Il rapporto tra musica e fotografia è da sempre simbiotico, a partire dalla veste grafica dei dischi. Nei casi migliori è un vero e proprio valore aggiunto e un completamento del contenuto in note. Si arriva poi alla rappresentazione dei musicisti, vuoi in posa per necessità promozionali, vuoi ripresi durante le esibizioni live o, persino, come modelli scelti da qualche fotografo desideroso di dare di loro una sua interpretazione al di fuori dell’iconografia ufficiale. Ciò che denota e rende particolare la ricerca fotografica di Valeria Pierini è, piuttosto, la volontà di superare la centralità del soggetto per dare forma e visibilità al luogo in cui questo esercita, così da spostare l’attenzione verso la cornice fisica in cui la musica viene a prendere forma e, in particolare, sui dettagli più significativi/rappresentativi della stessa. Questa ricerca si è focalizzata sul territorio umbro, all’interno del quale Valeria da sempre si muove e documenta, per dare vita a un diario di viaggio fotografico che parla dei musicisti senza mostrarli mai apertamente, se non attraverso loro brevi pensieri usati come didascalie delle foto stesse. A ottobre Io Tra Di Voi (questo il nome del progetto) verrà presentato all’interno di una mostra a Perugia, per poi proseguire su carta e in rete con un continuo lavoro di aggiornamento e crescita dinamica. Questo carattere particolare e il taglio originale del tutto ci ha spinto ad approfondire il discorso con la stessa Valeria così da comprendere i motivi di un progetto che alla fine ci ha in qualche modo coinvolti e resi partecipi in prima persona (chi scrive, a scanso di equivoci, ne curerà le note introduttive).
Quando hai compreso che la musica era per te più di un semplice sottofondo da subire passivamente e come si sono mosse le tue scelte in questo campo?
Valeria Pierini: Sono figlia di un musicista. Quando ero bimba, in casa il giradischi suonava blues, jazz e rock. Mio padre mi portava spesso con sé quando suonava (è un batterista). Avevo i miei dischi preferiti (ad esempio Aretha Franklin, Otis Redding, Wilson Picket, Dave Brubek), papà mi metteva sulle sue ginocchia davanti alla batteria e mi dava le bacchette. A 13 anni gli chiesi di insegnarmi a suonare e lui mi disse: “No. Se vuoi vai a scuola. Lì potrai avere i mezzi per capire quello che ti piace e non ti piace, senza considerare che imparerai a leggere la musica”. Da lì fino a 19 anni ho studiato musica, ho avuto una band, ho ascoltato un sacco di roba e organizzato concerti. Ma la cosa che mi lascia stupita è che se ci penso e mi pongo la domanda che mi hai fatto tu, per me la musica è una cosa naturale. È naturale alzarmi la mattina e accendere lo stereo, è naturale avere la musica in macchina, è naturale avere e sentire una musicalità quando faccio le cose. Se ci pensi il nostro cuore ha un suono e un ritmo. La musica poi è un modo per contare e per una che con i numeri non ci va d’accordo è un bel modo per leggere il mondo! (ride, ndr).
Cosa ha fatto scattare, invece, il tuo amore per le foto e quando hai capito che le due passioni potevano diventare un tutt’uno?
Abbiamo sempre avuto una macchina fotografica in casa e le foto hanno sempre avuto un ruolo importante nello scandire la memoria domestica. Il chitarrista della mia band era un appassionato di fotografia, dunque anche lì mi passavano sotto di continuo foto e macchine fotografiche. Spesso ai concerti portavo la macchina di mamma, compravo in società con la bassista una pellicola e commissionavamo le foto a qualche amico. Poi non so perché mi sono detta: voglio imparare a fare le foto. Contattai un fotografo di una band che mi piaceva e gli chiesi consiglio (vedi? la musica è un mezzo per conoscere il mondo!) . Mi comprai una reflex analogica pagandola da sola in due lunghi anni e da lì non mi sono più fermata. Devo dire però che anche questa cosa la sento come naturale. Non mi sono forzata. Ho seguito e seguo solo un istinto, cioè non riesco a smettere. Per me fotografare la musica è una logica sfida, primo perché fotografo qualcosa che non si vede ma che smuove l’anima, secondo perché fotografo qualcosa che è atavico in me.
