In chiusura della prima parte di questo articolo ho voluto inserire una piccola apologia del lupo. Mi sembrava doveroso, e non solo come riflessione sul detto“in bocca al lupo”. Bambini, amate e rispettate l lupi, come tutti gli esseri viventi: non sono quelle creature infide e vigliacche che ci dipingono favole come “Cappuccetto rosso” e “I tre porcellini”. I lupi nella vita reale sono ben altri (e spesso si travestono da agnelli).La cattiva fama del lupo non è solo un pregiudizio, purtroppo, ma è anche il risultato di una vera e propria opera di demonizzazione operata dalla religione per mezzo della letteratura. Come sappiamo, un po’ in tutte le culture ci furono delle figure di guerrieri ispirate all’animale (o animali) prevalente nella propria mitologia. Nel saggio di Christian Sighinolfi “I guerrieri-lupo nell’Europa arcaica” (Ediz. Il Cerchio), l’autore ci propone un interessante excursus attraverso queste figure, dalle quali probabilmente con il tempo nacque il mito del lupo mannaro come superuomo.
In Scandinavia gli úlfheðar (guerrieri-lupo, al singolare úlfheðinn), così come i loro omologhi berserkir (guerrieri-orso, al singolare berserkr), furono figure reali e non leggendarie, aldilà delle esagerazioni forniteci dai racconti e dalle saghe che ne raccontano le gesta. La parola úlfheðinn è formata da úlfr, “lupo”, e heðinn “casacca, veste senza maniche” perché questi guerrieri consacrati a Odino, organizzati in gerarchie di tipo militare, combattevano indossando pelli di lupo in modo da assimilare le caratteristiche e la forza del proprio animale totemico, che “possedevano” proprio tramite la pelle. Pur mantenendo il loro aspetto umano potevano, nella furia della battaglia, mostrare una ferocia e uno sprezzo del pericolo senza pari, e non c’è dubbio che il loro truce aspetto, così come l’abitudine di lanciare urla selvagge, mordere lo scudo e scuotere le armi, riuscisse letteralmente a terrorizzare i nemici. È possibile che una tale ferocia fosse in parte indotta dall’ingestione di sostanze psicotrope come la muscarina, contenuta nel fungo Amanita Muscaria, durante cerimonie rituali. Nel libro XVIII dell’opera “Historia de gentibus septentrionalibus”, di Olaus Magnus, si parla di uomini-lupo che potevano dimostrarsi più feroci dei lupi stessi, ed è probabile che ci si riferisse in realtà a lupi mannari, perché nelle saghe nordiche non pare esserci una grande differenza tra il guerriero-lupo e il lupo mannaro. Spesso questi racconti ce li descrivono come dediti ai saccheggi, agli stupri e alle carneficine immotivate, e per questo odiati e temuti dalla popolazione. In epoca cristiana (ovvero dal X-XI secolo in avanti) si diceva che gli individui affetti dalla cosiddetta “furia dei berserkir” fossero in realtà vittime di possessione diabolica.
