di Paolo Massa
“Quando Dio ti concede un dono, ti consegna anche una frusta; e questa frusta è predisposta unicamente per l’autoflagellazione”. Inizia con questa citazione di Truman Capote l’ultimo, potente film di Michele Placido Vallanzasca – Gli angeli del male. L’autoflagellazione di Renato Vallanzasca - il boss della Comasina condannato a una pena definitiva di 260 anni di carcere per omicidi, sequestri di persona, rapine, evasioni, scontri a fuoco e sommosse carcerarie - ha inizio da bambino, quando a soli nove anni viene portato per piccoli furti in un carcere minorile.Il regista ce lo racconta attraverso flashback che, a partire dal Vallanzasca rinchiuso nel 1985 in una cella di isolamento del carcere di Ariano Irpino, ci conducono nei meandri di una mente non facilmente inquadrabile, libera e anarchica al punto da far dire al protagonista interpretato da un credibile Kim Rossi Stuart: “C’è chi nasce scarafaggio, chi scienziato, chi Santa Maria Teresa di Calcutta, io sono fatto per fare il ladro”. Questo è il dono posseduto da Renato Vallanzasca, un dono che lo porterà dritto al vertice della malavita milanese degli anni Settanta contro il mafioso Francis Turatello (Francesco Scianna), detto Faccia d’Angelo. Un dono che nell’arco di un decennio lo farà sprofondare nella solitudine più buia di una cella di massima sicurezza, dove arriveranno le lettere della tante ammiratrici con le più improbabili proposte, anche di matrimonio. Michele Placido riesce a tratteggiare bene un personaggio televisivamente fortissimo, capace di parlare con le sue insensate gesta a un Paese intero, testimone indifeso di una violenza inspiegabile e primitiva. Si legge all’inizio della pellicola: “In questo film non troverete la verità sul caso Vallanzasca. Perlomeno non ne troverete una sola. Perché questo è un film non è un’inchiesta. Non condanna. Non assolve. Racconta una storia. La storia di una banda, la storia di una Milano che non esiste più, ma restano veri e crudi il dolore di chi ha subito queste violenze”.E proprio qui il regista fa centro, confezionando una pellicola divertente, ben girata e ben recitata, senza alcuna morale tipica di certe cine-biografie a sfondo storico fine a se stesse, dove la sola voglia di dirigere un buon film, non un manifesto politico, riesce a non annoiare lo spettatore, nonostante alcune sequenze un po’ sopra le righe. Resta impresso sullo schermo il volto schizofrenico di un uomo che fino all’ultima evasione ha voluto vivere una vita senza regole, anche a costo di vedere il suo lato oscuro un po’ pronunciato rabbuiarsi ancor di più dietro le sbarre di un carcere di massima sicurezza della provincia italiana.Voto ***1/2
Magazine Avventura / Azione
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