Così come per la musica, anche la fotografia ha i suoi maestri e i suoi stili, le sue scene e le sue varie forme. Quali hanno lasciato il segno più profondo e quali i tuoi punti di partenza?
In un periodo in cui ero ferma e che forse ero lì per smettere, un periodo in cui avevo qualcosa in nuce ma uno stile ancora acerbo, a una mostra sono stata folgorata dalle opere di quella che da lì a qualche mese sarebbe diventata una persona molto speciale nella mia vita (no, non è il mio fidanzato, né roba di gossip, insomma). Quel giorno ho capito a che punto ero e dove volevo arrivare, cosa volevo fare con le mie foto, quali le linee che dovevo seguire. Da lì è iniziato un periodo di ricerca e studio che mi ha fatto adorare sopra a tutti Sophie Calle e Diane Arbus, poi Duane Michael e Annie Leibovitz. Ho scoperto il fotografo del punk Edward Colver, ho adorato poi le foto dei grandi fotografi di Bob Dylan a cavallo tra i ’50 e i ’60, ho scoperto Giacomelli e Cresci. Insomma: alcuni nomi di una lista emotiva che ha solcato però i miei occhi.
A un certo punto, decidi di cambiare prospettiva e lasciare che le foto di musicisti perdano il loro soggetto centrale per diventare foto di indizi e spunti da interpretare. Quando e come nasce Io Tra Di Voi?
La musica è uno degli oggetti della mia ricerca come lo sono ad esempio il sogno, la memoria, il concetto di doppio. Compilo diari come un bambino che colleziona figurine. Scrivo, incollo foto, annoto citazioni… i miei diari sono il fulcro del mio lavoro e Io Tra Di Voi nasce dall’annotare foto di band e scritti in un quaderno. Guidavo e da una riflessione sono arrivata a un’altra e poi ad un’altra per poi arrivare a pensare Io Tra Di Voi. L’idea fulcro del lavoro è cercare l’interazione fisica che ha la musica nella vita delle persone. La musica che non si vede né si tocca. Ho avuto voglia forse di suggellare un paradosso quotidiano al quale siamo abituati e su cui non riflettiamo forse più, o lo facciamo senza dirlo. Questo lavoro ricalca esattamente quello che voglio fare con la mia ricerca sulla musica. La musica è indagine artistica come gli argomenti citati sopra. È questo quello che mi interessa: l’aspetto concettuale della questione. Andare al di là del palco e dell’esibizione. Infatti i miei lavori principali con la musica comprendono ritratti fuori dal palco o reportage in sala prove e spesso questo tipo di lavori sono solo i punti di partenza.
L’idea di un progetto dinamico e destinato a progredire senza sosta ricorda la traiettoria di un gruppo che crea sempre nuove canzoni pur senza perdere di vista un proprio percorso ben preciso e un’evoluzione interna. Trovi altri punti in comune tra il tuo progetto e l’ambiente musicale cui si dedica?
Penso sempre a Io Tra Di Voi come ad un censimento senza committenza né scadenza, perché ho intenzione di fotografare più musicisti possibili. In realtà non è dedicato ad una scena precisa perché si rivolge a tutti i musicisti che hanno voglia di partecipare e che dunque fanno cose e appartengono a scene disparate tra loro.
Però se mi poni il paragone con una scena musicale penso a quella DIY. Niente padroni, scelte artistiche autonome e autofinanziamento, un po’ come la mia vita di tutti i giorni, insomma.
Nel tuo lavoro ha un peso importante la partecipazione, intesa come interazione che va ben oltre il mero approccio documentarista. Ti va di parlarci di questo peculiare modo di interagire?
