Negli ultimi giorni stiamo assistendo, attoniti, ad un ritorno in grande stile: quello del terrorismo. Ma attenzione, qui non si vuole parlare dei deliri tardo-brigatisti, o di dubbia matrice anarchica, piuttosto che del vile attentato presumibilmente di stampo mafioso avvenuto in quel di Brindisi dove una giovane studentessa ha perso la vita. Episodi inquietanti che funestano una stagione segnata dalla drammatica avanzata, incessante, di una crisi che attanaglia l'intero mondo occidentale e colpisce in maniera particolarmente virulenta il Vecchio Continente. Soffocato dalle politiche neoliberiste portate avanti in maniera imperturbabile nonostante l'altissimo costo sociale che comportano, dai pasdaran del monetarismo e dell'austerità teutonici. I quali grazie a siffatte politiche, unite ad una incredibile compressione interna dei salari, riescono ad avere un forte surplus in uscita sulla bilancia commerciale, riuscendo persino ad operare un'importante ristrutturazione del proprio debito.
Ma, tornando alla questione terrorismo, è bene chiarire che s'intende discutere in questo articolo di un terrorismo subdolo quanto pericoloso: il terrorismo politico- mediatico. Chiunque osi avanzare un dubbio qualsiasi circa le politiche liberiste - monetariste a cui in precedenza si è fatto cenno, già tristemente note per i loro guasti e gli enormi costi sociali che hanno comportato in quei paesi in via di sviluppo costretti a seguire i “consigli” impartiti dai tecnici del Fondo Monetario Internazionale, viene tacciato d'irresponsabilità. L'austerità, ci viene ribadito ossessivamente, rappresenta l'unica strada per il superamento della crisi sistemica che ha portato all'esplosione del debito pubblico. Un debito che è andato crescendo in maniera esponenziale negli anni a causa della scelleratezza delle classi dirigenti. Paradigmatico in questo senso è il caso dell'Italia dove, ad esempio, è stato accettato un livello intollerabile di evasione fiscale funzionale al sistema politico ed economico; sono state elargite in maniera clientelare al sistema delle imprese ingenti somme attraverso misure come gli incentivi, i contributi a fondo perduto e le rottamazioni, giusto per fare qualche esempio; sono state finanziate opere pubbliche spesso inutili che attraverso il sistema delle tangenti e delle aziende contigue hanno finito per ingrassare il circuito economico criminale.
Uno scenario, dunque, ben diverso da quello comunemente dipinto dove alla parola debito pubblico immediatamente, come un riflesso incondizionato, viene associata una mai provata insostenibilità del welfare state. Quell'esecrando modello di stato sociale che si vuole definitivamente cancellare, smantellare sino al suo ultimo pezzo, visto che crollato il blocco socialista e venuta meno la concorrenza di sistema, il capitalismo nella sua versione liberista può dar libero sfogo ai suoi istinti peggiori.
Il ritorno in grande stile del terrorismo ha però una sua data ben precisa: il 6 maggio del 2012. Allorquando non tanto l'affermazione del mite socialista Francois Hollande in Francia, quanto l'inaspettato successo della cosiddetta sinistra radicale, raggruppata sotto le insegne di Syriza in Grecia, ha stravolto il gattopardesco scenario già disegnato per lo Stato che fu culla dell'umanità: un cambio di uomini al potere che avrebbero dovuto chinare il capo e massacrare il proprio popolo, così come hanno fatto gli ultimi governi sostenuti dagli ormai ex principali partiti Pasok (socialista) e Nea Democratia (conservatore) usciti ridimensionati dal verdetto delle urne. Invece l'affermazione andata oltre ogni più rosea previsione della sinistra radicale, che ha rubato seggi a socialisti e conservatori, non ha permesso la formazione di un governo filo-europeista. Sebbene il giovane leader di Syriza, Alexis Tsipras, si sia affrettato, in vista delle prossime elezioni di giugno dove il suo partito vanta i favori del pronostico, a dichiarare di non accettare il Memorandum ed i diktat della “Trojka” – vedi politiche lacrime e sangue per il popolo ellenico – ma in ogni caso di non volere l'uscita della Grecia dalla zona Euro. Come richiede, invece, in maniera intransigente il Kke, Partito Comunista di Grecia d'impostazione marxista-leninista.
Da questo momento in poi, i media principali, si sono dilettati nel dipingere uno scenario a tinte fosche per tutti i popoli europei nel caso tale evento dovesse realizzarsi. Paventando addirittura che ciò costerebbe ad ogni cittadino europeo una cifra compresa tra novemila e undicimila cinquecento euro per il primo anno, più altre rate da tremila euro per un numero imprecisato di anni. Un'enormità, estrapolata da un rapporto della banca Ubs, riportato in maniera errata. Sarebbe bastato moltiplicare la cifra indicata per la popolazione europea, ed una volta visto il risultato ottenuto - addirittura superiore al Pil della Germania - prenderne atto. Un modo di fare informazione al confine tra il dilettantismo e la disonestà intellettuale.
Come spiega in maniera impeccabile il professor Alberto Bagnai attraverso il suo blog (goofynomics.blogspot.it) il rapporto recita testualmente: «a seceding country would have to expect a cost of EUR9,500 to EUR11,500 per person when seceding from the Euro area», che vale a dire: in caso di fuoriuscita dalla moneta comune il costo sarebbe sostenuto dal paese che esce, nel primo anno. Analogo lo scenario nel caso in cui si trovassero nella condizione di dover uscire dalla moneta comune paesi come Italia e Spagna.
Secondo il già citato studio, il paese che esce perde tra il 40% ed il 50% del Prodotto interno lordo, quindi, ipotizzando un ritorno dell'Italia al vecchio conio, avendo un PIL di 1500 miliardi di euro all'incirca, il costo per ogni cittadino (circa 60 milioni) sarebbe pari ad una cifra tra i diecimila ed i dodicimila euro. Inoltre, il rapporto più avanti si affretta a specificare che i modelli economici non sono uno strumento utile per effettuare analisi così radicali e che lo scenario più appropriato non sarebbe quello della rottura con lo SME credibile che portò alla svalutazione del 92', ma piuttosto uno scenario di tipo argentino che vide il peso svalutarsi del 60% rispetto al dollaro.
Anche in questo caso, risulta essere illuminante la spiegazione di Bagnai: «...la logica sottostante alla svalutazione argentina di fine 2001, o a quella italiana di fine 1992, è esattamente identica: cambiano solo i numeri. In entrambi i casi il cambio nominale si svalutò di quanto era necessario per recuperare il differenziale di inflazione cumulato rispetto al paese "core", secondo il modello economico detto della parità relativa del potere d'acquisto, il quale stabilisce appunto che il cambio nominale tende a "recuperare" quello che il differenziale di inflazione ha fatto perdere al paese "satellite" rispetto al paese “nucleo”».
L'intento degli €uro terroristi mediatici è chiaro: inculcare nell'opinione pubblica l'idea che l'unica soluzione possibile per risalire la china e superare questa gravissima crisi, è l'intrapresa strada del rigore. Mentre abbandonarla significherebbe sprofondare in un baratro talmente profondo da non poterne calcolare i drammatici costi sociali. Già adesso pagati per intero dalle classi sociali più deboli.
Parole chiave: Economia + Euro + francia + Germania + Grecia + italia + politica + spagna + Unione europea