomini e cani mi ha fatto al nostro primo incontro (non ne rivelo il nome solo perché siamo ancora in una fase delicata della lavorazione, ma dopo l'estate giuro di svestire questi panni da misterioso agente della Spectra che da mesi mi porto appresso quando si affronta l'argomento). Allora, veniamo alla risposta: la verità è che mi sono accorto durante la stesura del romanzo quanto il personaggio di Sputazza fosse importante; infatti senza di lui probabilmente non ci sarebbe quella venatura «sociale» ad animare la storia per farne qualcosa di "altro" rispetto ad un semplice esercizio di «genere» (con tutto il rispetto che il sottoscritto porta nei confronti del «genere», chiaro!). Sputazza finisce per essere lo specchio fin troppo realistico di buona parte di ciò che fa Grande e al tempo stesso Minuscolo lo spirito meridionale più profondo: l'orgoglio, la forza di andare avanti ad ogni costo ma al contempo l'autolesionismo senza speranza e l'incapacità di vedere oltre il proprio limitato orizzonte. Una figura chiave che mi è scoppiata tra le mani e alla quale ho voluto regalare la chiusura poiché rappresentava perfettamente la capacità imperitura - quanto irrimediabile - del Sud di darsi la zappa sui piedi. Nico aveva già dato il suo contributo alla vicenda, scomparendo nel (suo) nulla assieme al fido cane scalcagnato, proprio come un pistolero prima dei titoli di coda…
Grazie del tempo che mi hai dedicato e per aver fatto conoscere il tuo mondo. Non ti farò arricchire, purtroppo... ma "La legge di Fonzi" e "Ferro e fuoco" sono già posizionati nella mia lunghissima (e di lentissimo smaltimento) coda di lettura. Ah! Dimenticavo. Mi aspetto un menzione nei titoli di coda del film... !!!

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