All’università ho avuto modo di studiare l’osservazione partecipante, nella quale gli studiosi andavano, osservavano partecipavano e annotavano e in fotografia ovviamente mi sono imbattuta nei lavori di fotografi che andavano, osservavano, partecipavano e scattavano. Credo che l’arte debba essere di tutti ed io tra di voi è per prima cosa un lavoro sulla sfera intima della vita delle persone. Pensaci, portare in casa e poi in camera qualcuno è un gesto intimo. L’interazione con i padroni delle stanze la vedo come il suggellarsi di uno scambio: il musicista mi fa vedere e mi scrive la sua esperienza e io la rendo universale. Anche se in realtà queste esperienze che annoto sono di per sé universali pur con le loro singolarità. Voglio dire che l’arte e la musica sono esperienze che rendono simili i modi di vita e di percepire le cose nella stessa misura in cui risultano anche singolari. Io Tra Di Voi è la reiterazione di queste esperienze. È un diario collettivo compilato da me che ho voglia di gridare quanta bellezza c’è nelle piccole cose e nello scambio partecipato di esperienze e mondi, anche personali.
La scelta di focalizzare l’attenzione su chi vive o opera nella tua regione è stata dovuta ad una mera questione logistica o possiamo individuare in essa anche una sorta di localismo che in qualche modo riporti all’idea di scena propria della cultura hardcore?
È brutto se ti dico che è solo una scelta dovuta alla logistica? (ride, ndr)
Battute a parte, Io Tra Di Voi è un progetto che potrebbe essere esteso ovunque ci sia da censire. Ho pensato però che sia un bel modo per operare sul territorio tramite il tipo di lavoro che svolgo. È un modo per imprimere l’Umbria su carta e memoria senza dover ricorrere alle montagne verdi o al cioccolato. La scelta logistica d’altra parte un po’ è implicita, ma è altresì vero che il lavoro ha tematiche molto universali per cui può essere raccontato e letto anche fuori regione.
Che tipo di reazioni hai ricevuto nel momento in cui chiedevi di poterti intrufolare a casa dei musicisti? Che tipo di rapporto si è instaurato con loro?
Una delle cose belle di questo progetto è l’atteggiamento di chi mi ospita. È raro che sia io a cercare uno per uno i musicisti, chi vuole partecipare mi scrive di sua spontanea volontà e quando mi apre le sue porte avviene un meraviglioso scambio di energie ed esperienze. È bello perché entro in una casa con una macchina fotografica spesso da completa sconosciuta (molti di loro li ho conosciuti tramite questo lavoro) e non frega un cavolo a nessuno di lei (della macchina): mi parlano di musica dei loro progetti come se fossi una musicista, mi chiedono consigli, ci passiamo band. Sarebbe bello documentare tutte queste piacevolissime discussioni. Ogni volta che esco dalla camera di qualcuno sono felice perché sento che due minuti prima l’arte e la musica hanno fatto un altro piccolo miracolo: hanno emozionato e comunicato e soprattutto hanno fatto interagire due persone.
Che forme prenderà Io Tra Di Voi? È in programma una mostra, prevedi anche la pubblicazione di un libro/catalogo o magari un sito dove poter seguire l’evolversi del progetto?
Il 13 ottobre esporrò a Perugia, in una personale, le prime venti stanze fotografate fino ad ora. Questo progetto lo donerò all’associazione Umbria Noise che si occupa di raccogliere memorabilia legate alla musica umbra (una sorta di censimento nel censimento, se vogliamo). In occasione della mostra stamperò un piccolo catalogo che sarà poi distribuito a Perugia. Non dico altro perché bisogna parlare di ciò che si sa e per il futuro del progetto ho un sacco di idee e proposte ma di certo so solo che continuerò a scattare e scrivere. Naturalmente questo lavoro finirà nel mio sito, che attualmente è in fase di costruzione.
Finiamo con i consigli per gli acquisti. Cosa gira nel tuo lettore/giradischi/mp3 in questi giorni, quali realtà italiane o meno ti va di suggerire ai nostri lettori?
The Men, Godflesh, Fleet Foxes, 16 Horsepower e Wovenhand, Low, Desert Sessions e Kyuss, The XX, Mark Lanegan, Pj Harvey, Chambers, Raein, Disquieted By, The Blues Against Youth. Ti prego fammi smettere.
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