Valigie e valige: che passione! (Nel senso di sofferenza!)

Da Suster
Eccoci qua infine.
E' stato bellissimo. Dico fare le valige con la pupa che mi inseguiva con un libretto nella manina tesa, un libretto e un paio di calzini, un altro libretto e pulisci la cassetta dei gatti, un terzo libretto e scusa Hasuna ti sposti che passo la scopa?
Un altro? No pupa, aspetta ora che devo preparare la pappa per te per il viaggio.
Biblo! Biblo! Biblo!
Pupa, fammi respirare, non vedi che siamo in alto mare?
Allora siamo pronti, andiamo?
Hasuna, porca pala, ma tu l'hai preso il cambio per te?
No, ovvio che no.
Questi sono i momenti in cui mi chiedo a cosa accidenti servano gli esponenti del sesso maschile.
Però poi mi modero da sola e mi rispondo che, lo so, non è che sono tutti così, gli uomini.
Allora mi correggo e mi chiedo a che caspita servano quelli di questo stampo.
E ancora mi dico che, suvvia, in certi momenti si rendono utili pure loro, basta sapere cosa non puoi aspettarti, cosa non devi pretendere.
Non certo che sappiano gestire una partenza, quello no.
E mentre arrancavo con la pupa appollaiata sul fianco, i pannolini sotto un braccio e lo zaino semipreparato in spalla, lui mi chiede, con tono seccato come uno che sia ormai stanco di aspettare: "Dai, dimmi cosa posso portare giù, intanto. Prendo la valigia?"
"No! Ma sedvo ancora finire di riempirla! Cosa porti giù!"
"Allora prendo le coperte, le portiamo o no?"
"Non lo so, aspetta che chiamo Gunchina, e sento se ce ne hanno anche per noi..."
Non si sa mai che temperatura faccia, in montagna.
Non è che noi siamo avvezzi montanari. Io son donna di pianura, e il beduino... beh: c'è bisogno di dirlo? Quello uomo di deserto è!
Io sono abituata a quelle di casa nostra, di temperature, che pure se fuori fanno venti gradi, dentro casa batti i denti dal freddo, per qualche oscuro fenomeno di microclimatizzazione. Fauna locale, pappatacei perenni e iperattivi, anche nel cuore di gennaio, quando io mi intabarro in giri di lana intorno al collo e pluristrati di maglia addosso, e la pupa muove a fatica le braccia annaspando sotto cotte di pile e ciniglia, loro, le zanzare, ti vengono a bisbigliare i loro canti d'amore notturni nell'atrio del tuo padiglione auricolare.
Ma di questi tempi per fortuna ancora non siamo arrivati a quei livelli di freddo domestico e abominevoli zanzare delle nevi.
In quel di Torino però, chissà...
Lui accende la tv (ecco una cosa che, almeno, gli impedirà di rompere le palle per un po', finchè non finisco di fare i bagagli, e mente locale su cosa manca, cosa sto dimenticando, cosa di strepitosamente essenziale sto abbandonando qui?):
"Torino: 0-9 °C..."
"Porca zozza! Allora sì che le portiamo, le coperte! Aspetta che prendo un maglione pesante per me. Cacchio, me l'hanno mangiato le tarme, pure questo! Guarda che buchi! Ma c'entra tutta 'sta roba in macchina?"
"Sì, t'ho detto che prendiamo la macchina di Kamis!"
"Ah, e quindi dobbiamo ancora andare da Kamis? Perchè non vai tu intanto che io finisco qui, a prenderla e la porti qui, la macchina?"
Ma non c'è stato verso di togliermelo dalle palle.
Uomini!
Non è che io voglia un uomo iperorganizzato. Non potrei: morirei il secondo giorno.
