Ora che Donald Trump ha vinto anche il caucus del Nevada, chi potrà arrestare la sua corsa? Se lo chiedeva Politico alla vigilia del voto, visto che i leader del Partito repubblicano temono di non poterlo più fermare. Anche Newt Gingrich, ex speaker della Camera e candidato alla Casa Bianca nelle primarie del 2012, sembra essersene convinto. Jeb Bush potrebbe indirizzare la competizione repubblicana, seppure ormai indirettamente. La prova del nove sarà il Super Tuesday quando il primo marzo si voterà in diversi Stati, 15 per l’esattezza, alcuni piuttosto influenti visto il numero di delegati che mettono in palio. Solo allora avremo un’idea definitiva delle reali capacità di Trump di arrivare alla convention con la nomina in tasca. La verità è che nel Gop la soluzione continua a non convincere. Trump è un candidato anti-establishment, populista, di posizioni estreme riguardo alcuni specifici temi (la polemica a distanza dei giorni scorsi con il Papa sulla presunta cristianità di chi vorrebbe costruire muri che dividono le persone, in riferimento ai flussi migratori lungo il confine tra Stati Uniti e Messico, è l’esempio più chiaro possibile), ma dopo il passo indietro del campione della prima ora – Bush ha annunciato il ritiro dalla campagna elettorale a seguito della débâcle in South Carolina il 20 febbraio – servirebbe cambiare strategia. Ed è qui che l’ex governatore della Florida può ancora recitare un ruolo importante. Perché quella repubblicana è ora una corsa a tre – Trump, Cruz e quel Marco Rubio che è diventato inevitabilmente il preferito del partito. I voti di Bush andranno perciò a Rubio? Difficile a dirsi, al momento. Ma è quello che sperano non pochi tre le file repubblicane. Poi bisognerà capire come si muoverà John Kasich, ultimo outsider non ancora ritiratosi dalla corsa.
E in questo senso come si colloca effettivamente Donald Trump? È un candidato credibile, su questo non vi è più dubbio. Dove ha vinto, ha vinto bene (secondo il Washington Post l’ex sindaco di New York, Rudy Giuliani, gli starebbe dispensando consigli su come affrontare la campagna). Dunque sarà in corsa fino all’ultimo. Il dato curioso è il recente successo in South Carolina che – se non altro dal lato repubblicano – potrebbe spianare la strada all’uomo d’affari: dal 1980 è accaduto cinque volte che i vincitori delle primarie del South Carolina abbiano in seguito ottenuto la nomination. Uno Stato che porta fortuna, insomma. Ma soprattutto è uno Stato che assegna un elevato numero di delegati (50) ed è il primo del Sud ad aver votato, motivo per cui Trump potrebbe anche sperare in una sorta di “effetto domino” in vista del Super Tuesday. Si recheranno alle urne, infatti, tra gli altri, i cittadini di Alabama, Georgia, Texas e Tennessee.
Altro aspetto curioso è l’atteggiamento degli altri candidati. Di solito, nei dibattiti televisivi, Trump risulta essere il bersaglio preferito, viste le sue posizioni radicali su diversi temi. Ma anche Ted Cruz non scherza, e i due si rivolgono sostanzialmente al medesimo bacino elettorale. Gli spot negativi – di quelli volti, cioè, a colpire l’avversario – così negativi non sembrano (anzi, c’è chi ha preferito rivolgersi a Hillary Clinton anziché ai rivali interni, tipo Rubio). Niente, finora, paragonabile alla battaglia più personale del 2012, quando Rick Santorum dipinse Mitt Romney come una specie di Rambo isterico. Non a caso il quesito di diversi commentatori politici è: in che modo gli altri pretendenti alla nomination (Cruz e Rubio) credono di interrompere l’avanzata di Donald Trump?
(anche su T-Mag)
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