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VALERIA SEROFILLI: DAI CERCHI NELLO STAGNO ALL’ALCHIMIA DELLA PAROLA di Sandro Angelucci

Creato il 13 maggio 2011 da Viadellebelledonne

VALERIA SEROFILLI: DAI CERCHI NELLO STAGNO ALL’ALCHIMIA DELLA PAROLA

   Dopo diversi anni (ci occupammo di una precedente pubblicazione: Tela di Erato) l’amore per la poesia ci fa nuovamente incontrare con Valeria Serofilli. Quasi raccogliendo, dunque, il testimone come se fosse “un’eredità – parafrasandola – / tra noi poeti quel codice nutrito di messaggi” ci accingiamo, ora, a commentare due sue ultime raccolte: ci riferiamo a Chiedo i cerchi (n. 1 della Serie “I libri dell’Astrolabio”) ed all’inedito Amalgama (presentato all’interno di un’interessante collana di monografie di poeti contemporanei a firma di Gianmario Lucini per “I quaderni di Poiein”).

La parola e la cura: è questo il titolo che il saggista dà alle sue considerazioni critiche. E proprio dalla premurosa attenzione riservata – si passi il termine – ai ferri del mestiere vorremmo prendere abbrivo per una riflessione che si propone di evidenziare non solo i punti di contatto ma anche gli sviluppi di una poetica sicuramente ambiziosa ed impegnativa. Lo stesso autore dello studio monografico introduce l’inedito facendolo precedere da una stimolante disquisizione intorno all’annosa disputa che sorge tra i fautori dell’aspetto formale come essenza stessa dell’opera d’arte e coloro che ne attribuiscono il valore in base alle tematiche affrontate. Utile, questo suo preambolo, a farlo orizzontare – insieme al lettore – nel prendere in esame la scrittura della Serofilli, fino a fargli asserire – con acume, a nostro modo di vedere – che costante è in lei “la ricerca di una mediazione fra forma e contenuto”.

Bene, scorrendo i suoi versi non può non attrarre una squisita musicalità che si giova di precise scelte lessicali, del gioco delle allitterazioni, delle assonanze e delle rime, in un giro armonico che esalta la prosodia e l’accentuazione e il ritmo naturale del dettato e delle singole parole, ma senza ricorrere a nessuno schema prefissato, a nessuna struttura predefinita; al contrario, servendosi del verso libero e delle sue peculiarità per accendere o, meglio, colpire i vocaboli perché tintinnino come tanti bicchieri di cristallo.

Quanto abbiano finora sostenuto è così vivo e presente da mantenere sempre alto il tono, sempre vigile e coerente lo stile; e ciò vale sia per Chiedo i cerchi che per Amalgama.

   Ci piace, in proposito, proporre, mettendole a confronto, due poesie tratte dall’una e dall’altra raccolta: Chiedo i cerchi e Ben altra controversia:

CHIEDO I CERCHI   BEN ALTRA CONTROVERSIA
 
 
 
A te parola non chiedo sillabe   Risparmia il verso che corre controvento
che squadrino ogni lato   riscopri il senso che nutra di risveglio
latente afflato   il giusto pane, lievito / impastamento
che germini una voce   per non rischiare cadute di non senso
perché la prassi impone   falsi richiami a miti desueti
buio / luce   ferri lisi che non tessono divieti
e gemme che non recidano radici   freno che non unto si consumi
A te parola chiedo i cerchi   Tieni a ricordo il tempo del tuo gioco
del sasso nello stagno   di calcio, vicoli, urla e di risate
che genera onde di pensiero   Tingi d’inchiostro il tuo accorato coro
E se casomai spronato   e non ti curar di loro
ad un concetto ti trovi a dare fiato   ma vivi in ben altra controversia
non farne gomitolo da gatto   per cinger tempie del più verde alloro.
ma getta il sasso
e vedi se s’ingemma. 

 

 

La lettura – diciamo così – comparata, consente di chiarire definitivamente il discorso: cosa vuole la Nostra dalla parola? Non sillabe squadrate ma, neppure, un verso nuovo, avanguardista, refrattario ad ogni norma che abbia la sola finalità di andare controvento; piuttosto, ciò cui aspira è un verso – come lei stessa dice – “che come un sasso gettato non laceri la mano ma muova di onde nuove lo stagno del pensiero”. Ci sembra, questa, un’ammissione di profonda responsabilità di fronte alla poesia, una responsabilità che nasce dall’onestà con la quale si guarda, prima di tutto, dentro se stessi (“quei cerchi che ho già in me e che si tratta solo di separare per farne scrittura”, dirà ancora).

Ha ragione Lucini ad affermare che “l’aspetto che incuriosisce e che vale la pena di esaminare è la sua capacità di conciliare in una struttura qualcosa che all’apparenza non osserva nessuna regola”; già, all’apparenza, perché le regole, invece, ci sono ma sono quelle che si è data “una poeta – come non a caso, crediamo, il curatore ama definirla – tradizionale che sceglie di rinnovare la sua forma espressiva, che si dota di un suo canone”.

