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Usare le parole

Creato il 09 maggio 2015 da Massimo Citi
Usare le parole Ho iniziato a (ri)battere il mio secondo romanzo, quello del quale parlavo QUI. Un lavoro che minaccia di essere più o meno titanico - molte delle pagine hanno un verso, ovvero una seconda facciata... quando si dice la mia povertà (o la mia tirchieria) giovanile - ma d'altro canto si tratta di un lavoro a suo modo affascinante: non capita tutti i giorni di poter giudicare stile, modi, costruzione delle frasi, scelta del lessico, organizzazione del testo, cadenza degli avvenimenti di un se stesso di trent'anni più giovane. Senza contare la possibilità di rivedere e riassaporare (o ridere di) sogni e illusioni di me stesso giovane, fedelmente trascritte in un testo che praticamente nessuno ha letto.  Nota a latere: perché nessuno ha mai letto il romanzo?  Bella domanda. Essenzialmente perché poteva essere fornito soltanto in forma di quattro grossi fasci di fogli ciascuno trattenuto da una costa in plastica. Non solo, i fogli all'interno erano stai scritti con una macchina da scrivere (!) e almeno tre diversi PC e sono carichi di rimandi, correzioni, mezze pagine cancellate e mezze pagine - scritte a mano - aggiunte. Come si intuirà per ottenerne una lettura avrei dovuto disporre di uno schiavo o di una schiava appositamente sequestrato e trattenuto vi coacta per un paio di mesi. Il che non è permesso dalla legge. Ma il motivo reale più probabile è stato il crescente lavoro in libreria. Non è un caso, infatti, che dopo aver interrotto il romanzo sono passato a scrivere quasi solo racconti e che anche i testi più lunghi nati dopo sono stati comunque più brevi del famoso secondo romanzo [*]. Usare le parole Ma come procede il lavoro di copiature/correzione? Come scrivevo?  Beh, nemmeno male, è la prima impressione, anche se debbo ammettere che sono sorpreso dell'attenzione maniacale con la quale seguivo minuto dopo minuto i moti dell'animo del protagonista. Un'attenzione da Proust applicata a un romanzo di sf, cosa che potrà anche fare ridere, ne sono ben conscio, ma che nel testo sembra avere un suo scopo. Difficile capire quale fosse questo scopo, anche perché il mio modo di scrivere, anche complice l'ictus che mi ha colpito nel 2008, è cambiato parecchio, si è asciugato, come direbbe Erri De Luca, e punta direttamente al risultato. Resta il fatto che il protagonista del secondo romanzo (titolo provvisorio: L'ultima stella) è rappresentato con una tale nettezza che non sono non è abituale nella sf ma che temo risulti fuori squadra anche nel romanzo contemporaneo mainstream.  Noioso? Forse è possibile, non lo nego. Infatti ho cercato di ridurre i rilevamenti del suo stato d'animo e dei suoi movimenti - compatibilmente col fatto che l'inizio si svolge in una casa isolata - ma senza tagliare troppo. Debbo ammettere una sorta di rispetto verso il me stesso più giovane, verso la sua attenzione quasi maniacale nella scelta delle parole una a una e sto cercando di tagliare esclusivamente le ripetizioni che, ahimé, sono comunque relativamente poche.  Mentre correggo e copio, comunque, capisco perché per il momento non ho accettato le offerte di battitura anche a prezzi amichevoli. È una fatica ribattere tutto, lo so, ma è anche l'unico modo per non perdere i contatti con me stesso. In fondo si scrive anche per questo.      Usare le parole [*] Il primo romanzo giace in condizioni anche peggiori ed è - horribile dictu - un fantasy che (grazie al cielo) non ricordo troppo bene. Ognuno ha i suoi peccati di gioventù.    

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