Ho detto che sarei tornata sull’articolo choc della mamma cinese. L’avete letto? Io me lo sono riletto. E non riesco a venirne a capo.
Con un bambino di quasi due anni (li compirà ad aprile), nel pieno della sua lotta interiore tra rendersi indipendente e rimanermi attaccato, faccio fatica a immaginare l’uso di tanta severità nell’educazione. Con lui, la severità, non paga mai. O quasi. Del resto la mamma cinese dice che un certo tipo di educazione e di regole si cominciano a dare dai due anni in poi. Insomma, nel caso mio e di A. è ancora presto…
Però se penso alla sorellona, quindi a un figlio sui sei-sette-otto anni, allora la filosofia educativa di cui la professoressa cinese si rende testimone mi costringe a interrogarmi. E’ giusto vietare televisione, giochi al computer, giochi a casa degli amici, gite scolastiche in cui si rimanga fuori a dormire e recite scolastiche? è possibile costringere un bambino di 5 anni a studiare 3 ore al giorno pianoforte o violino (altro strumento non è dato)? è giusto insegnare ai figli che l’unico voto possibile è il voto più alto che esiste (10, ottimo o A)? Ha senso credere che i figli devono tutto ai genitori e che l’unico loro compito sia obbedire e renderli orgogliosi con i loro successi? Giusto se sei genitore…ma se sei figlio? Mi/ci piacerebbe?
CONFESSO: alcuni tratti di questa filosofia confuciana dell’allevare i figli mi seducono. Forse perché anche io, a modo mio, sono confuciana. Confuciana occidentale, ovvero luterana. Ne ho piene le tasche della mammosità italiana, dell’immagine della mamma chiocchia, cui tutti rimproverano il fallimento e la decadenza dei giovani d’oggi e di ieri. Sono sempre attratta dai modi diversi di essere mamma che si raccontano o si vedono in Paesi diversi dal nostro. Ma senza mitizzare la mamma svedese lavoratrice indipendente o quella francese mamma e donna manager perfetta. E’ difficile trovare un modello che funziona, e soprattutto applicarlo e osservarne i risultati sperati. A volte i genitori sono “cinesi”, ma i figli possono risultare degli sfiduciati cronici. La certezza con cui l’autrice del saggio afferma che i figli di madri cinesi sono destinati ad avere successo mi lascia perplessa.
Quello che mi piace è il concetto che per divertirsi in una cosa, che sia la matematica, il rugby o la chitarra elettrica, solo destreggiando lo strumento alla perfezione ci si può davvero divertire. E questa è la cosa più difficile e più importante da passare a un figlio, credo. E indubbiamente, solo la disciplina e la severità possono far raggiungere certi livelli.
In conclusione: sarei contenta di frequentare uno stage su “come educare i figli” tenuto dalla signora cinese autrice del saggio. Mi piacerebbe confrontarmi con qualcuno che il metodo lo segue e lo pratica tutti i giorni. Credo che un pizzico di filosofia occidentale, però, andrebbe mischiato alla ricetta confuciana su come educare i figli al meglio.
Tutto sommato, l’idea che ognuno di noi abbia delle inclinazioni personali da assecondare, mi pare meno bislacca di quanto i cinesi temano.