NILS FRAHM – THE BELLS. L’anno scorso ho celebrato in lungo e largo Olafur Arnalds, compositore islandese di grande talento. E questo non manca di certo al tedesco Nils Frahm che tira fuori (con l’aiuto di Peter Broderick) una grande perla di modern classical (anche il lavoro con Anne Muller 7fingers l’ho apprezzato molto di più). Un vero viaggio interiore che rischia di trascinarvi negli abissi del vostro io. L’apertura è breve e decadente ed è affidata a In the sky and on the ground, ma è quanto basta per capire quello che ci aspetta. Si entra in piena alienazione con i would to think, pezzo davvero agghiacciante. Said and done trasmette un senso di irrequietezza iniziale per poi addolcirsi nel finale. Stessa dolcezza accompagnata da un suono più scarno ritroviamo in Dedication, Loyalty. Down Down è tra le mie preferite dell’album per la sua inquietudine e la capacità di scavare a fondo. Davvero impressionante e devastante. Over there it’s raining è il pezzo più melodico del disco e precede una delle composizioni più strazianti e malinconici del disco: sto parlando di Small me (sembra banale dirlo ma Nils suona il piano in modo eccezionale). Di tutt’altro piglio My Things che ha una velocita’ diversa creando un climax non indifferente. Spettrale è Peter is dead in the piano, composta a Quattro mani con Broderick. E arriviamo alla fine del viaggio con la distaccata e glaciale It was really really grey che ha un crescendo da paura; e l’ultima somewhere nearby che sembra voler quasi rassicurarci dopo un “mind-trip” non proprio sereno.
Voto: 8/10
COLD WAR KIDS – MINE IS YOURS. Aspettavo il loro ritorno considerato il buon lavoro che hanno fatto col precedente album e non deludono le attese con questo mine is yours, ottimo concentrato di blues - rock e alternativo. La prima traccia Mine is yours è una ballata quasi in stile dream-pop (fra quelle che mi ha colpito meno). Il meglio arriva già dal secondo pezzo Louder than ever, una bellissima canzone pop-rock, forse leggermente banalizzata nel ritornello (stesso discorso per Finally begin). Spruzzate di folk in Royal Blue, uno dei pezzi migliori dell’album, così come la solenne Out of Wilderness. Skip the charades è un pezzo carino ma strizza un po’ troppo l’occhio a Brandon Flowers. Si fa sentire anche un po’ di funk in Sensitive Kid, altro pezzo notevole; e arriviamo al miglior pezzo dell’album ovvero Bulldozer, emozionante, con voce calibrata e utilizzata in maniera impeccabile con i cambi di ritmo ottimamente sfruttati. Meno entusiasmante è Broken Open, che ripete un po’ gli schemi delle tracce inziali. Il finale è affidato a Cold Toes on the Floor, il pezzo più blues e profondo del disco e a Flying Upside down, un pezzo dal ritmo incalzante dalle tinte dream.
Voto: 7/10
Caroline - Verdugo Hills. Sara stato l’hype creato intorno a questa Caroline giustificato dal suo disco d’esordio e quindi le aspettative erano alte: questo verdugo hills personalmente mi ha deluso. A parte qualche acuto (la capacità evocativa di Balloon, la splendida Waltz e la tensione di Seesaw), il resto dell’album non riesce ne ad impressionare, ne a soddisfare completamente i piaceri dell’udito e della mente, nonostante l’avvolgente voce e le sonorit fredde minimali. Il misto pop/elettronica tendente al glitch si ripete in maniera sistematica facendo affievolire pian piano la magia.
Voto 6,2/10