Magazine Italiani nel Mondo
Pepe, il marinaio
Il 6 luglio ho il volo per l’Italia con partenza da Varadero, anziché da L’Avana e ciò mi crea
delle scomodità perché l’aeroporto di Varadero non è a portata di mano. Frank mi aveva prenotato
alcune settimane fa un posto sul pullman di linea che collega L’Avana con Varadero (circa tre ore
di viaggio): il costo del biglietto è irrisorio (6 pesos) ma per procurarselo bisogna fare una coda
spaventosa tra gente che grida e spinge, e così il povero Frank che soffre di ulcera cronica,
lombaggine e artrite, per evitare tanta disumana ferocia aveva deciso di optare per una soluzione più
alla “cubana”, ovvero contattare la cassiera fuori dall’orario d’ufficio, pagarle un dollaro e chiederle
di emettere, con tutta tranquillità e quando ne avesse il tempo, un biglietto L’Avana-Varadero da
ritirare poi con comodo.
L’unico aspetto negativo, almeno per ora, è che il suddetto pullman parte alle 4 del mattino,
perché quello delle 7 è già tutto occupato: il 6 luglio, infatti, è un sabato e molti avaneri sono soliti
trascorrere il fine settimana a Varadero. Il mio aereo parte alle 17, quindi dovrò stare parecchio
tempo all’aeroporto, facendo cosa... non si sa.
Alle 4 del mattino i mezzi pubblici a L’Avana non circolano ancora, così sono dovuto uscire da
casa di Frank alle 11 della sera per recarmi alla stazione dei pullman interprovinciali e aspettare lì.
A Cuba si passa sempre molto tempo aspettando qualcosa o qualcuno: le prime volte uno s’incazza,
poi ci si fa l’abitudine e l’attesa diventa normale, anzi certe volte è proprio nell’attesa che
succedono altre cose; sembra quasi che vengano apposta per movimentare un po’ la monotonia e la
noia in cui uno inevitabilmente cade. Mi immagino i miei amici in Italia quando mi vedranno:
- Allora, come va? Cosa hai fatto in questi mesi a Cuba?
- Mah, aspettavo...
- Come sarebbe?
- Aspettavo della gente...che succedessero delle cose...Andavo a fare la spesa e aspettavo delle
mezze ore in coda, oppure quando dovevamo andare a Bayamo aspettavamo alcune ore qualche
mezzo di fortuna. L’altra sera hanno tolto la luce e abbiamo dovuto aspettare due ore prima che
tornasse...
- I tuoi documenti, come vanno?
- Sto aspettando che mi diano la residenza...
- E il telefono? Ve l’hanno installato?
- Non ancora, abbiamo fatto già la domanda sei mesi fa, stiamo aspettando che ce lo mettano...
Stavo dicendo che sono dovuto uscire da casa di Frank alle 11 di sera per poter prendere uno
degli ultimi autobus per il centro. Ci salutiamo e mi dà alcune lettere da consegnare a degli amici di
Torino e infine non dimentica di farmi un raccomandazione riguardo a dei sigari che mi ha
procurato tramite un suo amico:
- Se alla dogana ti dovessero chiedere qualcosa, dì loro che li hai comprati per la strada: non dire
che te li ha dati un amico, se no potremmo finire tutti nei guai perché c’è molto controllo rispetto al
commercio illegale dei sigari.
- D’accordo, non ti preoccupare.
Mi dirigo verso la fermata dell’autobus urbano che dista circa trecento metri da casa di Frank e
trovo già un bel po’ di gente. Chiedo chi è l’ultimo e poso a terra le mie due pesanti valigie. Passano
i minuti, la gente aumenta e gli autobus passano sempre più di rado: ovviamente quello che serve a
me, il 190, tarda ad arrivare. Si fanno le 11 e mezza, le 11 e 45, mezzanotte! Ormai ci sono già una
trentina di persone che aspettano quando ecco all’orizzonte arrivare un Camello: la gente tira un
sospiro di sollievo e si agita per potersi stipare dentro questo mezzo mandato da qualche divinità
superiore. Peccato che a me e a pochi altri sfortunati non serva.
Qualcuno va via con un taxi stracolmo, altri vengono raccolti da amici che casualmente
passavano di lì in macchina.
Dopo poco sbuca da una via laterale un altro autobus, aguzzo la vista per leggerne il numero ma
non è il 190: si porta via i pochi derelitti che stavano aspettando...meno uno, cioè io. E’ già
mezzanotte e mezza e sto disperando di potere vedere arrivare l’autobus che mi trarrà in salvo,
anche perché sto cominciando a temere per la mia incolumità: è vero che qui siamo in un quartiere
residenziale e quindi non c’è molta delinquenza notturna, però gironzolare di notte per zone poco
frequentate e con dei bagagli è sconsigliabile anche se ci si trova a L’Avana.
