15 febbraio 2016 Lascia un commento
Mi accade con certi interpreti, di preferirli al loro repertorio.
Pare un concetto normale, il virtuoso da sempre attrae per la propria abilita’ piu’ che per cio’ che suona ma ho un tale rispetto per la Musica che di massima non la vincolo al suo esecutore. Solo di massima pero’ perche’ Glenn Gould e’ la prima eccezione, anzi i suoi concerti per pianoforte oscurano ogni altra esecuzione mentre per cio’ che riguarda il violino, ho un grande riferimento Uto Ughi. Il caso vuole venga a conoscenza del concerto a Ferrara e malgrado i pochi posti rimasti, non dei migliori, non posso perdere l’occasione. Accompagnato dal maestro Alessandro Specchi al pianoforte, l’esordio e’ fulminante, un’affermazione di classe unica che sappiamo riconoscere, arcata che e’ stile e forza, la migliore al mondo senza alcun dubbio. Di Ughi non si puo’ evitare la dolcezza l’incanto delle note che scivolano le une dentro le altre il tenue glissato che fa della dinamica del suono il suo punto di forza, ampiezze vertiginose che si risolvono in un soffio per risalire possenti e vigorose. La sua musica assume sempre una valenza espressionista ma che non di meno sbalordisce per una tecnica maturata in decenni di carriera e l’indiscutibile genio che puo’ solo essere innato. Il maestro inizia con la "Ciaccona" di Vitali e la "Sonata a Kreutzer", imprescindibile banco di prova per qualunque violinista al mondo, splendida routine per Ughi.
Nessuna presentazione, nessuna parola spesa il che e’ un po’ strano per lui che dialoga, spiega, illustra e cosi’ e’ dopo questa prima parte per dire d’obbligo, poi a seguire "Havanaise" di Camille Saint-Saens e una variazione su programma con una fantasia sulla "Carmen" di Bizet. molto apprezzata dal pubblico anche se avrei preferito Dvorak come doveva essere. Nessuna colpa a Ughi s’intende, modifica legata ad un’acustica del teatro troppo secca, severa a suo dire, mal amplificata dico io con meno garbo. La serata sarebbe conclusa ma i bis concessi sono non uno ma due e non poteva mancare "La campanella" di Paganini, altro classico, emblema del maestro.
Un grande musicista, un uomo d’arte e di spettacolo, un rapporto col pubblico affinato dall’esperienza e dall’indole del didatta. Non si puo’ chiedere davvero di piu’.
Pare un concetto normale, il virtuoso da sempre attrae per la propria abilita’ piu’ che per cio’ che suona ma ho un tale rispetto per la Musica che di massima non la vincolo al suo esecutore. Solo di massima pero’ perche’ Glenn Gould e’ la prima eccezione, anzi i suoi concerti per pianoforte oscurano ogni altra esecuzione mentre per cio’ che riguarda il violino, ho un grande riferimento Uto Ughi. Il caso vuole venga a conoscenza del concerto a Ferrara e malgrado i pochi posti rimasti, non dei migliori, non posso perdere l’occasione. Accompagnato dal maestro Alessandro Specchi al pianoforte, l’esordio e’ fulminante, un’affermazione di classe unica che sappiamo riconoscere, arcata che e’ stile e forza, la migliore al mondo senza alcun dubbio. Di Ughi non si puo’ evitare la dolcezza l’incanto delle note che scivolano le une dentro le altre il tenue glissato che fa della dinamica del suono il suo punto di forza, ampiezze vertiginose che si risolvono in un soffio per risalire possenti e vigorose. La sua musica assume sempre una valenza espressionista ma che non di meno sbalordisce per una tecnica maturata in decenni di carriera e l’indiscutibile genio che puo’ solo essere innato. Il maestro inizia con la "Ciaccona" di Vitali e la "Sonata a Kreutzer", imprescindibile banco di prova per qualunque violinista al mondo, splendida routine per Ughi.
Nessuna presentazione, nessuna parola spesa il che e’ un po’ strano per lui che dialoga, spiega, illustra e cosi’ e’ dopo questa prima parte per dire d’obbligo, poi a seguire "Havanaise" di Camille Saint-Saens e una variazione su programma con una fantasia sulla "Carmen" di Bizet. molto apprezzata dal pubblico anche se avrei preferito Dvorak come doveva essere. Nessuna colpa a Ughi s’intende, modifica legata ad un’acustica del teatro troppo secca, severa a suo dire, mal amplificata dico io con meno garbo. La serata sarebbe conclusa ma i bis concessi sono non uno ma due e non poteva mancare "La campanella" di Paganini, altro classico, emblema del maestro.
Un grande musicista, un uomo d’arte e di spettacolo, un rapporto col pubblico affinato dall’esperienza e dall’indole del didatta. Non si puo’ chiedere davvero di piu’.
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