Un úlfheðinn inciso su un piatto di bronzo - Öland, Svezia
Analoghe figure di guerrieri si trovano presso le popolazioni più disparate, dal nord Europa fino al Mediterraneo. In Irlanda i Fianna sono i protagonisti del Ciclo Ossianico, Ciclo dei Feniani o Fianna: l’eroe Finn, poeta e guerriero, è legato al cervo, uno degli animali sacri dei Celti. Nel Ciclo dell’Ulster il Cú Roi Mac Dairi, o “cane di Roi”, è uno stregone che, come i berserkir e gli úlfheðar scandiavi, mantiene aspetto umano pur essendo capace di comportamenti bestiali. Il guerriero più famoso della tradizione gallese era Bleiddwn (da blaidd, “lupo”). In Italia del Nord, i cinocefali erano consacrati al dio Godan (assimilabile ad Odino) e quindi votati alla guerra: è probabile che, oltre bere sangue umano, essi fossero dediti all’omofagia rituale. Questi guerrieri avevano diverse analogie con gli úlfheðar, e forse non è un caso che nella “Historia longobardorum” Paolo Diacono scriva che il suo popolo dovette abbandonare la natia Scandinavia per sovrappopolamento e si diresse quindi verso sud: se si riuscisse a provare che ciò ha basi storiche, e non è soltanto un racconto, si potrebbe provare l’origine scandinava dei Longobardi. Per quanto riguarda l’Impero Romano, è noto che sul monte Soratte, a nord di Roma, vivesse un gruppo di “briganti” detti Hirpi Sorani (il termine Hirpi deriverebbe da Hirpus, la parola sannita per lupo). I Luperci erano una confraternita simile ed erano divisi in tre gruppi distinti, “Quinctiales”, “Fabiani” e “Julii”: i Lupercalia, descritti nella prima parte del post, erano la loro principale cerimonia rituale. Anche nell’antica Grecia forse esistettero confraternite di uomini-lupo, e il mito del Licaone potrebbe essere nato per perpetrare il ricordo di rituali iniziatici di persone che usavano vestirsi con pelli di lupo.Ma per espandere ulteriormente i confini geografici di questa ricerca, Sighinolfi ci porta anche in Asia Minore e da lì fino in India: il nome Daci deriverebbe dalla parola frigia per lupo, ovvero Dáos, e indicherebbe l’esistenza di antenati licantropi o di dei in forma di lupo; il nome Hyrcania, che indica la regione a sud del Mar Caspio, significherebbe “paese dei lupi”; mentre la mitologia indoiranica, dall’RgVeda a dei testi iranici, ci descrive bande di giovani guerrieri molto bellicosi in qualche caso definiti “lupi a due zampe” e keresa (“briganti, vagabondi”).Come vedete, non ho potuto resistere a una nuova incursione in quell’affascinante mondo in bilico tra storia e leggenda. Ma ora ritorniamo al tema iniziale, vale a dire l’uomo lupo, o lupo mannaro o licantropo. Io per semplicità, uso sempre questi termini come sinonimi, ma per correttezza bisogna dire che non è proprio così. Lupo mannaro deriva dal latino lupus homenarius e significa “lupo che si comporta da uomo”: nelle varie leggende può essere semplicemente un grosso lupo antropofago (dalla natura mostruosa, ma anche no), oppure un uomo che si trasforma in lupo contro la propria volontà. Al contrario, viene definito licantropo colui che si trasforma consapevolmente: la parola licantropo deriva dall’unione del greco λύκος (lýkos), "lupo" e ἄνθρωπος (ànthropos), "uomo". Il licantropo spesso è in grado di parlare e ragionare come un normale essere umano, camminare su due zampe e conservare una certa prensilità degli arti anteriori per meglio intrufolarsi nelle case o tramortire le proprie vittime.La cosa interessante è che nel primo caso a scatenare le trasformazioni sarebbe la luna piena, mentre nelle notti di luna crescente o calante il licantropo manterrebbe il proprio aspetto umano e forse non ricorderebbe le azioni commesse nei panni del suo alter ego, il che significa che con un po’ di fortuna potrebbe mimetizzarsi tra le persone normali.