Un cagnolino impaurito e affamato mi si avvicina e trova riparo tra i miei bagagli: si aggomitola
e si addormenta lasciando che le sue pulci balzino agevolmente dal suo pelo verso le mie borse.
Poi un tipo si avvicina alla fermata:
- Stai aspettando il 190?
- Sì.
- Allora sono dopo di te. - dice sedendosi accanto a me. - Vai alla stazione dei pullman?
- Sì.- ripeto, cercando di troncare il dialogo.
E’ un uomo sui quarant’anni, snello ma dal fisico forte, la testa quasi pelata; quando parla mi
guarda solo per un istante, poi rifugge con lo sguardo verso un’altra direzione. Sono un po’ nervoso
perché immagino che si tratti del solito profittatore-rompiballe, di quelli che nelle zone centrali se
ne trovano ad ogni cento metri, e quando capiscono che sei un turista straniero non ti mollano più,
raccontandoti metà della loro vita, dicendoti che hanno una cugina sposata con un italiano, che la
vita a Cuba è difficile, che l’Italia è un bel paese, che conoscono Toto Cutugno e Albano e Romina,
i Ricchi e Poveri e Nicola di Bari, che se vuoi comprare dei sigari loro ne hanno a poco prezzo; altri
invece vanno direttamente al sodo chiedendoti in regalo un dollaro o un capo d’abbigliamento.
Questo, invece, che tipo sarà da trovarsi a quest’ora in una desolata fermata d’autobus?
- E’ da molto che aspetti? - mi chiede.
- Più di un’ora.
- A quest’ora è difficile.... Anch’io vado alla stazione dei pullman, vado a prendere mio fratello
che deve arrivare da Matanzas. Di dove sei? Cileno?
- No, italiano.
- Ah, italiano...parli così bene spagnolo che credevo fossi sudamericano.
Si avvicina un barbone con una lattina di birra in mano (e cinque o sei nello stomaco),
barcollando farfuglia qualcosa che non si capisce, ci offre da bere, ma cortesemente rifiutiamo;
allora chiede dei soldi e il mio vicino, per liberarsene, gli dà qualche spicciolo poi lo saluta per far
sì che se ne vada.
- Certa gente si rovina la vita con l’alcol. - mi dice - Io bevo pochissimo e non fumo: bere troppo
e fumare fa male alla salute. Così tu sei italiano... Io mi chiamo Pepe - e mi dà la mano
presentandosi.
- Alessandro. - rispondo.
- Ci sono stato una volta in Italia, a Genova. Faccio il marinaio su una nave mercantile... ho
girato parecchio. L’Italia deve essere bella. Francia e Spagna le conosco di più, ci sono stato un
sacco di volte, abbiamo toccato parecchi porti.
- Sì, viaggiare è una bella cosa, si vedono cose nuove, si conosce molta gente.
- Sei in vacanza qui a Cuba?
- No, vivo qui. Mi sono sposato con una ragazza cubana e mi sono trasferito qui.
- E adesso vai da lei?
- No, sto partendo per l’Italia: ho il volo da Varadero domani. Vado a trovare i miei.
- Ah, stai partendo! Credevo fossi arrivato ora. Però, Alessandro, non dovresti girare da solo a
quest’ora: è pericoloso, c’è brutta gente in giro, ti possono derubare delle borse. Comunque adesso
ti aiuto io, anch’io devo andare alla stazione dei pullman, andiamo insieme così in due non c’è
pericolo.
Non ho ancora capito chi è in realtà questo Pepe: a vederlo così sembra sincero, però meglio
tenere gli occhi aperti e non fidarsi troppo. E’ brutto essere diffidenti verso chi offre la propria
disponibilità, ma in questo momento sono in condizione di netta inferiorità strategica, quindi mi
sembra opportuno stare all’erta. E poi con il mio fisico mingherlino non posso certo competere con
un marinaio!
La fermata comincia a popolarsi di nuovo di gente quando ecco giungere un altro autobus,
guardo il numero e...190! Finalmente! E’ l’una meno venti quando saliamo. Nel frattempo si era
fatta un po’ di coda, ma noi siamo i primi: Pepe prende la borsa più grande ed io l’altra più lo
zainetto.
- Sono poche fermate, poi bisogna fare un pezzo a piedi. Non ti preoccupare, ti avviso io,
conosco bene la strada. Vedi Alessandro, bisogna stare attenti perché adesso qui sull’autobus va
tutto bene, ma in strada è pericoloso, non bisogna mai girare soli di sera tantomeno con delle
borse...
Nel suo parlare a raffica ripete due o tre volte le stesse cose, probabilmente senza rendersene
conto.
- Comunque di me ti puoi fidare, te l’ho già detto, puoi considerarmi un amico. Guarda, se non
credi a ciò che ti ho detto... - estrae dalle tasche il portafogli e mi mostra il tesserino di marinaio -
...vedi? Lavoro nella marina mercantile.
