di Michele Marsonet. E se finalmente cominciassimo a considerare l’Isis come una delle tante manifestazioni dell’Utopia che da sempre attraversano la storia umana? Credo sia giunto il momento di farlo, smettendola una buona volta di ridurre le sue azioni, i suoi comportamenti a mere espressioni di un terrorismo fine a se stesso. Oppure a una forma di nichilismo poiché, con quest’ultimo, lo Stato islamico non ha davvero nulla a che fare.
Chiarisco, innanzitutto, che un progetto utopico è visto come tale soltanto da chi lo guarda dall’esterno, conservando la capacità di analisi fredda e, per quanto possibile, oggettiva. Invece per coloro che aderiscono al progetto l’Utopia può davvero realizzarsi nella storia concreta dell’umanità. Il confine tra realtà e teoria svanisce, ed è la seconda a guidare la prima, non viceversa come di solito accade.
Ogni progetto utopico, per quanto diverso possa essere dagli altri, è letteralmente dominato da due concetti: “perfezione” e “purezza”. Per far sì che tali concetti si calino nella vita quotidiana fino a modellarla interamente, l’utopista non si ferma di fronte ad alcun ostacolo. Il fine ultimo da raggiungere è, ai suoi occhi, così alto da autorizzare qualsiasi crudeltà e violenza. Ché, anzi, crudeltà e violenza risultano essenziali per convincere, da un lato, i potenziali adepti e, dall’altro, per ridurre all’impotenza gli avversari terrorizzandoli.
Occorre capire, per esempio, che il proposito della “guerra anomala” dichiarata dal califfato al resto del mondo – incluso gran parte di quello musulmano – è un viaggio a ritroso nel tempo di moltissimi secoli, proprio per ridar vita a una comunità, religiosa e politica, nella quale l’Islam era ancora puro e seguiva alla lettera le indicazioni del Profeta. Poco importa rilevare che una simile comunità non è mai esistita, almeno come viene concepita dai suoi seguaci. E altrettanto poco importa notare che ogni progetto umano è, per sua stessa natura, imperfetto e impuro.
A un tale rilievo l’utopista risponde di essere garantito dalla presenza di leggi superiori che con la dimensione unicamente umana nulla hanno a che fare. Nel caso dello Stato islamico tali leggi sono state emanate da un Dio che si è espresso una volta per tutte tramite le parole mediatrici di una figura profetica, poi travasate in un libro sacro.
Ma esistono anche profezie “laiche”, come tutti sappiamo. Non scordiamoci, infatti, che a cavallo tra ’800 e ’900 si diffuse a livello planetario il mito di una società perfetta e senza classi, destinata a porre fine a ogni conflitto e a riportare in vita una sorta di Eden nel quale gli esseri umani avrebbero finalmente potuto riconquistare una felicità perduta a causa della presenza delle classi economico-sociali. La garanzia era, in quell’impalcatura concettuale, fornita dalla presunta scoperta di “leggi della Storia” cui bastava adeguarsi per raggiungere la meta finale.
Nel caso del califfato il “segreto” è un altro ancora. Si tratta soltanto di tornare a un’interpretazione letterale del libro sacro, mettendo in atto le indicazioni ben precise del Profeta che il tempo ha diluito macchiandone la purezza. Si dà tuttavia il caso che detta purezza possa essere recuperata subito, “hic et nunc”, semplicemente leggendo il libro. Crocifissioni, decapitazioni, roghi e quant’altro, da noi giudicati pure espressioni di barbarie, vengono allora considerati dai miliziani “atti necessari e dovuti” poiché previste dal libro.
Con questo voglio dire che definirli “tagliagole” serve ben poco a noi e, soprattutto, non impressiona affatto loro, convinti – come in effetti sono – di essere i messaggeri di un progetto divino che degli atti succitati ha bisogno per realizzarsi concretamente. Di qui l’onnipresente accusa di apostasia rivolta a tutti i musulmani che non accettano l’interpretazione letterale, preferendo il dialogo con altre religioni e anche con le correnti di pensiero laiche dell’Occidente.
Credo che, adottando una simile lettura, sia pure più facile spiegare il fenomeno delle conversioni giovanili. E’ tipico dei giovani – o, almeno, di molti di essi – farsi affascinare dalle promesse di purezza e perfezione, da sempre veicoli principali per ottenere la felicità. E, senza dubbio, il vuoto di valori da cui sono afflitte le società occidentali favorisce in misura crescente il compito dei reclutatori, che oggi possono accedere senza ostacoli alle risorse che internet e la Rete mettono a disposizione.
Una riflessione conclusiva. Se così stanno le cose, è assai più difficile sconfiggere un avversario di questo tipo che abbattere Saddam Hussein o Gheddafi. In quei casi erano sufficienti eserciti e raid aerei. Ora non più, dal momento che ci troviamo di fronte un’altra forma di millenarismo. E ai millenaristi non interessa affatto che lo loro azioni possano portare al collasso dell’economia tunisina o egiziana. Al contrario. Pure tale collasso è giudicato alla stregua di tappa necessaria per conseguire l’obiettivo.
Featured image, Saddam seen talking to Michel Aflaq, the founder of ba’athist thought, in 1988.