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Valle di Cembra, la valle dei Senza Nome

Da Trentinowine

In vent’anni Merum si è guadagnata la stima incondizionata tanto degli operatori del settore quanto dei più attenti consumatori di vini ed oli di qualità italiani nella vasta area di lingua tedesca (A, CH, D e non solo) grazie alla riconosciuta professionalità ed indipendenza della redazione. Di questi tempi è molto ed è per questo che il Nr. 4/13 August/September 2013 vale molto di più degli EUR 11,90 di copertina. Per quello che dice della Valle di Cembra e del Trentino vitivinicolo e per quello che lascia intendere.

Volendo riassumere per i nostri lettori, vien voglia di saltare storia e tradizioni, geografia e ambiente perché chi bazzica da queste parti crede di conoscere già. Un vero peccato, come si evince anche dall’affascinata sorpresa che coglie Andreas März nel lasciare la Valdadige a Lavis, lui proveniente dalla toscana Lamporecchio dove abita, per inerpicarsi su strade ben tenute fra eroici terrazzamenti vitati e cantine tutte da scoprire. Sono i caratteri salienti del territorio, quel terroir che lui non cita mai, ma che trasuda fatiche di generazioni di viticoltori e che dovrebbe fare la differenza, come in Valtellina o nelle Cinqueterre.

Invece no. Cembra appare di rado e comunque in subordine anche in etichetta, votata com’è ad una produzione sì di qualità, ma funzionale agli interessi della grande industria enologica cooperativa che privilegia i propri brand al territorio di tutti. In cambio assicura(va) una redditività immediata che ha scongiurato sia gli abbandoni delle terrazze che una facile coltivazione dell’”oro rosso”, quel porfido che in Destra Avisio è coperto di vigneti. Una valle “al servizio di…” una valle dei senza nome, appunto.

Nemesi storica: se un tempo l’uva più diffusa era la Schiava, richiesta per la produzione del Caldaro/ Kalterersee cui apportava il suo gradiente acido e finito quel mercato non è rimasto nulla, oggi il vino che va per la maggiore è il Műller Thurgau che non lascerà traccia utile quando cambierà il gusto del consumatore. Si chiamasse “Cembra”, sembra suggerire l’autore, potrebbe evolvere con i gusti, via via arricchendosi e integrandosi con lo Chardonnay, la Nosiola, il Sauvignon o qualcos’altro fra quel bendiddio che si produce.

Certo, la strada per costruire l’identità di un territorio passa non solo attraverso il porfido terrazzato e le nobili varietà, ma anche e soprattutto per mano dei viticoltori e dell’immagine individuale che sono riusciti a darsi. Ecco allora le interviste ai protagonisti che sono tutt’altro che anonimi: campioni di razza e giovani dalle idee chiare, enologi di fama e ragazzi desiderosi di ben figurare in un mare di anonimi, ancorché bravi conferitori alle Cantine Sociali. Sono costoro che meriterebbero di più, qualcosa di diverso come lascia intendere Mario Pojer che snocciola dati sull’andamento dei prezzi delle uve e dei valori fondiari negli ultimi dieci anni, prima drogati dai mercati americani al punto da attrarre soci anche dall’Alto Adige, oggi ridotti a liquidazioni di 1€/kg contro gli altoatesini ad 1,80 €/kg. Una soglia, quella trentina, che non ripaga i costi di produzione e che suona come un campanello d’allarme: se non si raggiungeranno gli 1,30 – 1,40 €/kg il contadino sarà costretto a lasciare. Gli fanno eco Diego Bolognani, Goffredo Pasolli di Gaierhof, Maddalena Nardin di Villa Corniole, Nicola Zanotelli, Moreno Nardin per Cembra Cantina di montagna, Francesco Moser ed il mastro distillatore Bruno Pilzer. Tutti a battagliare per il loro territorio.

Le conclusioni di Mrz sono rispettose della gente che vi lavora, tanto sembrano facili da cogliere, ma evidentemente difficili da concretizzare. Per questo, se Andreas ci autorizzerà, tenteremo una traduzione, così ognuno avrà modo di capire il suo punto di vista e, magari, farne tesoro.

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