Se siete esploratori di vecchia data di questi territori nebbiosi e incerti, non abbiamo bisogno di presentarvi Urna, progetto del quale abbiamo parlato in numerose occasioni, tuttavia preparatevi a scendere ancora più a fondo e a inabissarvi ulteriormente nell’incoscienza perpetuata da questa musica.
La composizione di Martucci si spiega su nuove distese, vaste e vuote, dove i sensi si ovattano, in una terra umida su cui scende una melodia lenta, liturgica e illusoriamente salvifica. Tamburi suonano da lontano e trascinano in antri e gole profonde nei quali è facile perdersi e cedere al richiamo vorticoso di voci e campanelli improvvisi che conducono in un labirinto freddo, lontano dalla luce. Alla fine di un percorso reale e tangibile, Devours Me lascia il viaggiatore solo di fronte a se stesso, in un luogo sospeso dove la frenesia del sapere e della conoscenza di sé scivolano nell’accettazione finale della propria impotenza. Sempre lungo questo percorso, un ritmo tragicamente umano, frenetico e claustrofobico cede a una musica dolce, flauti e canti profondi, bassi che si dissolvono nell’aria.
Un ascolto che dona scenari paralizzanti, viaggiando veloci tra agorafobia e un’oppressione interna che divora lentamente. Fate spazio alle vostre paure.
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