Scritto da: Paola
Ursula Hegi, Come pietre nel fiume (Feltrinelli, 2004, € 10,00, pp. 549).
Un libro bellissimo e potente, che ho ripescato in fondo alla mia libreria e ho riletto con avidità. Trudi Montag è nana e vive col padre, che gestisce una biblioteca a pagamento, in un villaggio sul Reno. Nata dopo la prima guerra mondiale, fin da piccolissima sperimenta il rifiuto degli altri, compreso sua madre, a causa della propria diversità. Solo il padre sembra riuscire ad amarla infinitamente, mentre da parte di tutti in paese viene accomunata agli storpi e agli scherzi della natura, e per questo evitata da tutti o trattata con pietoso distacco. Trudi ha un dono molto particolare : riesce a vedere dentro le persone, ne percepisce le ansie più nascoste e i desideri dissimulati, e spesso ha delle premonizioni che le fanno indovinare tragedie che si verificheranno; ma Trudi ha anche un altro dono: quello di raccogliere storie. Ha un talento innato per farsi raccontare da tutti le proprie vite, che lei ascolta con avidità per riproporle poi ad altri –camuffate- per attrarne l’attenzione, uno sbiadito surrogato dell’affetto che in realtà desidera disperatamente
. Ad un certo punto, un uomo con i baffi a francobollo si fa strada con la sue idee sulla razza ideale per popolare la Grande Germania, e poco dopo la follia della seconda guerra mondiale travolge tutto. Spopolato degli uomini idonei all’arruolamento, il paese trova una sua unità in quelle persone (tra cui anche Trudi e suo padre) che rischiando in prima persona aiutano i fuggiaschi, ebrei o ariani che hanno osato esprimere apertamente il proprio dissenso per le idee nazionalsocialiste; e tutti hanno una storia per Trudi. Piano piano il villaggio si svela per essere il vero protagonista del libro, con la vigliaccheria, la vanità e la prevaricazione, ma anche con il dono di sé, la pietà e il conforto che albergano nello spirito dei suoi membri, e alla fine Trudi capirà di essere sempre stata parte della comunità, anche col suo corpo piccolo e sgraziato che imparerà a sentire come parte imprescindibile di sé e prezioso proprio nella diversità.