In effetti sembra tutto regolare e mi ha quasi convinto della sua lealtà disinteressata. Scendiamo
dall’autobus e percorriamo un tratto di strada semideserta e buia.
- Vieni! Da questa parte! Dobbiamo fare il giro di là e siamo arrivati. Vedi Alessandro, se dovevi
venire da solo qui magari incontravi qualche malintenzionato...- Si ferma un istante per raccogliere
un bastone di legno - Con questo però non c’è pericolo, meglio essere preparati.
Comincio ad essere preoccupato di essere caduto in una trappola: magari adesso aspetta il
momento opportuno, mi tira una sventola con il bastone e mi deruba di tutto. E io cosa faccio? Odio
la violenza fisica, specialmente quando viene esercitata su di me! Ma no non può essere così facile
come in un film: calma, stiamo calmi. Per il momento mi tengo a debita distanza e lascio che sia lui
a fare strada. Dobbiamo scendere per una strada che fa un’ampia curva costeggiando un boschetto
prima di arrivare alla meta finale, la stazione dei pullman, che da qui non si vede ancora.
- Vieni, tagliamo per di qua - propone Pepe imboccando il boschetto dove lo sguardo si perde nel
buio. E qui l’adrenalina mi sale fino al cervello: dalla parte opposta stanno salendo due individui,
forse suoi complici! Magari adesso mi aggrediscono tutti e tre! Cosa faccio? Pepe continua a
camminare con la mia borsa in mano, non si è accorto che non lo sto seguendo ma mi sono bloccato
alcuni metri dietro di lui. La mia borsa! penso disperato. Poi Pepe rapidamente si volta, torna
indietro e dice:
- Meglio cambiare strada. Perché rischiare proprio adesso? Meglio allungare un po’ il cammino
che mettersi in quest’oscurità. E’ fino adesso che ti sto mettendo in guardia sui pericoli e stavo per
commettere io un’imprudenza!
Arriviamo finalmente alla stazione dei pullman che, però, è ancora chiusa perché apre alle due di
notte. Fuori c’è parecchia gente che aspetta:
- Dobbiamo aspettare un po’ qui, sediamoci intanto. Ormai non c’è più pericolo - dice. Povero
Pepe: l’avevo proprio giudicato male.
Chiaccheriamo un po’ lì fuori, mi dice che sta facendo qualche settimana di vacanza, poi partirà
di nuovo, sempre verso paesi stranieri, starà via qualche mese. Quando non è in viaggio è ospite a
casa di sua zia in Centro Avana: mi dà anche il suo numero di telefono e mi dice di chiamarlo la
prossima volta che passerò di qui. Gli chiedo se è sposato e mi dice che lo è stato, ma poi lei lo ha
lasciato. Mi chiede se abbiamo figli e gli rispondo di no. Neanche lui ne ha: dice che se un genitore
non può dedicare il proprio tempo per allevare i figli è meglio non averne. E lui, con il suo lavoro,
di tempo non ne ha proprio.
Si aprono i cancelli della stazione e ci avviamo verso l’ingresso:
- Adesso devi fare il check-in dei bagagli, poi devi passare in sala d’attesa e aspettare fino a
quando annunciano la partenza. Vieni, ti aiuto io.
- Ci sarà una caffetteria? Ti offro qualcosa da bere...
- Sì, ci deve essere, ma prima fai il controllo del biglietto e dei bagagli.
Effettuato il check-in come all’aeroporto ci dirigiamo verso la sala d’attesa:
- Ecco, siediti qui e aspettami - mi ordina.
Poco dopo arriva con un caffé:
- Non è molto caldo, ma è l’unica cosa che avevano.
-.Ma tu cosa prendi?
- No, non ti preoccupare. Non voglio nulla. Beh, Alessandro, ti devo salutare: vado dall’altra
parte, mio fratello starà per arrivare. Adesso ti puoi riposare un paio d’ore: fai buon viaggio e se
passi da L’Avana chiamami. Stammi bene.
Mi stringe forte la mano e si allontana a passo deciso, fiero di avermi accudito fino lì, come un
padre che il primo giorno di scuola accompagna il proprio bambino fino all’ingresso, assicurandosi
che tutto sia a posto. Per alcuni minuti non riesco nemmeno ad alzarmi dalla sedia, quasi temendo
che Pepe possa ricomparire sgridandomi per avere contravvenuto alle sue raccomandazioni. Poi,
però, mi rendo conto che con ogni probabilità non lo rivedrò mai più e mi sento un po’ colpevole
per averlo trattato inizialmente con tanta freddezza.
Mi alzo e vado a sedermi da un’altra parte, cerco una posizione un po’ più comoda e alla fine mi
addormento.
CONTINUA...
ALESSANDRO PILOTTO
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