Anna Lombroso per il Simplicissimus
“La ripresa dell’Italia non è una chimera, questo paese deve essere una terra delle opportunità e non dei rimpianti”. La menzogna ha sempre fatto parte della cassetta degli attrezzi dei regimi. Sfrontata come questa, proferita dallo spacconcello intemerato, mormorata sotto forma di intimidazione o di lusinga, è sempre stata impiegata come insostituibile strumento di potere e addensante di consenso fino all’adorazione, il che la dice lunga sull’indole di molti popoli a farsi prendere per il naso, a riporre fiducia in tiranni e despoti, a affidarsi loro apparentemente in mancanza di meglio e soprattutto in assenza di attaccamento alla libertà, all’autodeterminazione, alla responsabilità.
Ma adesso, adesso le bugie vengono amplificate, ripetute. Rimbalzano sui media, si inseguono nella rete, vengono smentite, muoiono, rinascono come la fenice, si perpetuano grazie alla incancellabile memoria di Google, ma soprattutto in virtù del desiderio di molti di credervi, di convincersene, di accucciarsi nel grembo rassicurante dell’inganno per non reagire.
Stamattina il Simplicissimus smascherava le leggende autoalimentate e troppo legittimate del Gran Casinò borsistico come sostituto dell’economia reale, per anni ci siamo preoccupati dello spread, abbiamo avuto paura del racket delle agenzie di rating, abbiamo guardato con confidente attesa alla luce in fondo al tunnel, qualcuno si è perfino spinto a farsi persuadere che la colpa della perdita di benessere, sicurezza, identità, dignità fosse da attribuire all’arrivo di gente disperata in fuga da guerre che abbiamo contribuito a scatenare. E qualcuno non solo per motivi di interesse si è convinto che fosse vero che l’illegalità, la corruzione, il malaffare fossero incidenti di percorso o addirittura il necessario prezzo da pagare in nome della crescita, della ripresa, un sacrificio tassativo e imprescindibile da offrire al mercato. o anche un fenomeno naturale, sorprendente come Mafia Capitale o i funerali del vecchio boss, e imprevedibile – proprio come la crisi – occasionale ed estemporaneo che prima o poi finirà, grazie all’arrivo dei marziani, alla volontà di rigenerazione della società civile, perfino ai benefici effetti della rottamazione di una vecchia classe dirigente sostituita da una nuova, che si è scoperta più rampante, più vorace, più ambiziosa e più collusa coi poteri padronali. Ma perfino a quelli, perfino alla narrazione quotidiana della loro pinocchieide serve nutrire il mito dell’onestà, magari con qualche altra bugia, che basta non sfilare i soldi dalle tasche, non compiere furti con destrezza, non farsi passare valigette di liquidi al bar, sotto al tavolino per dimostrare integrità, innocenza e dedizione all’interesse generale.
Il laboratorio sperimentale nel quale si è data vita al Frankenstein, alla creatura artificiale che dovrebbe rincuorarci dell’esistenza il Italia di un sindaco integerrimo, è la città di Roma, nel cui sottosuolo morale si è consumato e si consuma di tutto all’insaputa del prodotto di fantapolitica messo a governare la capitale, autoproclamatosi marziano a accreditare al sua estraneità e la sua inconsapevolezza, chiaramente colpevole se è vero che tutti sapevano, tutti anche intorno a lui erano informati e qualcuno coinvolto, tutti andavano a cene eleganti, eventi sociali, incontri elettorali e godevano di finanziamenti legittimi quanto inopportuni.
Ma pare che spesso il sindaco Marino non sapesse perché non c’era. La fatica del suo incarico vissuto come una missione, lo ha costretto a vacanze frequenti e prolungate. Secondo Dagospia e il quotidiano Libero avrebbe dovuto concedersi una sospensione dalla cura della cosa pubblica ogni 48 giorni. Scrive Libero che secondo la ricostruzione fatta dallufficio stampa del Comune di Roma, con l
aiuto della segreteria del sindaco, linquilino del Campidoglio, da quando è stato eletto nel giugno del 2013, ha fatto 44 giorni di vacanza. Otto nel 2013, fra giugno e agosto. Diciassette nel 2014, 3 a gennaio e 14 ad agosto. Diciannove quest
anno, 9 a gennaio e 10 in questi giorni. Ma non ci sono state solo “ferie” e viaggi di piacere. Le assenze sono anche da attribuire all’instancabile attività svolta per cercare mecenati, compratori del nostro patrimonio immobiliare, sponsor, investitori e solo i maligni potrebbero osservare che quelle missioni non solo non hanno prodotto i frutti sperati, ma si sono svolte curiosamente in coincidenza con crisi piccole o grandi, inondazioni, esequie scomode, rivolte, scioperi, grandini copiose, incendi a Fiumicino o nella metro, inquietanti epidemie che colpiscono i pizzardoni.
Qualcuno, a cominciare dalla stampa inglese e dal New York Times potrebbe insinuare che tanto a vedere come è messa Roma, non ci si accorge se il sindaco è presente o assente. Invece non è vero, lui c’è, vigila, prevede se non provvede e non previene, ma profetizza: «La mafia a Roma esiste. Lho affermato spesso in campagna elettorale, già nella primavera del 2013, l
ho ribadito da sindaco, quasi inascoltato. … ora meno soli contro mafia a Roma», scrive sul suo profilo Facebook a proposito dei funerali eccellenti, che si vede che Buzzi e Carminati non gli erano bastati.
Sarà onestissimo per carità, non compie scippi, non ci clona il bancomat. In compenso a fronte di ogni problema la sua soluzione o la sua azione di contrasto si riducono alla istituzione di una Commissione, si immagina remunerata, dei cui risultati, qualora vi siano, non si sa nulla. E’ stato così per il censimento delle case vuote, per gli immobili da destinare a ospitare uffici pubblici ora affittuari a caro prezzo di privati, della rivoluzione ai Fori, il suo fiore all’occhiello, limitatosi a interdire il passaggio a auto private e taxi. In compenso la sua appartenenza al famigerato partito dei sindaci l’ha contagiato con la patologia degli annunci: svolta epocale nella nettezza urbana, all’azienda dei trasporti, nel traffico, nelle periferie, nei campi rom, nei centri di accoglienza, nella mobilità in vista del Giubileo, nel bilancio comunale in profondo e inguaribile tracollo. In compenso l’inossidabile marziano eletto in mancanza d’altro, ogni giorno rivendica l’estraneità al suo elettorato, ai cittadini che dovrebbe amministrare, all’opinione pubblica mondiale, interessato al consenso di Palazzo Chigi, officiato dalla squinzia mandata a risolvere problemi come Wolf, quando lo si ritiene ingombrante, molesto, “imbelle”, come l’ha definito il New York Times, ma indispensabile a rinviare la mesta liturgia elettorale che potrebbe rivelarsi punitiva perfino per il partito unico della nazione e ancora più irrinunciabile per fare da gioconda copertura alla perpetua macchina degli affari che, come lo spettacolo, deve andare avanti.