Trentuno anni fa il Dc9 IH-870 precipitava nelle acque di Ustica. Da quel 27 giugno 1980 i perché intorno al volo Itavia e alla tragedia dei cieli si sono moltiplicati. Una verità che Fabrizio Colarieti, un esperto del caso, cerca da tempo. Un caso a cui dare risposte. Questa ricerca, per lui, è diventata quasi una ragione di vita.
Di seguito l’ultima parte dell’intervista (QUI la prima parte; QUI la seconda) registrata prima delle ultime notizie inerenti lo scottante “caso Ustica“.
Il cinema è riuscito a rappresentare la strage?
“Il muro di gomma”, come ho detto prima, credo sia un film attualissimo. Andrea Purgatori ci ha messo l’anima lì dentro e, solo lui poteva fare questo film. Fu un’operazione coraggiosissima. Ricordo che fu attaccato dall’Aereonautica solo sull’unica scena di pura fiction.
L’unica scena inventata, perché per il resto dentro quel film era tutto tremendamente vero. Il film, anche se è datato (è del ’91) racconta davvero quello che è successo, racconta anche di Andrea, di questo giornalista inviato del Corriere della Sera dall’immenso coraggio.
In quel momento era l’unico che si metteva contro questa vicenda, contro questo muro di gomma ovviamente. Credo che sia arrivato il momento per fare altro. Il muro di gomma lascia spazio per poter raccontare la storia di uno solo di questi familiari, come ho detto prima. Guardare cioè la storia da quel lato lì: “ero a Palermo ad aspettare che dall’aereo scendesse qualcuno. L’aereo, non è mai arrivato.”
Sono stati fatti dei docu-film molto importanti, l’ultimo, che è di fatto un’inchiesta, l’ha fatto Giampiero Marrazzo. E’ un lavoro che raccoglie le parole di Cossiga. Cossiga ha parlato con Marrazzo e ha detto quello che sapeva e questo è un filmato, un dvd che è rimasto, per fotuna. C’è anche chi dice che Cossiga “si l’ha detto ma poi l’ha smentito”. Cossiga l’ha detto ad un giudice e ad un giornalista quello che sapeva.
Oggi sarebbero possibili tali misteri? Quanto è cambiata la comunicazione nell’inchiesta criminale?
Io credo che quello che è accaduto con Ustica, potrebbe accadere in qualunque momento. Nel senso che quando l’obiettivo è troppo importante per la stabilità, per la politica, quando, cioè, ci sono degli interessi militari strategici importanti, non credo ci si faccia scrupoli.
Ho sentito dire una volta (e non dico da chi altrimenti verrei querelato immediatamente), che in fin dei conti, ottantuno vittime, per quello che poteva accadere, era un prezzo “giusto”. Beh, insomma… questa è una cosa grave.
Quello che è accaduto, doveva andare in quel modo. Credo nell’errore, ecco. Credo che fu proprio un errore: qualcuno quella sera, doveva finire giù con l’aereo ma, non era di certo il DC9.
Sul giornalismo d’inchiesta credo che si siano fatti tanti passi avanti ma anche tanti indietro perché si fa sempre meno inchiesta sui giornali o in tv. Si fa molta fatica anche perché il rincorrersi delle notizie, non dà spazio ad un approfondimento così immenso: si salta da un delitto all’altro, da una strage all’altra, e non si approfondisce.
In Italia, tuttavia, ci sono dei validissimi giornalisti che fanno inchiesta. Io sono l’ultimo ma, davanti a me, ce ne sono molti.
Credo che la forza sia anche questa: dobbiamo fare la guardia della democrazia. I giornalisti devono avere un ruolo che non è quello dei magistrati ma certamente quello di vigilare e raccontare le cose come stanno perché solo così la gente può farsi un opinione. Una società informata è una società che sa difendersi.
Molte persone che si sono avvicinate all’inchiesta sono sparite o sono morte. Come mai non si sa niente di queste inchieste (se sono state aperte)?Nella vicenda di Ustica ci sono 14 o 15 morti sospette. E’ un capitolo agghiacciante di questa storia.
Le morti sospette riguardano persone che sono venute a contatto con la verità e sono morte in circostanze inverosimili, in situazioni di palese “precarietà”.
Ho studiato molto questo aspetto soffermandomi in particolare su due figure, due radaristi, Parisi e Dettori, entrambi morti impiccati.
Il giudice Priore ha detto che si trattava di “impiccagioni sulle ginocchia” proprio per sottolinearne l’improbabilità del gesto.
Posso dire che di queste quattordici/quindici morti sospette, nutro dei dubbi su tre o quattro di queste persone.
Non riesco a pensare che a Ramstein in Germania nell’’88 siano state uccise 74 persone per ucciderne due. Naldini e Nutarelli, i due piloti delle frecce tricolori che a Ramstein ebbero l’incidente morirono, erano due testimoni oculari di quanto era avvenuto in Toscana quella notte. E’ un caso che siano morti a Ramstein?
