"Non capisco perché in tutti questi anni ci siamo ostinati a pagare dei geologi. Una chiromante ci sarebbe costata meno!" (Alberico Biadene)
E' il film più costoso che sia stato mai girato in Italia. Fu la prima opportunità europea per mettere il digitale a servizio del cinema. E, nemmeno a dirlo, vanta un cast di nomi eccellenti. Vajont - La Diga del Disonore (2001) si può a buon diritto definire un capolavoro a tratti neorealista sulla famigerata bramosia del guadagno a discapito delle vite umane.La tragedia che segnò il popolo di Longarone la sera del 9 ottobre 1963 viene ricostruita goccia dopo goccia da un impavido Renzo Martinelli che affronta coraggiosamente le responsabilità storiche di una sciagura annunciata, aiutato anche dalla suggestione dei luoghi che ne furono colpiti.
Si chiama Gola del Diavolo quello strapiombo sul Monte Toc che nel 1959 venne preso d'assalto da un branco di spregiudicati geologi e ingegneri che ne vollero riempire le secche fauci con l'acqua di un lago artificiale. Il progetto della diga volta a contenerlo, continuamente giustificato dall'idea progressista di ricavarne una fonte idroelettrica e di procacciare lavoro alle ingenue maestranze locali, in realtà rispose molto di più alle mire plutocratiche dei costruttori e dei politici cui erano ammanicati.Olmo Montaner (Jorge Perrugorìa) sul cantiere segue tutte le operazioni come geometra, mediando i rapporti tra operai e direttori dei lavori. E' innamorato di Ancilla Teza (Anita Caprioli), telefonista a Longarone. Hanno in progetto di mettere su famiglia e di vivere nella valle. Sono tuttavia consapevoli dei rischi che la costruzione della diga potrebbe rappresentare per loro come per tutta la popolazione di Erto, Casso e dei paesi limitrofi. Un senso di disagio che accompagna loro come noi, sino ad una fine già narrata dalle cronache. Una premonizione che l'ingegnere Carlo Semenza (Miche Serrault), il geologo Giorgio Dal Piaz (Philippe Leroy) e gli altri uomini ai vertici della Sade - Alberico Biadene (Daniel Auteuil) fra tutti - tacitano sistematicamente, soffocando qualsiasi grido di allarme. Clementina Merlin (una concitata Laura Morante) è colei che alza più la voce attraverso le pagine de L'Unità, usando la sua professione di giornalista per raccogliere le preoccupazioni dei locali che poi sono anche e soprattutto le sue, di donna fattiva e affamata di verità.
Tina Merlin è sempre sul Vajont come un'articolista sta sempre sul pezzo. Promuove un comitato di difesa per la valle, richiede controperizie dal Genio Civile sull'effettiva rischiosità delle frane, fotografa le ferite apertesi sui fianchi del Monte Toc, combatte contro le ristrettezze mentali e maschiliste dei montanari per svegliarne le coscienze. La sua, tuttavia, è una lotta in solitaria e il suo nemico - lo Stato - è troppo forte e armato per essere battuto da lei o da chi, come il timoroso ingegnere Mario Pancini (uno straordinario Leo Gullotta), potrebbe esserle alleato.
Cresce così il senso d'impotenza che Renzo Martinelli va costruendo con una pulita fotografia lungo tutto il film e in un climax ascendente come la progressiva erezione dell'inutile diga. L'invaso d'acqua diviene un bicchiere nel quale si perde ogni soluzione volta al rimedio dell'ultimo minuto. Tracimazione e valanga di fango sono poi solo l'inevitabile epilogo che tutti si aspettano e che cancella le paure per sostituirle col dolore che traspare da quel cromatismo sacrificato ad un effetto da documentario in bianco e nero. E con l'incrollabile diga rimasta intatta sullo sfondo, quale indistruttibile monumento alla stupidità umana e incancellabile promemoria delle migliaia di vite affogate.
Un titolo assolutamente da ripescare.