Jesus Manuel Fajardo Aceves
Parlando di come la leggenda si sia evoluta nella storia ci siamo fermati al Settecento, ma oggi? Oggi che la scienza è ancora più progredita sono molte di più le spiegazioni plausibili che si tenta di dare al fenomeno della licantropia. Ci sono soggetti affetti da ipertricosi, una patologia che causa la crescita incontrollata dei peli corporei in zone che ne sono generalmente sprovviste. Nei casi più gravi il volto del malato è talmente pervaso di peli da somigliare in maniera inquietante a quello di un lupo, come nel caso degli Aceves, la famiglia messicana che da cinque generazioni è affetta da ipertricosi generalizzata congenita. È definita “la famiglia più pelosa del mondo”: le donne hanno un vero e proprio manto di peli, mentre gli uomini hanno peli durissimi che gli ricoprono il 98% del corpo, eccetto mani e piedi. In questo caso è vero però che la malattia riguarda solo il corpo, che dire invece nel caso si parli di licantropia in relazione a comportamenti animaleschi o insolitamente aggressivi? In questi casi, il soggetto potrebbe essere affetto da rabbia, malattia che provoca allucinazioni ed esplosioni di violenza. Oppure, potrebbe aver ingerito delle sostanze psicotrope: ce ne sono di naturali e sintetizzabili i cui effetti allucinogeni potrebbero far credere a una persona di essersi trasformata in un licantropo e alcune di esse sono contenute in certe varietà di funghi. Ad esempio, una particolare sostanza psicotropa è contenuta in un fungo allucinogeno presente nella coltura di segale, la segale cornuta, così detta perché il fungo che attacca la pianta provoca il formarsi di escrescenze sulle spighe che somigliano a dei piccoli corni. Questi cornetti contengono alcaloidi velenosi del gruppo delle ergotine (tra cui l'acido lisergico, la base dell’LSD), che interferiscono con il sistema nervoso centrale causando la cosiddetta "febbre del pellegrino", o ergotismo, i cui sintomi sono delirio e forti dolori alle gambe. Molti studiosi sostengono che la segale cornuta, alimento “povero” col quale anticamente veniva fatto il pane, abbia avuto un ruolo di rilievo nei famigerati casi di stregoneria che culminarono con i processi di Salem tenuti negli Stati Uniti alla fine del ‘600. Ecco spiegato perché chi si ammalava di mannarismo apparteneva quasi sempre ai ceti medio-bassi… Tra l’altro, per dovere di cronaca, la segale cornuta sarebbe legata anche al "Fuoco di Sant'Antonio", che era diffuso soprattutto nel nord Europa, dove il consumo di questo cereale era massiccio. I malati che si recavano in pellegrinaggio presso i santuari di S. Antonio in Italia e poi guarivano, o guadagnavano un po’ di sollievo dai sintomi, gridavano al miracolo, mentre in realtà questo sarebbe stato esclusivamente merito del cambiamento di alimentazione (discendendo la penisola italica passavano dal pane di segale a quello di grano tipico di quelle zone, e questo guariva o attenuava l'intossicazione). Se si considera anche la storia di S. Francesco e il lupo, ecco come il Cattolicesimo si è approfittato della figura di questo animale per fare proselitismo…Una scena dal film "Wolfman" di Joe Johnston
In alcune aree geografiche la figura del licantropo è poi confluita in quella del vampiro ed entrambe hanno ispirato l’arte, soprattutto letteratura e cinema, tanto che dar conto di tutte le opere che vi fanno riferimento è praticamente impossibile, ma anche tentare il censimento di una parte di esse sarebbe impresa titanica. Certamente, se la letteratura di genere (e il cinema dei primordi) si focalizzavano maggiormente sugli aspetti psicologici del mannarismo, al momento l’aspetto visivo è quello predominante: nei film più recenti che parlano di lupi mannari (come Wolfman di Joe Johnston, del 2010) gli effetti speciali sono in grado di mostrarci trasformazioni davvero strabilianti.Tra l’altro proprio la cinematografia e la narrativa hanno avuto un ruolo determinante nel far sopravvivere questo mito fino ai giorni nostri, fissando nel contempo alcuni dei canoni che inizialmente erano assenti, ma che oggi per noi sono imprescindibili. Il primo elemento fissato dal cinema è che l’unica arma efficace contro un lupo mannaro sia una lama (o più spesso una pallottola) d’argento - e non a caso, considerato che a questo metallo si associano proprietà disinfettanti fin dall’antichità. A volte l'arma d'argento deve anche essere benedetta, o addirittura creata fondendo un crocifisso d'argento. Un’altra eredità della narrativa