Ti trovo con indifferenza
dietro la stessa tenda a quadri
che sta in questa stanza da molto tempo
prima che arrivassi io. E poi comincio
a cercarti, tra una parola e l’altra
nelle parole che hai scritto
mandate avanti a precederti
come un lungo avviso, ma tu
non arrivi, non hai più un indirizzo,
ti sei trasferito a Mantova, nel Friuli,
ad Avignone, hai fatto l’amore con i vecchi
sui campi sassosi del gioco, ti sei innamorato
dei nomi di donna che incontravi
dei loro occhi, dei monumenti, della polvere
dei libri che ricopre gli scaffali, hai
conciliato l’arte con la vita, con la pace
nella gola calma di chi conosce
la strada che percorre, che non ha paura
del sentiero scosceso prima di arrivare al piano,
all’ultimo piano di Milano, affacciarsi bagnato
a un balcone, gridare “Sono io, sono qui”
per poi rientrare, seminare indizi, non farsi mai trovare.
Così ti continuo a cercare, nelle barre di ricerca
dei siti, di Google, dei social network e trovo
solo le foto dei tuoi occhiali, dell’orecchino,
dei capelli lunghi che appena si separano sul collo
sfocato, sei senza fuoco a vederti, ma ti vedo
nei tuoi dettagli come se avessi una specie
di malattia, una prosopagnosia dei sensi
che mi restituisce ciò che sei solo al suono
della tua scrittura. Ma poiché non so
come raggiungerti, spero nel giorno
in cui sarai tu a trovarmi.