C’è chi dice di no. Io credo che il disastro di Ramstein non sia legato ad Ustica se non per il fatto che in volo, sulle frecce, c’erano due piloti che quella notte di otto anni prima, avevano assistito a qualcosa (perché loro erano in volo sulla Toscana scoccano l’emergenza, vedono qualcosa di strano…insomma, loro potevano dare un importante contributo alla magistratura italiana).
Per quanto riguarda Dettori e Parisi io sono convinto che si sono ammalati di Ustica subendo moltissime pressioni. Parisi per la vicenda del mig e Dettori direttamente la notte di Ustica. Dettori rientra a casa e a sua moglie dice «Questa notte abbiamo sfiorato la guerra». Lo dice a tutti i suoi familiari. Impazzisce.
Non a caso Dettori, va anche in Francia a fare un periodo d’addestramento, lì entra in contatto con dei militari francesi (interessante l’incontro con uno di questi due).
Dettori verrà trovato impiccato in una casa di campagna in una situazione improbabile credo che se queste persone non si sono suicidate direttamente, e non le hanno uccise sono morte ammalate di Ustica. Per le pressioni. per la gravità dei fatti a cui avevano assistito. Tant’è che il giudice conclude che solo le morti di Dettori e Parisi sono ricollegabili alla strage di Ustica senza aggiungere però, il grado della prova. Perché? Perché dalle indagini non è emerso nulla tranne che il suicidio. Come sappiamo, da un suicidio è difficile trovare chi ha indotto la persona. Chi fa queste cose, di solito, le fa bene.
Tra i tanti colpevoli, ci sono anche i media?
Non saprei dire, nel senso che io, rispondo delle mie azioni e credo di aver fatto molto per questa vicenda. Ho attestati di stima e di riconoscenza tutti i giorni da parte dei familiari delle vittime (e solo quelli mi interessano).
Posso dire che oggi, nel 2011 a 31 anni dalla strage di Ustica, è veramente difficile scrivere un articolo sulla strage di Ustica. Se non fosse per internet, per il mio blog e per il mio sito (www.stragi 80.it) io avrei grandissime difficoltà a scrivere su Ustica perché la prima domanda che mi farebbe chiunque si trovasse di fronte a me sarebbe “che novità ci sono?”. “Hai la verità?”. “Se mi porti qui il pilota che l’ha abbattuto, ti faccio scrivere”.
Credo che la cosa, vada vista in un altro modo.
Penso che la vicenda di Ustica, vada un riletta. E’ difficile.
E’ difficile trovare un capo servizio che ti fa scrivere un pezzo su Ustica solo per il fatto di ricordare che è successo.
Credo molto nella rete. Ho trovato molti riscontri, molta gente con cui ho collaborato (tecnici, avvocati) l’ho conosciuta su internet. Se avessi la possibilità di creare un comitato tecnico, un gruppo di lavoro su Ustica, sarei certo su chi inserirci, perché ho incontrato tantissima gente valida (esperti informatici, aereonautici, ex magistrati, avvocati).
Ci sarebbe la possibilità per fare questo, però dimentichiamo facilmente. C’è tanta gente che non sa cosa è successo a Ustica.
Perché il crimine diventa mito?
Il crimine è affascinante di per se. Droga, sesso e sangue fanno vendere giornali. Non a caso questi aspetti suscitano l’interesse, la morbosità evidente dei lettori e di chi si informa. Sul crimine reso anche mito, non mancano gli esempi, anche da parte di fiction, che mostrano il crimine sotto un altro aspetto.
Pensiamo a Romanzo Criminale, a come è stata riletta la banda della Magliana che è tutt’altro che una holding criminale.
Tutto sommato, penso che queste cose facciano bene perché permettono di avvicinare un’altra parte di pubblico alla storia. Senza il “Romanzo Criminale” di De Cataldo, e senza il film di Placido, e la fiction di Sky dubito che i nati nel ’93, ’94, ‘95 (o anche quelli della mia generazione) sapessero chi era Abbatino, il Libano o chi per loro.
E’ una storia che nessuno avrebbe mai conosciuto perché è stata digerita. E’ passata. Eppure, i membri della banda della Magliana, li incontriamo per strada.
Ricostruire, anche con questi strumenti, quindi, credo sia utile, dicendo, comunque, sempre la verità. Sono contrario alle storie raccontate rendendo Santo un criminale. Un criminale, è un criminale. Si mostra bene da solo.
Qualunque storia andiamo a guardare, c’è sempre un criminale che si presta (penso a Vallanzasca). Però è giusto perché fa parte del bagaglio della nostra storia anche i criminali.
Alessandro Ambrosini
Montaggio: Giovanni Mercadante
Riprese: Paolo Pineschi