e del cinema, di probabile derivazione vampiresca e dal retaggio rinascimentale, è che ove non uccida il lupo mannaro sia in grado di infettare con un solo graffio o morso un altro individuo, che diventerà a sua volta un virulento lupo mannaro. Infatti, in origine il lupo mannaro era semplicemente un uomo che a causa di una maledizione, nelle notti di plenilunio, ovvero di luna piena, si trasformava in un mostro feroce dall’aspetto di lupo. È quello che accade ad esempio nel film del 1961 “L’implacabile condanna” (The curse of the werewolf) nel quale il giovane Léon, frutto di uno stupro, viene alla luce nella notte di Natale: a causa della credenza popolare secondo la quale ciò è di cattivo auspicio, la maledizione si avvererà ed il protagonista, dopo essere stato portato a caccia e aver visto il sangue per la prima volta, si trasformerà in lupo mannaro. L’amore e la preghiera lo salveranno una prima volta, ma la maledizione si ripresenterà beffarda e, la seconda volta, non ci sarà nulla da fare.Nascere la notte di Natale a cavallo della mezzanotte o il giorno dell'Epifania veniva considerato un gesto blasfemo, anche se involontario, da cui la tradizione che ciò sia causa dell’origine del lupo mannaro sopravvive ancor oggi, anche in alcune regioni italiane. Questi soggetti si definiscono “lupi mannari naturali”, perché nati tali. Ma anche l’anatema di una strega, o al contrario di un santo o una persona venerabile, per sospetta eresia, empietà, antropofagia o altri delitti contro natura può causare la licantropia, che in questo caso è “indotta”. Oppure ancora, si diventa mutaforma dormendo all’aperto in una notte di luna piena o cogliendo fiori neri (questa è una tradizione che proviene dall'est europeo, dove i fiori neri sono considerati di natura soprannaturale e diabolica).Naturalmente la trasformazione in lupo può anche essere volontaria, se si sa come fare. Il rito magico prevede che il soggetto indossi una pelle di lupo, in genere concessa da Satana in cambio della propria anima, al posto della propria (per i più temerari), oppure come ornamento, per esempio per foderarvi la cintura. In alternativa si può bere la cosiddetta "acqua licantropica", quella che si può raccogliere nelle orme lasciate da un uomo-lupo, oppure si può bere o spalmare sul proprio corpo appositi unguenti o filtri magici a base di grasso di lupo, piante tossiche come la belladonna o la cicuta, o dagli effetti psicotropi come semi di papavero e oppio.
Anche la rappresentazione del lupo mannaro come un ibrido tra uomo e lupo si deve prevalentemente alla filmografia, quella horror, perché i miti generalmente ne parlano come di un normale lupo, o al limite un lupo di dimensioni abnormi, feroce, dotato di forza bruta e insaziabile appetito per la carne umana.Il primo autore ad associare la trasformazione alle fasi lunari fu presumibilmente Gervasio di Tilbury, uno scrittore medievale. Mentre la letteratura inglese ha descritto il lupo mannaro moderno come un individuo che ha operato una scissione della personalità incanalandola in un Doppelgänger o “doppio”: ecco Robert Louis Stevenson con “Lo strano caso del Dr. Jekyll e Mr. Hyde”.
La tradizione, non contaminata dalla settima arte, insegna che il metodo più efficace per uccidere un licantropo è dargli fuoco, preferibilmente quando è ancora in forma umana. In alternativa, per coloro che usano una pelle per trasformarsi, vi è la distruzione della pelle stessa.La tradizione insegna anche come guarire i lupi mannari (a meno che non provengano da famiglie di lupi mannari, perché in tal caso un rimedio non esiste): dodici fanciulle vergini devono danzare attorno al soggetto, sdraiato nudo al centro di una stanza, e trafiggerlo con bacchette di biancospino. Una volta che sarà completamente coperto di sangue e ferite, bisognerà buttargli addosso aceto. Se sopravviverà al dolore, il soggetto sarà liberato dalla maledizione. Se invece si vuole soltanto contenere l’uomo lupo, facendogli riassumere forma umana, si può usare l'aconito (che in inglese è detto “wolfsbane”, il veleno dei lupi) o lo zolfo, entrambi a lui sgraditi, oppure gli si spillano tre gocce di sangue dalla fronte o lo si fa ferire da un suo familiare con un forcone, oppure ancora lo si colpisce con una chiave priva di buchi. Per immobilizzarlo, invece, si traccia un pentacolo attorno a lui, o lo si fa scappare colpendolo con rami di biancospino, a cui pare sia allergico.
Locandina di "Un lupo mannaro
americano a Londra" di J. Landis