Uranio impoverito, un killer invisibile.

Creato il 17 novembre 2010 da David Incamicia @FuoriOndaBlog

Il combattente sa che una granata, una mina, un proiettile, il filo di una lama, la chirurgica precisione di un cecchino nemico appostato chissà dove possono “annichilirlo”, cancellarlo dalla faccia della terra, spedirlo al creatore. Tutto calcolato, tutto previsto. Ma i militari italiani che hanno “firmato” per andare in Bosnia, Kossovo e Libano in missione di pace non potevano sapere che a qualcuno di loro l’uranio impoverito, un materiale radioattivo utilizzato dagli americani al posto del tungsteno per fabbricare le armi, avrebbe regalato l'atroce beffa di “una sofferenza in differita”. Tanto in differita che nemmeno dopo 10 anni e 4 commissioni di indagine si è riusciti ad appurare se c’è un nesso tra l’isotopo radioattivo e l’insorgere di tumori fra i soldati impegnati nei teatri di guerra.
“Più che vittime delle radiazioni i nostri soldati sono vittime dell’insipienza dei loro generali: le nostre truppe - spiega il deputato radicale Maurizio Turco - non sapevano che sarebbero state impiegate in aree contaminate. Le alte sfere, un giorno forse capiremo perché, anziché dare ai loro reparti le stesse informazioni che avevano avuto i colleghi americani, le hanno tenute nascoste". I nostri comandanti sapevano, o avrebbero dovuto conoscere, i manuali forniti dagli alleati: quando la forza militare che agisce è la Nato vige l’obbligo dell’informazione reciproca fra alleati. “Se c’è qualche generale italiano pronto a sostenere che i militari stelle e strisce hanno negato la necessaria informazione, noi siamo disponibili a procedere nelle sedi competenti”, dice Turco sapendo che, purtroppo, nessuno di quei generali farà mai un passo in avanti.
L’opinione pubblica è venuta a conoscenza della “Sindrome del Golfo” solo nel 1999, con un documentario del regista Alberto D'Onofrio trasmesso da Striscia la Notizia (la Rai, che lo commissionò, non lo volle mettere in onda). E’ passato più di un decennio dalla prima denuncia giornalistica, ma le commissioni di inchiesta che si sono succedute non sono ancora riuscite a dare un senso compiuto al loro lavoro. Qualche volta, anzi, c’è voluta l’attenzione di alcuni parlamentari per evitare che non fossero votate norme che “avrebbero introdotto un salvacondotto per gli ufficiali che avevano omesso, nel corso di operazioni di peacekeeping, di salvaguardare la salute dei loro soldati”, spiega Emanuele Fiano, deputato del PD.
Fra chi ha tentato di fare luce Lidia Menapace. L’ex senatrice di Rifondazione Comunista - presidente della commissione di inchiesta dal 6 febbraio 2007 al 28 aprile 2008 - una volta insediata ha accantonato una parte del lavoro delle commissioni presiedute dal professor Franco Mandelli, che aveva avuto il compito di accertare gli aspetti medico/scientifici dei casi emersi di patologie tumorali nel personale militare impiegato in Bosnia e Kosovo. “Non sono mai considerata - spiega l'esponente comunista - la presidente di una commissione di scienziati. Ma a loro ho chiesto: potete escludere che l’Uranio Impoverito possa dare tumori? Hanno risposto no”. Un ragionamento che, se portato alle estreme conseguenze, avrebbe garantito il "riconoscimento della malattia professionale".
La senatrice non ha potuto, però, portare a termine la sua missione perché con la caduta del governo Prodi del 2008 è decaduto il suo mandato. Cauto, ma molto informato sull’argomento anche Paolo Amato, il senatore del Pdl che con una sua proposta di legge ha riattivato la commissione di inchiesta dopo il forzato stop del 2008. “Le ricerche scientifiche hanno dimostrato che l’Uranio Impoverito non può essere considerato l’unico responsabile delle patologie che affliggono i soldati. I medici dicono, tuttavia, che l’insorgere delle malattie è, molto probabilmente, dovuto alla somma di più fattori: credono, per esempio, che le vaccinazioni e lo stress che i nostri uomini cumulano nei teatri di guerra possono aver fatto da detonatore, o comunque, possono essere le concause delle patologie denunciate da qualche soldato quando è tornato in patria”.
Fa il punto Comellini, Segretario del Partito dei militari: “La somma di più fattori nocivi e la mancanza di adeguati mezzi di protezione, e non ultimi i vaccini, sono le cause scatenanti nell'insorgenza delle malattie tumorali e nelle intossicazioni rilevate nel corso degli ultimi dieci anni”. Dopo pagine e pagine di relazioni e bolle di sapone i soldati si stanno ancora chiedendo se stanno maneggiando ancora materiali radioattivi. “Top secret", spiega l’esperto balistico Paride Minervini. Di sicuro c’è però l’oggetto di un modulo di messaggio inviato da una caserma di Cosenza nel febbraio 2009 a Brigamiles Garibaldi: il documento conferma che la strumentazione di bordo di “mezzi 113 et loro derivati” contengono sostanze radioattive. E’ stata effettuata la bonifica? “Segreto di Stato”.   Drammatica la conclusione di Antonietta Gatti - fisico e Direttore scientifico dell’Università di Studi di Modena e Reggio Emilia - nel corso della presentazione di “L’Italia chiamò”, un documentario realizzato da Matteo Scanni, Leonardo Brogioni e Angelo Miotto: “Analizzando le cellule di alcuni militari - ha spiegato la scienziata - mi sono imbattuta nel micro cosmo della guerra, nell’ambiente bellico che si è annidato nel loro corpo, dove non solo c’è l’Uranio Impoverito, ma anche tanto altro".   Il documentario "L'Italia chiamò"    
Fonte: www.tiscali.it e www.italiachiamo.net

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