UPSIDE DOWN (Francia/Canada 2012)
I giovani e carini Adam e Eden vivono in due mondi molto vicini, quasi attaccati, ma irrimediabilmente separati da forze di gravità opposte. Il mondo di su (dove abita lei) è ricco, moderno e felice, quello di giù (dove vive lui) sembra la periferia di Caracas. Un giorno, per caso, si incontrano e si innamorano. Ma il crudele sistema di “apartheid” che vige tra i due mondi cercherà in ogni modo di dividerli.
Che fosse una cosa romantica lo si poteva intuire sin dalla locandina. Ma non potevo sospettare che si trattasse di uno dei film più sdolcinati degli ultimi anni, una vicenda talmente zuccherosa che tutto ciò che non ha direttamente a che fare con la storia d’amore tra i due protagonisti viene come messo in secondo piano, trascurato, buttato lì. Con il risultato che Upside Down rischia non solo di provocare diabete acuto in tutti gli spettatori, ma anche di essere percepito come un film approssimativo, poco curato, frettoloso, quando invece l’ambizione del regista Juan Diego Solanas era probabilmente opposta: c’ha provato, a fare un film sontuoso, sfarzoso, quasi epico, con scenografie imponenti, uno spirito di denuncia sociale e una trama complessa. L’idea stessa di creare un mondo parallelo, dotato persino di un sistema politico e di leggi fisiche diversi dai nostri, è sintomo di un non indifferente impegno creativo.
Ma il risultato, purtroppo, è pressoché disastroso: la vicenda è piena di incongruenze e omissioni, i passaggi logici sono spesso illogici, la trama procede a sbalzi e… quelle musiche orrendamente pompose e soffocanti (di Benoît Charest) che nemmeno il peggiore dei film della Disney. Per non parlare della visione smaccatamente stereotipata di questo mondo parallelo classista e un po’ orwelliano, una distopia che sarebbe sembrata antiquata e stantia già ai tempi del glorioso Metropolis. Peccato, perché l’idea di base è carina e alcune trovate non sono poi così male (specialmente nella parte centrale del film, quella più “avventurosa” e meno sdolcinata). E poi – scusate se è poco – c’è Kirsten Dunst, amabile come sempre. L’altro protagonista, invece, che risponde al nome di Jim Sturgess, con quella faccia da Paul McCartney dei poveri, non riesce a elevarsi dalla sua consueta inutilità (dimostrata anche nel recente La migliore offerta di Tornatore).
In ogni caso se, come me (stupido che sono!), avete pensato a Upside Down come a una sorta di versione romantica di Another Earth, be’, meglio che ve lo togliate dalla testa.
Alberto Gallo