Un uomo modello Furio, no. Ne ho conosciuti, in vita mia, di uomini-Furio, gli uomini ingegneri nell'animo. Non in senso biblico. Ne ho conosciuti almeno due, e non erano nemmeno ingegneri. Ti fanno passare la voglia di fare la più figa delle cose che tu possa anche solo immaginare. Te la rovinano in partenza, con levatacce a ore rocambolesche, liste dell'occorrente, equipaggiamento alla Messner, tabelle di marcia. Un suicidio, davvero.
Ma neanche un uomo Homer, però.
Una via di mezzo tra un Furio e un Homer, ecco.
Mio padre, per esempio, quando ci preparavamo per una delle nostre villeggiature da incubo, esodo vacanziero sulla Salerno-Reggio Calabria per ore e ore in una FIAT station wagon azzurrina tutta scassata, oberata dal peso di almeno sette valige, sette come il numero degli occupanti in vettura, o sullo strepitoso furgoncino rosso Subaru sette posti, carico come un somaro, ogni figlio col suo personale carico di vestiario libri e giochi, senza considerare il vettovagliamento per la comunità, lui, caspiterina, incastrava peggio di un Tetris! Mentre mia madre strigliava casa a dovere prima di chiuderla per un mese, cospargendola a sazietà di DDT.
Ecco, io non sarò mai così metodica. Per questo necessito un uomo almeno un pochino più metodico di me. Ma mi dovrò accontentare.
Il segreto è trovare a ognuno qualcosa da fare, così che tu possa finire in pace il vettovagliamento viatico.
Alla pupa ho tirato fuori il bellissimo zainetto verde con la ranocchia che al nido non han voluto (acquistato per il nido, eh!).
"Tieni, pupa, prendi i libretti che vuoi portare e mettili nello zainetto".
Oh, lei è stata fantastica! Non fosse che se li sarebbe caricati tutti e 54 se io non le avessi a un certo punto imposto un limite.
Percorreva lunghe distanze, dalla piccola libreria pupesca in corridoio, allo zainetto posto in camera (metterlo più vicino non le è balenato in mente) con il suo piccolo carico di uno o due per volta. Poi li infilava.
"Gatti! Gatti! Gatti!" Ripeteva a ogni nuovo arrivo.
"Pe' tte! Pe' tte! Pe' tte!" con tono interrogativo ascendente.
"Sì, brava, prendi Per te"
"Mino! Mino! Mino!"
"Anche il Valzer del moscerino? E va be', piglialo"
"Iaiaò! Iaiaò! Iaiaò!"
"Pupa, basta quanti ne vuoi portare?"
"Iaiaò! Iaiaò! Iaiaò!"
"E va bene, prendi anche La vecchia fattoria, però poi basta, eh!"
"Popò?"
"No, Popoff proprio no. Basta adesso."
E via così.
Bellissime vallate, verdi montagne, e gallerie gallerie gallerie.
Valli strettissime e vicinissime, addossate le une alle altre, borghi arroccati dimenticati dal mondo, con pittoreschi campanili a cupoletta svettanti, e tetti aguzzi, intonachi rosa e giallini , e azzurri.
"Sembrano francesi queste case".
"Non sei andato troppo lontano dal vero, caro il mio Hasuna..."
E lì partiva il pippone storico artistico.
Era la Liguria, con il suo mare e i suoi monti, e poi Piemonte, infine arriviamo, siam qui.
La pupa che: "Ora si sveglia e ci fermiamo per mangiare", invece s'è fatta una tirata di tre ore.
Poi il camino, il fuoco, il gatto Geggio, i giochi in legno della zia Gunchina, i galli asincroni che cantano a ogni ora, le montagne rosa sul far del mattino che ci siamo perse, perché siamo rimaste a letto credendo che fosse ancora notte fonda, perché dalle tapparelle chiuse non trapelava un filo di luce. La casa iperriscaldata, il giro ai giardini in mattinata, il fiume, che emozione! La polenta, gli interruttori della luce da far scattare, su e giù, "Atteto... Petto.." e grasse risate, una foto appesa al muro in cui misteriosamente si riconosce una bambina, che "momme" (dorme), in braccio alla zia, una bambina di nome Mimi.

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