Certo, “qualche concessione alle ultime avanguardie è fatta” – sostiene Dante Maffia – ma mai si avverte il bisogno di qualcosa che non sia conforme alle necessità prime del canto. In altre parole, la tematica prediletta da Valeria Serofilli è inclusiva perché, paradossalmente, esclude nella sua formazione l’intervento di qualsiasi specifico argomento.

Intendiamoci, non vogliamo, con questo, asserire che poveri siano i contenuti, anzi, sono, i medesimi, ben più corposi, molto più succosi in quanto ci parlano attraverso l’essere, e – come ci ricorda Puskin – “la parola di un poeta è l’essenza del suo essere”.

Ecco, allora, che la dedizione inesauribile allo stile altro non è, sul piano contenutistico, che l’offerta di sé , della propria interiorità ma, anche, del proprio esistere da artista nella società.

È questa l’amalgama cui fa riferimento la recente prova inedita: una lega speciale in grado di miscelare a fondo fino ad ottenere un corpo perfettamente coeso e resistente del quale si entra a far parte persino fisicamente.

Dal testo eponimo della prima sezione, Morsi di parola: “E tu leggimi mordimi impastami / e sarò il tuo più prezioso manufatto / bilanciato dolce impastamento: / frase/inchiostro, acqua e terra / cemento.”.

Prendiamo spunto dalla citazione per una nota di carattere formale che riteniamo, però, pertinente al senso di quanto andiamo verificando: l’autrice usa il segno “ / “ a mo’ di avvertimento cosicché il lettore possa soffermarsi su quel preciso momento del verso; non ubbidendo, quindi, a nessuna costrizione di tipo sperimentalistico ma rispondendo unicamente all’esigenza di nutrirsi di quell’ “acino parola”, ella vuole che si partecipi, anche noi, alla “maturata vendemmia” della sua poesia.

Le altre due frazioni tengono alte le aspettative: in Dantesche, il linguaggio diviene, in un certo qual modo, più ricercato confacendosi al tema trattato (si pensi all’incisiva chiusa di Paolo e Francesca: “A tanta passione / troppa condanna / Con Dante io vi comprendo!”); ne La chiocciola, invece, lo stesso si fa più essenziale, finanche negli esiti più lirici (“E non chiedetemi/entusiasmi / legati ad uno spago: / io non sono un aquilone nano”) preannunciando – a nostro avviso – quelli che, con molta probabilità, potrebbero essere i futuri sviluppi di questo pensiero poetante.

Poiché, tuttavia, abbiamo voluto portare avanti l’esegesi sulla base del raffronto, desideriamo sottoporre all’attenzione di chi ci legge un altro confronto, con il quale, senza aggiungere altro, concludiamo la nostra disamina di una scrittura,  come  poche, autenticamente originale:

TRA NOI POETI   PREGHIERA DEL POETA
 
 
 
Un’eredità / tra noi poeti   (…)
quel codice nutrito di messaggi / concetti   quando uscirà / il mio nuovo libro
minuti od eloquenti, sempre gli stessi   avrà pagine di vento
Tra noi poeti basta quell’occhiata   i colori del tramonto
e la realtà diventa un’altra cosa   inchiostro d’alba / la pelle dei bambini  riscritta amata / sedotta ricreata   di tutto il mondo
Tutto da dire   Il mio nuovo libro
niente da rifare   quando uscirà / sarò uscita anch’io
come il mignolo segue all’anulare   e fuor di scena detterò
intendimenti ed interpretazioni / finzione   parole intrise della saggezza
suggestione, in enorme abnorme   di chi non più la cerca
univoca emozione.   Sarà allora che il mio Editore
   venderà copie a milioni
   e le ristampe
   e presentazioni ovunque
   ed interviste
   Quando uscirà / il mio nuovo libro
   sarò famosa d’erba e nuvole
   e da un angolo di cielo
   assaporerò finalmente
   ciò a lungo negato
   E se mi commuoverò
   il mio sorriso / rifranto all’infinito
   avrà tutte le sfaccettature
   della luce
   rugiada mattutina le mie lacrime
   il mio pubblico immenso:
   ogni poeta / ogni ricerca di senso.
   Sarà storia il trascorso
   il vissuto un esempio
   consiglio ogni sbaglio.
   Senza rilegature le pagine
   si spargeranno a mille
   seme di giudizio / maturato a pelle
   perle di esperienza
   Rilassata / altrove, ne gusterò
   il sapore, raccogliendo il frutto
   del mio trascorso ardore
   
 
   Ora che più non preme
   anche se oltre, il senso, non 
   verrà disperso / eredità sofferta
   ma mai rimorso, il tentativo di
   suggerimento
   Non più resoconto
   né agli altri, né a me stessa
   Unico giudice l’Eterno.   

 

   Sandro Angelucci

 

Valeria Serofilli. Chiedo i cerchi. I libri dell’Astrolabio n° 1. puntoacapo Ed. Novi Ligure. 2008 – Amalgama. I quaderni di Poiein n° 2. puntoacapo Ed. Novi Ligure. 2010.  



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